Con la sentenza 2 marzo 2021, emessa nella causa C 746/18m la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che i tabulati telefonici di una persona indagata possono essere acquisiti dall’Autorità Giudiziaria solo in seguito a vaglio o autorizzazione di un’autorità indipendente o di un giudice terzo ed imparziale.
Il 25 aprile scorso il Gip di Roma ha affermato, in un decreto, che questa sentenza ha ricadute immediate nel nostro ordinamento e che i tabulati telefonici possono essere acquisiti solo nelle ipotesi in cui sono ammesse le intercettazioni.
Il decreto
Il provvedimento del Gip di Roma è un decreto relativo all’autorizzazione – o meno – di operazioni di intercettazioni e estrazione dei tabulati telefonici.
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Va dato atto che si tratta di uno dei primi provvedimenti che recepisce i limiti imposti dalla sentenza della Corte di Giustizia europea del marzo scorso e che non è ancora chiaro, sul piano nazionale, se vi sarà uniformità di vedute sui due punti chiave della questione, ossia se la sentenza debba avere “applicazione” diretta, senza intervento del legislatore e se, effettivamente, i “gravi reati” individuati dalla Corte di Giustizia possano – o debbano – essere identificati con quelli per cui è ammessa l’intercettazione di conversazioni.
Le questioni in campo
Prima della sentenza della Corte di Giustizia e di questo decreto era pacifico che i tabulati potessero essere acquisiti su richiesta della Polizia Giudiziaria e successivo decreto di autorizzazione decreto del Pubblico Ministero, senza preventivo vaglio giurisdizionale.
Mutato il quadro normativo, in seguito all’entrata in vigore del Gdpr (Reg. Ue 16/679) e della Direttiva Europea 16/680, integrati e recepiti, rispettivamente, dal Decreto Legislativo n. 1010/2018 e dal Decreto legislativo n. 51/2018, anche la normativa nazionale di riferimento ha subìto modifiche sostanziali.
Va comunque detto che l’acquisizione dei tabulati telefonici era stata ritenuta, dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni Unite della Cassazione, attività non così invasiva da richiedere le stesse garanzie e scontare gli stessi limiti delle intercettazioni di conversazioni.
Se la Corte di Giustizia – mutando un proprio orientamento, precedente all’entrata in vigore del Gdpr e della Direttiva 680 – ha affermato la necessità di garanzie analoghe a quelle previste per le intercettazioni, il Gip di Roma è andato, se possibile, oltre, perché ha effettuato due operazioni interpretative.
Con la prima ha dato diretta attuazione ai principi espressi dalla Cote, affermandone l’immediata e piena applicabilità nel nostro ordinamento; in secondo luogo, ha interpretato il dictum della Corte di Giustizia, affermando che i gravi reato sono – soltanto e almeno – quelli per cui è possibile effettuare le intercettazioni di conversazioni.
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Le ragioni della scelta
La scelta del Gip di Roma appare molto cautelativa – finalmente – e diretta più a dare un segnale nel contesto nazionale che a dettare dei princìpi di diritto (diversamente non si giustificherebbe il commento alla stampa).
L’ammissibilità degli strumenti invasivi, infatti, è molto – troppo – ampia.
Nel nostro sistema giudiziario, ad esempio, vige ancora il principio per cui se la prima ipotesi di reato iscritta nel registro consente, astrattamente, di far effettuare intercettazioni, le stesse saranno poi utilizzabili anche nel caso in cui il reato accertato sia meno grave e, soprattutto, al di sotto del limite posto dalla legge per far effettuare le intercettazioni.
In pratica, se si viene indagati per associazione a delinquere, ma viene accertato solo un abuso edilizio punito con sanzione pecuniaria (ammenda), le intercettazioni saranno comunque utilizzabili, fermi restando i limiti di legittimità generali.
Per questo la decisione del Gip di Roma ha il sapore di un messaggio “politico” interno alla magistratura.
Dalla limitazione dell’utilizzo dei tabulati, anche per mezzo di una garanzia ulteriore (il vaglio giurisdizionale), si passerà, verosimilmente, ad ipotesi di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in ipotesi ulteriori rispetto a quelle oggi ammesse dalla giurisprudenza di legittimità.
Conclusioni
Si deve ricordare, ancora una volta, come il diritto alla protezione dei dati personali contenuto nell’articolo 8 della Carta di Nizza inizia a dispiegare i suoi effetti anche in materia penale e la casistica aumenterà considerevolmente.
Che la Corte di Giustizia abbia affermato la necessità che sia un giudice terzo a disporre l’acquisizione dei tabulati telefonici è un segnale molto significativo per un ordinamento che, come il nostro, ha ritenuto di sacrificare sempre di più la privacy e la riservatezza delle comunicazioni in nome della sicurezza e dell’accertamento dei reati.
Il decreto del Gip di Roma è un chiaro segnale politico: è un atto endoprocedimentale e non può essere impugnato autonomamente: non può, in altre parole, essere impugnato se non unitamente ai provvedimenti successivi (decreto di archiviazione o sentenze).
E’ chiaramente necessario un riassetto normativo sulla materia, ma è anche chiaro che l’attuale stagione politica difficilmente consentirà riforme radicali della materia.
Ciò che è difficile, tuttavia, non è impossibile: la sentenza della Corte costituzionale in materia di ergastolo ostativo, ad esempio, dà una chiara indicazione al legislatore.
Per quanto gli argomenti appaiano lontani al lettore profano, gli addetti ai lavori sanno bene che intercettazioni ed ergastolo ostativo sono baluardi della cultura giuridica più rozza ed arretrata che il nostro Paese ricordi.
Non è quindi detto che la montagna debba partorire il topolino.