La Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza emessa nella causa C-505/19, ha stabilito che i dati di una persona giudicata in uno Stato membro ricadono nell’ambito di applicazione della Direttiva UE 16/680 e che il trattamento è finalizzato a evitare che la stessa persona sia sottoposta a procedimento penale per i fatti per i quali è stata emessa condanna definitiva in un altro Stato membro.
Il principio del ne bis in idem e il caso
Ne bis in idem è un principio di diritto penale che stabilisce il diritto a non essere giudicati due (o più) volte per gli stessi fatti nei casi in cui intervenga una condanna.
A livello di Unione europea il principio è stabilito dall’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (CAAS) e dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) e impedisce che una persona condannata definitivamente in uno Stato membro sia giudicata in altro Stato per gli stessi fatti mentre esercita il proprio diritto alla libera circolazione.
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La sentenza della Grande sezione della Corte di Giustizia (pubblicata in traduzione dalla rivista giurisprudenzapenale.com), ha affrontato il caso di un cittadino tedesco segnalato all’Interpol con l’avviso rosso su richiesta degli Stati Uniti.
Per gli tessi fatti, tuttavia, era stato aperto un procedimento penale anteriormente alla segnalazione in Germania; il procedimento si era concluso con l’archiviazione per ragioni procedurali.
Nonostante l’Ufficio federale anticrimine avesse richiesto all’Interpol la cancellazione dell’avviso rosso, quest’ultimo era rimasto attivo, costringendo l’interessato a ricorrere al tribunale amministrativo di Wiesbaden.
Quest’ultimo effettuava il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE che ha emesso la sentenza del 12 maggio scorso.
La sentenza della Corte UE su trattamento dati giudiziari per arresto o fermo
La Corte UE ha confermato la correttezza dell’interpretazione del principio del ne bis in idem indicata nel ricorso, ha affermato che il trattamento dell’interessato rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva UE 16/680 sul trattamento dei dati giudiziari.
Il ragionamento della Corte, in tema, è cristallino.
Nelle ipotesi di avviso rosso il trattamento dei dati finalizzato all’arresto o al fermo della persona indagata è perfettamente lecito fintanto che l’avviso è valido ed efficace.
Nelle ipotesi in cui, per qualsiasi ragione, vengano meno i presupposti di emissione dell’avviso rosso, i dati devono essere cancellati.
Nel caso di accertamento di nuovo giudizio o indagine per fatti già oggetto di provvedimento definitivo (ne bis in idem) il trattamento non è consentito e i dati devono essere rimossi dagli archivi dell’Interpol.
Conclusioni
La sentenza della Corte è molto precisa nel coniugare i diritti di natura penale con quelli relativi al trattamento dei dati.
Non solo: la Direttiva UE 16/680, in questo campo, verrà applicata con sempre maggior frequenza anche in ragione dell’integrazione dei sistemi penali degli Stati membri.
Per quanto possa apparire secondario nel contesto della sentenza, il principio per cui il diritto al corretto trattamento dei dati personali nelle ipotesi di ne bis in idem deve comunque essere garantito è un precedente importante.
La Corte ha sancito, ancora una volta, il valore dell’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, di cui la Direttiva UE 16/680 è diretta espressione: la tutela dei dati personali è un principio fondante dell’Unione.