È conto alla rovescia per i Paesi membri della Ue. Entro la fine dell’anno dovranno recepire, nelle legislazioni nazionali, la Direttiva 1937 approvata dal Parlamento europeo nel 2019, finalizzata ad ampliare la protezione di chi effettua whistleblowing, per incoraggiarli a segnalare eventuali condotte illecite nel normale svolgimento dell’attività lavorativa, senza il timore di possibili ripercussioni.
Whistleblowing “rafforzato”, cosa cambia per le aziende con la direttiva Ue
In attesa delle disposizioni precettive interne, l’impianto della Direttiva prevede l’adeguamento entro il 17 dicembre per le aziende con oltre 250 dipendenti. Per le aziende con 50-250 dipendenti, l’obbligo decorrerebbe, invece, dal 2023.
Il ritardo dei legislatori nazionali sul whistleblowing
Vediamo a che punto siamo nel recepimento della Direttiva, in prossimità della scadenza del termine per la sua trasposizione.
In Italia, le indicazioni, purtroppo, non sono incoraggianti. La legge delega 53/2021, pubblicata lo scorso 23 aprile in Gazzetta Ufficiale, recante disposizioni all’esecutivo per il recepimento della normativa europea, è rimasta, allo stato, lettera morta. Un ritardo che, oltre a poter giustificare, in prospettiva, l’avvio della “solita” procedura d’infrazione da parte delle istituzioni comunitarie, genera non poche perplessità circa l’inerzia del Legislatore italiano, anche in considerazione dei necessari adeguamenti del tessuto normativo interno, funzionali al contrasto di taluni fenomeni, tipici della criminalità d’impresa, che l’UE chiede al Paese per l’accesso ai fondi del PNRR.
Volgendo lo sguardo agli altri Paesi, più della metà dei 27 Stati membri hanno mosso i primi passi verso il recepimento della Direttiva, che, pur lasciando un margine di libertà nei dettagli ai legislatori nazionali, detta uno scopo imprescindibile: garantire un livello minimo di protezione ai soggetti segnalanti.
La Svezia, per esempio, ha presentato a giugno 2020 un una proposta di recepimento che prevede, fra l’altro, l’attribuzione di nuovi compiti di tutela alle autorità locali. In Spagna sono state avanzate diverse proposte legislative, mentre il Portogallo e la Danimarca, seppur abbiano abbozzato i rispettivi disegni di legge, sembrano, ora, ferme al guado. Quanto alla totale inerzia legislativa, fanno “compagnia” all’Italia il Belgio e l’Austria.
La Direttiva UE e le differenze con la attuale disciplina
Oggi, in Italia, è prevista la possibilità di istituire un sistema di segnalazioni anche per le aziende private.
Per queste ultime, però, il Legislatore ha inteso legare la materia del whistleblowing alle scelte di compliance che ciascun operatore economico privato è chiamato a fare nell’adozione del proprio Modello di Organizzazione Gestione e Controllo, in aderenza alle previsioni del D. Lgs. 231/2001. Come noto, la norma da ultimo richiamata garantisce agli enti che hanno scelto di dotarsi di adeguati modelli organizzativi l’esenzione da responsabilità, laddove determinati reati siano commessi nel loro interesse o vantaggio.
Dal 2017, fra i requisiti di adeguatezza del Modello, il D. Lgs. 231/2001 richiede agli enti l’istituzione di un sistema di whistleblowing che – tratteggiando, molto sommariamente, i connotati più importanti del dettato normativo – deve garantire la riservatezza del segnalante e porlo a riparo, anche attraverso la previsione di specifiche sanzioni disciplinari, da qualsiasi conseguenza ritorsiva o discriminatoria legata alla segnalazione.
Tale sistema è improntato anche alla disincentivazione ad un ricorso indiscriminato – se non malevolo – allo strumento in parola, prevedendo conseguenze disciplinari anche a carico di chi effettua segnalazioni infondate per dolo o colpa grave.
In estrema sintesi, quindi, l’attuale disciplina italiana in materia di whistleblowing è caratterizzata per non aver portato precettivo nei confronti delle aziende private, data la mera facoltà – e non dell’obbligo – per le stesse di dotarsi di un modello di organizzazione gestione e controllo rispondente ai requisiti del D. Lgs. 231/2001, nonché per l’essere circoscritta alle “materie” (di rilievo squisitamente penalistico) richiamate nel medesimo decreto.
Cosa cambierà: gli interventi necessari per le aziende
Lungi dallo stabilire mere facoltà, come nello scenario normativo attuale, la Direttiva UE è orientata a introdurre veri e propri obblighi per tutte le imprese con più di 50 dipendenti.
Rispetto alle previsioni richiamate nel Decreto 231, le tutele conosceranno un sensibile rafforzamento che vede ampliarsi il campo delle segnalazioni anche dal punto di vista materiale, fino ad abbracciare settori come la tutela della concorrenza, la protezione del consumatore, la protezione della privacy.
Tra i requisiti di maggior rilievo vi è quello di ampliare il novero dei soggetti attivi, deformalizzando così la nozione di lavoratore. Infatti, la Direttiva include non solo chiunque presti attività nel settore pubblico o privato, ma anche, tra gli altri, i facilitatori, i volontari e gli altri soggetti terzi connessi con le persone segnalanti. Sul piano pratico, per le imprese che non hanno ancora adottato alcuna iniziativa, cruciale sarà
l’implementazione di un canale di segnalazione protetto e riservato. Per le imprese esposte a un maggior grado di rischio il suggerimento sarà di scegliere una soluzione pensata a livello aziendale mediante la creazione di una piattaforma integrale. Per le PMI invece, il passaggio più semplice e diretto sarà quello di acquistare ed implementare delle soluzioni online, dotate di requisiti in perfetta conformità con la Direttiva.
La normativa italiana dovrà adeguarsi ai prerequisiti dettati per i canali informativi in tema di riscontro alle segnalazioni e di misure di sostegno per i segnalanti, oltre ad adempiere all’obbligo rivolto a tutti gli Stati membri di designare specifiche autorità competenti per ricevere e indagare le comunicazioni in tempi rigorosi. Nello specifico, oltre ai canali interni ed esterni previsti dall’attuale disciplina, si contempla la possibilità di divulgazione pubblica, da effettuarsi in via sussidiaria mediante le ONG o i media, la cui utilizzabilità è subordinata alle condizioni imposte dalla stessa Direttiva. Quanto invece alle tutele, la
normativa comunitaria rafforza il divieto di qualsiasi forma di ritorsione, diretta o indiretta, da parte dei datori di lavoro, dei clienti, dei destinatari dei servizi, affiancandolo con il divieto di inserimento dei segnalanti nelle black list.
Conclusioni
La Direttiva UE 2019/1937 introduce un quadro regolatorio unitario a livello europeo che dovrà essere coordinato con le disposizioni nazionali vigenti, attraverso l’introduzione o il mantenimento delle disposizioni più favorevoli alle persone segnalanti, con l’obiettivo di assicurare il massimo grado di protezione e tutela delle stesse.
Ciò che ci si aspetta dalle imprese è un’evoluzione della governance aziendale, che deve passare per un miglioramento dei sistemi di organizzazione e controllo interni, posto che l’adeguamento alle nuove previsioni normative rappresenterà un obbligo e non più una scelta dettata dal virtuosismo organizzativo di ciascuna realtà.
Il Legislatore italiano, nonostante il grave ritardo accumulato, non potrà esimersi dal recepire il dettame comunitario e, come avvertono sia Transparency International Italia che The Good Lobby – le maggiori associazioni no profit impegnate nel contrasto alla corruzione e alle frodi – nel processo legislativo sarebbe auspicabile coinvolgere anche la società civile, profondamente interessata, anche solo per le implicazioni “culturali” che ne derivano, al processo di riforma. In questi termini, sarebbe quantomai opportuno l’apporto delle organizzazioni sindacali, delle associazioni delle imprese e degli stessi whistleblower al tavolo legislativo.