Mi permetto di avanzare, in tutta amicizia, qualche consiglio a chi oggi si é trovato ad amministrare una qualsiasi città italiana. Anche se durante la campagna elettorale il candidato sindaco aveva avanzato proposte coraggiose in materia di I.T., oggi si trova a dedicare la maggior parte del suo tempo e delle sue energie alla gestione dell’ordinario. Inevitabilmente gli obblighi amministrativi e il suo Segretario Generale, e il suo Ingegnere capo ecc., lo spingono ad agire prevalentemente sul fronte dell’ordinarietà.
Accetto scommesse; quel Sindaco giunto alla fine del mandato si troverà ad avere parlato di smart city e di agenda digitale, avrà aperto una pagina su Facebook, ma la sua attività e quella dei suoi collaboratori sarà stata assorbita, prevalentemente, dall’ordinaria amministrazione. Non avrà innovato il suo Comune e la sua Città.
Le Amministrazioni locali costituiscono l’ossatura istituzionale del nostro Paese, la loro difficoltà ad innovare é un danno per tutti noi. Per uscire da questa situazione gravissima per il nostro Paese, dovremmo agire per rimuovere ostacoli di ordine generale, ma anche, seppur tra mille difficoltà, operare diversamente nelle realtà locali. Mi auguro sinceramente che la riforma della Pubblica Amministrazione targata Renzi/Madia metta a disposizione dei pubblici amministratori gli strumenti per “deburocratizzare” i loro Enti e recuperare l’autonomia amministrativa.
Per “deburocratizzare” la Pubblica Amministrazione intendo:
– eliminare l’eccesso di norme che contraddistingue l’ordinamento italiano;
– eliminare le norme (Codice dell’Amministrazione digitale) che impediscono all’Information technology di affermarsi nel mondo pubblico. Se non si delegificherà l’uso dell’Information technology temo che Alessandra Poggiani, nonostante le sue indubbie capacità, potrà fare ben poco per affermare una Agenda Digitale nazionale;
– affermare il primato dell’obiettivo da raggiungere sul rispetto delle norme. Tale primato dell’obiettivo dovrà essere la stella polare per misurare la retribuzione dei pubblici dipendenti di ogni settore, ordine e grado. La pervasività dell’introduzione dell’Information technology dovrà essere uno dei primi risultati da retribuire maggiormente. All’opposto,l’ostruzionismo all’introduzione dell’Information technology dovrà essere una delle prassi da penalizzare, anche da un punto di vista salariale;
– sarà necessario pensionare (in breve tempo) una generazione di pubblici dipendenti. Culturalmente non sono in grado -e ciò si tocca con mano- di concepire la cultura che sottintende le piattaforme WEB;
– andrà formata obbligatoriamente alla cultura del digitale una intera generazione (soprattutto nuova) di insegnanti, magistrati, prefetti, impiegati, segretari comunali. Non dimentichiamo che questi soggetti, nella loro autonomia, hanno nelle loro mani il destino della Pubblica Amministrazione italiana. La politica in questo caso c’entra poco, se non nel rendere obbligatoria la formazione e sanzionare chi intende ostacolarla;
– affidare ai cittadini, estendo l’uso delle piattaforme web e degli open data, gli strumenti per partecipare alla vita pubblica in modo consapevole, condividere le informazioni, i dati, il sapere, giudicare costantemente la qualità dei servizi e il processo di innovazione.
Posso comprendere come queste proposte -le definirei precondizioni- di assoluto buon senso, possano sembrare eccessivamente ultimative. Qualcuno le etichetterà nella categoria del velleitarismo.
Tuttavia, possiamo ancora permetterci di tergiversare nell’introduzione dell’Information technology nella Pubblica Amministrazione italiana? Quanti punti di PIL stiamo sprecando giorno dopo giorno? Non possiamo più illuderci che siano sufficienti le “chiacchiere digitali”, i numerosi tavoli istituzionali ricchissimi di autoreferenzialità, per innovare il Paese.
Torniamo allora al nostro Sindaco prigioniero dell’ordinaria amministrazione e del patto di stabilità. In Italia stanno emergendo tantissime best practice, innovative -anche nei centri medio piccoli- peccato che vengano scarsamente condivise.
Sarebbe opportuno che le pratiche di condivisione della conoscenza e delle metodologie -prima ancora che i software- venissero sperimentate in ambiti più vasti e rese note. L’AGID potrebbe essere un veicolo straordinario di diffusione delle buone pratiche. Laddove un territorio é contraddistinto da piccoli comuni, lì, le pratiche di condivisione potrebbero diventare “sistema” ed essere promosse ed incentivate dalle Regioni.
Se una Amministrazione si distinguerà per la capacità di coinvolgere i cittadini e gli stakeholders, lì potrebbero essere questi soggetti a promuovere e a sostenere i piani di alfabetizzazione digitale della popolazione. L’Amministrazione dovrebbe assumere la regia di queste attività e finalizzarle. Per attuare con efficacia queste attività, l’Amministrazione dovrebbe dotarsi di professionalità specifiche.
Recentemente ho affermato, in modo provocatorio che tali attività non andranno affidate agli informatici. Da sole queste competenze (perché tali sono) non sono in grado di guidare un processo di estrema complessità.
La gestione dell’alfabetizzazione digitale (che non è insegnare l’informatica o postare su un social network, né tantomeno convincere sulle virtù del digitale) necessita della costituzione di team multidisciplinari e di gruppi di motivati evangelist. Promuovere la trasformazione innovativa di un centro urbano necessita di tante competenze, essa non é meno complessa della redazione di un piano urbanistico o di un piano di regolazione del commercio. Come vedete si tratta di operazioni non semplici, anzi abbastanza complesse, tuttavia sono assolutamente fattibili.
Soprattutto, come sarà facilmente dimostrabile, saranno quasi sempre a costo zero o a budget molto contenuto.