questione ambientale

Lotta dura contro chi inquina: le nuove strategie degli ambientalisti per salvare il Pianeta

Blocco delle sovvenzioni alle imprese inquinanti, azionariato critico, lotta al greenwashing: sono molte le nuove strategie che le organizzazioni ambientaliste perseguono per il rispetto degli impegni internazionali sulla salvaguardia del pianeta. Esempi e il ruolo dell’accordo di Parigi

Pubblicato il 20 Mag 2022

Riccardo Berti

Avvocato e DPO in Verona

Franco Zumerle

Avvocato Coordinatore Commissione Informatica Ordine Avv. Verona

Bilancio finale della Cop28

Diritto e tutela dell’ambiente non sono mai andati così d’accordo: la recente tendenza giudiziaria vede le organizzazioni ambientaliste sempre più attive e creative nell’attacco legale alle iniziative più inquinanti.

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La pianificazione ambientale è ormai centrale in numerose normative, agende e trattati internazionali e la riduzione delle emissioni è un obiettivo che ormai a livello globale fa parte integrante del diritto. Basti pensare che la tutela dell’ambiente è di rango costituzionale nel nostro Paese.

Ciò consente agli attivisti di far leva su questo complesso e sempre più stringente plesso normativo per costringere governi e imprese a rispettare quanto promesso.

Uno dei filoni più importanti di questo contenzioso è quello rivolto a bloccare sovvenzioni a nuove imprese inquinanti, proprio in forza della prospettiva di non rispettare, nel breve come nel lungo periodo, gli obiettivi che ogni nazione si è imposta a tutela della salute dei propri abitanti e dell’ambiente del pianeta.

L’ambientalista azionista

Un altro filone molto interessante, su cui si muovono le organizzazioni ambientaliste, è quello di combattere le emissioni direttamente dall’interno delle aziende che le producono.

Una mossa eclatante, da questo punto di vista, è stata quella di ClientEarth, un’organizzazione ambientalista con sedi a Londra, Bruxelles, Berlino, Varsavia e Pechino, che ha cercato in tutti i modi di contrastare la costruzione della Ostrołęka Power Station, una centrale elettrica a carbone che avrebbe dovuto essere realizzata in Polonia.

L’organizzazione si è mossa su vari piani, spingendo il governo polacco a sospendere i finanziamenti all’impianto ma anche acquistando (per poco più di 20 euro) azioni della società che avrebbe realizzato l’impianto.

Una volta divenuta azionista, l’organizzazione ambientalista ha agito contro la società perché questa, investendo in un impianto a carbone, non stava facendo l’interesse degli azionisti, in quanto li avrebbe portati ad investire in un impianto a rapida obsolescenza vista la progressiva decarbonizzazione del settore energetico.

Il Tribunale di Poznan ha dato ragione all’azionista ambientalista e riconosciuto che la decisione di investire nell’impianto era viziata ab origine, decretando di fatto la fine dello sviluppo della centrale.

L’accordo sul clima di Parigi

Il grimaldello che ha dato il via a molte di queste cause nel settore ambientale è in molti casi l’accordo sul clima raggiunto a Parigi nel 2015 in seno alla conferenza COP21 delle Nazioni Unite.

L’accordo è stato adottato da moltissimi Stati, tra cui i due principali produttori di gas serra ovvero Cina e USA[1], e contiene impegni sufficientemente precisi in capo agli Stati. In particolare, l’impegno a mantenere l’aumento della temperatura media globale entro la soglia dei 2°C.

A ciò si aggiungono i progressi tecnologici che consentono di misurare con sempre maggior precisione gli effetti dell’inquinamento e quindi di documentare le inadempienze di amministrazioni e imprese rispetto agli impegni assunti in sede internazionale.

La lotta al greenwashing

Un’altra direttiva di sviluppo è quella della lotta al greenwashing: i claim ecologici sono sempre più di interesse per le imprese e il loro utilizzo consente ai consumatori di esercitare un controllo sull’effettivo rispetto dell’ambiente da parte delle aziende.

La questione è di recente approdata nelle aule di giustizia italiane con una sentenza del Tribunale di Gorizia del 25 novembre scorso.

A fare le spese della sentenza è stata una società che produceva una microfibra definita a livello commerciale come “scelta naturale”, “amica dell’ambiente”, sostenibile ed ecologica, claim che sono stati riconosciuti come ingannevoli dal Tribunale perché non adeguatamente fondati su dati scientificamente verificabili.

La sentenza (destinata a fare scuola) porta con sé un cambio di prospettiva fondamentale riguardo ai claim green, che non potranno più essere generici e svuotati di contenuto, ma dovranno essere specifici e sempre ancorati a dati che ne giustifichino l’utilizzo.

Come prescrive l’articolo 12 del Codice di autodisciplina IAP, infatti:

“La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono.”

Anche qui è interessante notare come alla tutela dei consumatori non siano deputate solo le associazioni e le autorità competenti, ma anche le imprese concorrenti, che possono, come avvenuto nel caso sottoposto all’esame del Tribunale di Gorizia, censurare i green claim non rispettosi della normativa come comportamenti costituenti atti di concorrenza sleale.

Le condanne all’Italia per l’ILVA

In Italia il percorso giuridico per una tutela ambientale si presenta ancora irto di ostacoli: il trend globale di cui stiamo parlando fatica a prendere piede, anche se le organizzazioni sovranazionali a cui il nostro ordinamento aderisce ci consentono un ri-allineamento con questa tutela sempre più rafforzata con riferimento al settore ambientale.

Testimoni di questa forza propulsiva delle istituzioni europee e comunitarie sono i provvedimenti del 5 maggio 2022 resi dalla CEDU riguardo all’ILVA (casi 37277/16, 4642/17, 45242/17, 48820/19), con condanna dell’Italia in quanto non sono state superate le criticità già accertate dalla Corte nel 2019 poiché “i lavori di bonifica dello stabilimento e del territorio interessato dall’inquinamento ambientale hanno priorità ed urgenza e il piano ambientale approvato dalle autorità nazionali contenente l’indicazione delle misure e le azioni necessarie per assicurare la tutela dell’ambiente e della salute della popolazione deve essere attuate quanto prima”.

E, ciononostante, “le autorità italiane non hanno fornito informazioni precise circa l’effettiva attuazione del piano ambientale, elemento essenziale per assicurare che il proseguimento del funzionamento dell’acciaieria, non rappresenti un rischio per la salute”

Conclusioni

Non c’è quindi da dubitare che, a livello globale e anche italiano, il diritto all’ambiente assumerà sempre maggior peso nel contenzioso societario e amministrativo, aprendo ai giuristi la strada per approcci creativi, sostenuti dalla reinterpretazione delle norme alla luce del progresso tecnologico che consente di individuare con sempre maggior precisione l’andamento dell’inquinamento e, di conseguenza, imputarne le responsabilità.

Lo scenario di guerra in Ucraina ha per ora spostato le attenzioni dall’ambiente come principale tema sull’agenda politica internazionale, ma c’è da sperare che a breve la questione ambientale torni ad essere il problema centrale da risolvere nell’interesse del pianeta.

In questo senso, il fiorire di strumenti giuridici a tutela dell’ambiente è un potente mezzo di controllo diffuso del rispetto degli impegni assunti a livello statale e imprenditoriale riguardo a questo tema, permettendo di assicurare ai cittadini che non si tratti di vuote promesse.

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Note

  1. Da poco rientrata nell’accordo dopo l’avvio delle procedure per l’uscita voluto dall’amministrazione Trump

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