Climate change

Cop26, tutte le speranze e le sfide per salvarci dal disastro climatico

A Glasgow si tiene la Cop26, l’importante summit sulla crisi climatica e il riscaldamento globale. Potrebbe segnare un crocevia nella lotta ai cambiamenti climatici; o almeno indicare una via da percorrere con più determinazione di quanta (poca) ne abbiamo avuta finora. Ecco tutti i punti chiave

Pubblicato il 02 Nov 2021

Alessandro Longo

Direttore agendadigitale.eu

cop26 glasgow

Sono i giorni cruciali per capire se avremo armi certe e strategie condivise per salvare il mondo che conosciamo dal cambiamento climatico oppure confermare che siamo esseri geniali ma incapaci di invertire la rotta del cambiamento da noi generato.

A Glasgow dal 31 ottobre, si tiene la Cop26, cioè l’importante summit sulla crisi climatica e il riscaldamento globale. Cop26 potrebbe segnare un crocevia nella lotta ai cambiamenti climatici; o almeno indicare una via da percorrere con più determinazione di quanta (poca) ne abbiamo avuta finora.

Per capire il punto di non ritorno climatico a cui siamo giunti basta leggere il recente report dell’IPPC nel quale si afferma che è inequivocabile che le attività antropiche hanno portato al riscaldamento dell’atmosfera, l’oceano e la terra. Si sono verificati cambiamenti diffusi e rapidi nell’atmosfera, nell’oceano, nella criosfera e nella biosfera. La portata dei recenti cambiamenti nel sistema climatico nel suo insieme e lo stato attuale di molti aspetti del sistema climatico non hanno precedenti da molti secoli a molte migliaia di anni. A.3 Il cambiamento climatico indotto dall’uomo sta già influenzando molti eventi meteorologici e climatici estremi in ogni regione del mondo. L’evidenza dei cambiamenti osservati in eventi estremi come ondate di calore, forti precipitazioni, siccità e cicloni tropicali e, in particolare, la loro attribuzione all’influenza umana, si è rafforzata dal quinto rapporto di valutazione.

Oltre 1,5 gradi di riscaldamento

La temperatura superficiale globale continuerà ad aumentare almeno fino alla metà del secolo in tutti gli scenari di emissione considerati. Il riscaldamento globale di 1,5°C e 2°C sarà superato nel corso del 21° secolo, a meno che nei prossimi decenni non si verifichino profonde riduzioni delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altri gas serra.

See what three degrees of global warming looks like

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Molti cambiamenti nel sistema climatico diventano più grandi in relazione diretta all’aumento del riscaldamento globale; questi includono l’aumento della frequenza e dell’intensità delle temperature estreme, le ondate di calore marine e le forti precipitazioni, la siccità agricola ed ecologica in alcune regioni e la percentuale di cicloni tropicali intensi, nonché la riduzione del ghiaccio marino artico, del manto nevoso e del permafrost.

In scenari con emissioni di CO2 crescenti, si prevede inoltre che i sistemi di assorbimento del carbonio oceanici e terrestri siano meno efficaci nel rallentare l’accumulo di CO2 nell’atmosfera.

Stiamo andando nella direzione sbagliata

La risposta del genere umano non sembra andare nella giusta direzione come indica l’OMM (Organizzazione Mondiale della Meterologia) nel report “Greenhouse Gas Bulletin: Another Year Another Record” secondo il quale infatti la concentrazione di gas serra nell’atmosfera che intrappolano il calore ha raggiunto ancora una volta un nuovo record lo scorso anno, con un tasso di incremento annuo superiore alla media 2011-2020.

Questa tendenza è continuata nel 2021. La concentrazione di anidride carbonica (CO2), il più importante gas serra, ha raggiunto le 413,2 parti per milione nel 2020 ed è il 149% del livello preindustriale. Il metano (CH4) è al 262% e il protossido di azoto (N2O) è al 123% dei livelli nel 1750, quando le attività umane hanno iniziato a disturbare l’equilibrio naturale della Terra.

Sempre l’OMM Il 31 ottobre il ha rilasciato un report provvisorio “Lo stato del Clima 2021” che recita: gli ultimi sette anni sono stati i sette anni più caldi mai registrati e che l’accelerazione dell’innalzamento del livello del mare ha raggiunto nuovi picchi nel 2021. Inoltre ogni anno recente è sempre più caratterizzato da ondate di calore, incendi, siccità e inondazioni che hanno provocato caos in tutto il pianeta quest’anno e intende informare i negoziati della Cop26.

I rapporti delle Nazioni Unite hanno anche scoperto che i piani d’azione delle nazioni del mondo finora lasciano il pianeta di fronte a un catastrofico riscaldamento di 2,7 °C. Le emissioni sono invece nella direzione di essere superiori del 16% nel 2030 anziché inferiori del 45%, che è il taglio che la scienza mostra è necessario per mantenere sotto 1,5°C ed evitare le peggiori conseguenze. La produzione pianificata dai governi mondiali di combustibili fossili, causa principale dell’emergenza climatica, “supera di gran lunga” il limite di 1,5°C.

Circa la metà della CO2 emessa dalle attività umane oggi rimane nell’atmosfera. L’altra metà è occupata dagli oceani e dagli ecosistemi terrestri. La parte di CO2 che rimane in atmosfera, è un importante indicatore dell’equilibrio tra sorgenti e sistemi assorbenti e questa Cambia di anno in anno a causa della variabilità naturale.

I sistemi che assorbono la CO2 terrestri e oceanici sono aumentati proporzionalmente all’aumento delle emissioni negli ultimi 60 anni. Ma questi processi di assorbimento sono sensibili ai cambiamenti climatici e dell’uso del suolo; infatti la capacità degli ecosistemi terrestri e degli oceani di assorbire le emissioni potrebbe diventare un cuscinetto meno efficace contro l’aumento della temperatura in futuro.

In ultimo il rapporto evidenzia l’importanza di esaminare ed affrontare anche gli altri gas serra il metano ed il protossido di azoto. Il primo sia un potente gas serra che una sostanza chimica dannosa per l’ozono che viene emessa nell’atmosfera da fonti sia naturali che antropogeniche, inclusi oceani, suoli, combustione di biomasse, uso di fertilizzanti e vari processi industriali.

I molteplici co-benefici della riduzione del metano, il cui gas rimane nell’atmosfera per circa un decennio, potrebbero supportare l’accordo di Parigi e aiutare a raggiungere molti obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), afferma il Bollettino.

Gli Stati che hanno più emissioni

Ma quali stati emettono di più a livello globale? Secondo lo studio(China’s Greenhouse Gas Emissions Exceeded the Developed World for the First Time in 2019, Rhodium Group) la Cina è ora responsabile di oltre il 27% delle emissioni globali totali. Gli Stati Uniti, che sono il secondo emettitore al mondo, rappresentano l’11% del totale globale. L’India è responsabile del 6,6% delle emissioni globali, superando le 27 nazioni dell’UE, che rappresentano il 6,4%. Di contro finora gli Stati Uniti e l’occidente sono stati i principali responsabili di tutte le emissioni accumulate finora – come notano i Paesi non occidentali.

Aziende super inquinanti

Un altro aspetto interessante è che all’interno dei singoli Stati vi sono aziende che emettono più di intere Nazioni (Bloomerg: The Chinese Companies Polluting the World More Than Entire Nations).

I dati dello studio di Bloomberg rivelano infatti che le emissioni inquinanti prodotte da alcune delle più grandi industrie cinesi superano quelle di interi stati o metropoli mondiali. Per dare un’idea della gravità della situazione, la China Petroleum & Chemical, una delle società del colosso petrolifero statale Sinopec Group, lo scorso anno ha contribuito al riscaldamento globale più del Canada che, a sua volta, è tra i pesi massimi in termini di gas serra, l’undicesima nazione con il più alto livello di emissioni di CO2. nel mondo In un anno la China Baowu, primo produttore mondiale di acciaio, ha immesso nell’atmosfera più CO2 di tutto il Pakistan. E ancora, la China Faw Group Corp produce emissioni nocive quasi uguali a quelle dell’intero stato americano del New Jersey e superiori a quelle del Bangladesh. Per non parlare di Huaneng Power International che genera emissioni equivalenti a quelle del Regno Unito, e PetrolChina Company Limited che supera le emissioni di Vietnam e Corea del Sud messe insieme.

Questo se ragioniamo in termini di emissioni assolute, se passiamo invece a livello di emissioni pro-capite questa classifica tuttavia si inverte e stati molto abitati come Cina e India scendono rispetto ad altri come gli USA.

Chi ha inquinato di più finora

Un altro aspetto importante da considerare è quali paesi hanno contribuito maggiormente all’emissione dei gas serra nel corso della storia industriale? un rapporto di Carbon Brief (Analysis: Which countries are historically responsible for climate change?), secondo questo interessante rapporto al primo posto della classifica, gli Stati Uniti hanno rilasciato più di 509 GtCO2 dal 1850 ed è responsabile della quota maggiore di emissioni storiche, mostra l’analisi di Carbon Brief, con circa il 20% del totale globale.

La Cina è un secondo relativamente distante, con l’11%, seguita da Russia (7%), Brasile (5%) e Indonesia (4%). Quest’ultima coppia è tra i primi 10 maggiori emettitori storici, a causa della CO2 proveniente dalla loro terra. Nel frattempo, le grandi nazioni europee come la Germania e il Regno Unito, rappresentano rispettivamente il 4% e il 3% del totale globale, escluse le emissioni all’estero sotto il dominio coloniale.

Questa Cop 26 arriva subito dopo il G20 di Roma nel quale in assenza di Russia e di Cina i leader hanno trovato accordo per limitare l’aumento della temperatura a1.5° ma con un obiettivo a dir poco a lungo termine ossia il 2050. In un comunicato finale infatti il G20 ha ribadito il suo sostegno agli obiettivi degli storici accordi di Parigi sul clima del 2015, di mantenere “l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali”. Questo richiederà “azioni e impegno significativi ed efficaci da parte di tutti i paesi, tenendo conto di approcci diversi”, si è inoltre indicata la volontà di adottare misure contro l’uso del carbone.

Gli obiettivi delle Nazioni

A Glasgow i temi che saranno sul tavolo riguarderanno diversi aspetti; fra questi il primo è quello delle strategie nazionali di riduzione delle emissioni. Le differenze sono molto evidente fra i vari Stati. Certamente come detto le strategie nazionali di riduzione delle emissioni che saranno presentate dovranno essere più ambiziose.

  • l’Europa si è data un ambizioso piano di riduzione al 2030 (55% delle emissioni rispetto al 1990) e raggiungimento della neutralità climatica al 2050.
  • Gli Stati Uniti d’America anche a partire dalla elezione di Biden ha fissato obiettivi importanti quali riduzione 50-52 % al 2030 (riferimento 2005) e la neutralità climatica non più tardi del 2050.

Discorso a parte vale invece per la Cina, la Russia, queste economie hanno in comune il fatto che non saranno presenti al tavolo della COP16, inoltre sono caratterizzate da strategie di riduzione delle emissioni non certamente ambiziose.

  • La Cina proseguirà con il suo piano industriale, che la porterà a raggiungere il picco delle emissioni al 2030, a partire dal quale ridurrà progressivamente la propria intensità carbonica del 60% – 65% con la prospettiva di centrare la “Net Zero Emissions” non prima del 2060. La Cina si è impegnata da subito a non fare nuovi stabilimenti di carbone fuori dalla Cina.
  • La Russia ha un piano caratterizzato da una crescita veramente modesta delle fonti rinnovabili e fa affidamento ad raddoppio la capacità di assorbimento della CO2 da parte delle foreste per raggiungere gli obiettivi di riduzione
  • In ultimo L’India, invece, solo al Cop26 il primo novembre ha comunicato i nuovi obiettivi e sono una delusione: azzera le emissioni da carbonio solo nel 2070. Ha però aggiunto che porterà al 45% la produzione di energia da rinnovabili. Prima aveva confermato le sue iniziative di contenimento delle emissioni che comporteranno una riduzione dell’intensità carbonica (emissioni su PIL) pari al 33% – 35% al 2030, rispetto al 2005.

Al Cop26 Cento Paesi tra cui soprattutto Cina e Brasile si sono impegnati a fermare la deforestazione al 2030.

Supporto finanziario della decarbonizzazione

Un altro aspetto importante sarà quello del sistema finanziario a supporto della decarbonizzazione per attuare sia piani di adattamento e sia il “capacity building e le azioni per il trasferimento di tecnologie pulite. I Paesi sviluppati devono mantenere la loro promessa di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima entro il 2020.

Cambiamento climatico e politica monetaria: quali possono essere le conseguenze indesiderate?

Necessario collaborare per nuove regole mondiali

Importante sarà inoltre collaborare per raggiungere risultati. Le sfide della crisi climatica possono essere vinte solo lavorando insieme. Alla COP26 sarà quindi necessario finalizzare il Paris Rulebook (le regole dettagliate che rendono operativo l’Accordo di Parigi) e accelerare l’azione per affrontare la crisi climatica attraverso la collaborazione tra governi, imprese e società civile.

Una degli obiettivi più importanti sarà creare un mercato globale del carbone; fissare un prezzo globale minimo per le emissioni di carbonio, con una possibile carbon tax. Obiettivo che sembra già irraggiungibile in questo Cop perché troppe le divergenze tra Paesi, con Cina e India e Africa, tra gli altri, molto dipendenti ancora dal carbone per le proprie economie.

La tassa – che secondo alcune proposte potrebbe essere sia a livello nazionale sia border ossia al momento dell’importazione – sarebbe un alternativa al sistema dei crediti sulle emissioni che non sembra aver avuto l’efficacia sperata.

La sfida di Cop26? Fissare un prezzo globale minimo per le emissioni di carbonio

Negli ultimi giorni lo SMI, i cui membri della task force includono Bank of America, Barclays, BNP Paribas e HSBC, ha prodotto delle note che, tra le altre cose, chiedono la rapida adozione di prezzi del carbonio, attraverso tasse e compensazioni.

Per sostenere questo suggeriscono che se il mondo avesse un prezzo del carbonio di 30-70 dollari a tonnellata (invece dell’attuale livello medio di 2 dollari) il carbone diventerebbe troppo costoso rispetto al gas e alle energie rinnovabili. Aggiungono che a 70-120 dollari a tonnellata, le industrie dell’acciaio e del cemento sarebbero incentivate a decarbonizzare le loro operazioni, e sarebbe economicamente razionale per le aziende usare l’idrogeno. E a 120-150 dollari a tonnellata, le innovazioni che oggi sembrano proibitive – come la bioenergia e le tecnologie di cattura e sequestro del carbonio – comincerebbero ad avere un senso economico.

L’adattamento

In ultimo il tema dell’adattamento: il cambiamento climatico è già in atto e i paesi più vulnerabili sono maggiormente esposti ai cambiamenti climatici, pur essendo coloro che hanno contribuito meno a causarli. È quindi il momento di affrontare questo problema e sviluppare resilienza, prima che altre persone perdano la vita o i propri mezzi di sussistenza. Per farlo servono fondi progetti e una strategia di comunicazione efficace.

Da oggi le delegazioni sono al lavoro, la speranza è che stavolta davvero questa sia la volta buona per affrontare il cambiamento climatico con armi comuni e con l’obiettivo di salvare il pianeta che ci ospita.

In conclusione

Concludiamo quindi con le parole di Guterres Segretario Generale dell’Onu “dobbiamo all’intera famiglia umana, in particolare alle comunità e alle nazioni più povere e vulnerabili, che sono le più colpite nonostante siano le meno responsabili dell’emergenza climatica di oggi”. “Le soluzioni sono chiare. Economie inclusive e verdi, prosperità, aria più pulita e salute migliore sono possibili per tutti se rispondiamo a questa crisi con solidarietà e coraggio… Abbiamo bisogno di un’azione immediata sull’energia… Se uniamo le forze ora, possiamo evitare la catastrofe climatica. Ma, come chiarisce il rapporto di oggi, non c’è tempo per indugiare e non c’è spazio per le scuse. Conto sui leader di governo e su tutte le parti interessate per garantire il successo della Cop26”.

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