In questi anni l’industria automobilistica sta affrontando una doppia trasformazione a traino dell’industria che fino ad oggi abbiamo chiamato “high-tech”: la transizione da combustibili fossili ad elettrica e le auto a guida autonoma, passando per le auto connesse. Un percorso che ora è frustrato dalla crisi dei chip. L’industria automobilista sta però reagendo all’imprevisto con una mossa radicale: puntando ancora di più su questa trasformazione e quindi legandosi a doppio filo con l’industria tecnologica.
Così l’industria automobilistica si lega a quella dei chip
Gli analisti si aspettano che l’interdipendenza dell’industria dei chip e dell’auto non farà quindi che accelerare. La società di ricerca IHS Markit Ltd. stima che il mercato dei chip automobilistici varrà circa 85 miliardi di dollari nel 2027, da circa 52 miliardi di dollari quest’anno.
Perché passa dai chip la nuova politica industriale mondiale
- Qualcomm ha detto all’inizio della settimana che i suoi chip avrebbero controllato i sistemi di infotainment nelle nuove auto elettriche di Renault. L’azienda di chip ha accettato a gennaio di espandere il suo lavoro con General Motors Co. sulle caratteristiche dell’abitacolo digitale e dell’assistenza alla guida. Qualcomm il mese scorso ha iniziato un’offerta di 4,6 miliardi di dollari per la società svedese di auto-tecnologia Veoneer Inc.
- Intel ha annunciato nei giorni scorsi un proprio servizio robotaxi utilizzando la sua app di mobilità Moovit che ha acquisito un anno fa per circa 900 milioni di dollari e sfruttando la tecnologia di guida autonoma di Mobileye.
- Ford ha detto la scorsa settimana che aveva assunto Doug Field, un ex dirigente di Apple Inc. e Tesla Inc. a capo dell’area della tecnologia avanzata e dei sistemi incorporati, riportando direttamente all’amministratore delegato Jim Farley.
- Tesla ha detto il mese scorso che sta sviluppando un supercomputer in-house per eseguire i calcoli per addestrare il software per i suoi veicoli in uno sforzo per avanzare la propria tecnologia di assistenza alla guida.
- Nvidia, il produttore di chip statunitense con il più grande market cap, sta scommettendo che le auto diventeranno un centro di crescita. Danny Shapiro, vice presidente di Nvidia per il settore automobilistico, ha detto recentemente che l’azienda ha una pipeline di 8 miliardi di dollari per l’auto-business nei prossimi sei anni.
Chip e auto, dove si sta andando
L’industria dell’auto è stata per qualche decennio alla ricerca di una vera innovazione nel settore che potesse far evolvere l’esperienza alla guida verso nuovi modelli di mobilità. Soprattutto per i crescenti vincoli sull’inquinamento e sulla gestione del traffico nelle grandi città.
Di fatto si stanno concentrando una serie di tecnologie e sistemi che fino a poco fa erano separati o non presenti nelle auto: le prestazioni elevate delle batterie a litio, la pervasività e la diffusione delle reti di comunicazione 4G/5G con l’IoT, le evoluzioni delle smart-grid per le reti elettriche, l’Artificial Intelligence applicata ovunque, l’evoluzione dei servizi e delle grandi piattaforme software.
L’auto sta diventando in grande quello che il telefonino ha rappresentato dalla nascita dei primi smartphone ad oggi, una rivoluzione di stile, modi di vita ed una spinta all’innovazione come mai vista prima.
E se le auto hanno bisogno di tecnologia avanzata per raggiungere gli obiettivi di sviluppo prefissati, possiamo affermare che le tecnologie avanzate, soprattutto batterie e chipset, hanno bisogno delle auto o, più in generale, del mercato e dell’indotto che il mondo del trasporto su gomma e del trasporto delle persone e merci rappresenta. Si immagini solamente cosa voglia dire l’indotto della guida autonoma quando ai sistemi installati sui veicoli si affiancheranno quelli installati lungo le strade, le autostrade e la segnaletica intelligente.
Infatti oggi i maggiori produttori mondiali di chipset vedono il mercato delle high-tech, per come lo abbiamo inteso fino ad oggi, sostanzialmente un mercato di sostituzione: si producono nuovi device in sostituzione di quelli vecchi ma, in molte parti del globo, si è ormai raggiunti alla saturazione dei device per individuo. Diverso è il mercato delle auto high-tech che sta facendo i primi vagiti, che promette decine di miliardi di chipset sempre più complessi da produrre ad-hoc su specifiche dell’industria automobilistica ed il relativo indotto di applicazioni software e servizi da costruirci intorno. Un mercato che si stima, per i soli chipset del settore automotive, nel 2027 possa valere circa 80 miliardi di Eur a partire dai circa 45 miliardi di Eur di oggi. Un indotto di sitemi costruiti intorno ai chipset che può raggiungere un controvalore di decine di volte, quindi un potenziale di crescita per l’intera economia dell’high-tech automobilistico che attira l’interesse di tutti i big mondiali, dalla finanza alla produzione di soluzioni software integrate nelle proprie piattaforme.
Un mercato in mano ai grandi a cui i piccoli produttori soprattutto di soluzioni software si possono accordare per veicolare la loro idea. Notevole quindi che colossi come Intel, dopo l’acquisizione della tecnologia di Mobileye, lanci un servizio di robotaxi basato su di essa, così come Qualcomm stringa alleanze con GM o si impegni a produrre chipset 5G superveloci per abilitare lo sviluppo delle connected cars.
Di contro lo shortage di chipset a cui si sta assistendo in questi giorni, che compromette la ripresa economica post-Covid in moltissimi settori, in realtà era prevedibile già da qualche tempo e, non a caso, tutte le case automobilistiche hanno iniziato da qualche anno a fare accordi di ricerca e sviluppo, anche vincolanti, e di produzione prenotando capacità produttive importanti con i principali produttori mondiali di chipset.
La risposta dei chip maker e delle big tech
Intel, Nvidia, Bosh, Infineon e altri stanno dedicando interi stabilimenti alla produzione di chipset per l’automotive, ciononostante alcune case automobilistiche hanno ridotto drasticamente la produzione e non riescono a consegnare ai propri clienti.
A ben guardare l’industria dell’automotive sta iniziando il percorso che i big dell’high-tech, Apple in testa, hanno avviato anni fa costruendosi il proprio chipset per i propri device (PC, tablet, smartphone) e realizzando su di esso un ecosistema hardware e software che controlla in toto: dalla progettazione all’intero ciclo di vita. Se Apple ha fatto scuola, tutti gli altri nel tempo l’hanno seguita, Samsung, Huawei, Amazon, Google e altri, sebbene con fortune alterne ed obiettivi diversi, hanno compreso che produrre il proprio chipset li rende indipendenti dagli altri e capaci di dare un vero valore aggiunto nei propri prodotti. Indipendenti nella tecnologia, più indipendenti nella produzione.
Considerando i volumi di chipset richiesti dall’industria dell’automotive nei prossimi anni e la strategicità degli stessi, si può già prevedere che alcune tra le maggiori case automobilistiche saranno tentate dall’avere il chipset proprietario per fronteggiare anche momenti di shortage come questi.
Questo soprattutto perché l’attuale crisi dei chipset è strutturale nell’industria di produzione degli stessi: mancano gli stabilimenti per produrli, mancano le materie prime di base, mancano le competenze necessarie in quantità sufficiente. E per realizzare tutto questo occorre qualche anno, ecco perché stimiamo che non si possa facilmente ritornare alla normalità di produzione a cui eravamo abituati, ecco perché si potrà assistere ad alleanze sempre più strette tra high-tech ed automotive, ovvero l’industria dell’automotive entrerà a pieno titolo nell’high-tech e sarà difficile distinguere tra le due. Non si escludono operazioni di M&A tra i settori.
I problemi da risolvere
L’industria dell’automotive ha necessità di ridurre rapidamente il gap di know-how e di produzione, ecco perché ha iniziato ad assumere in posizioni apicali a diretto riporto dei CEO degli executive provenienti dall’High Tech: è il caso di Ford, di GM e di altri.
Ancora più critica è la situazione delle materie prime, litio e cobalto in primis, le cui produzioni sono concentrate rispettivamente in Cile e Repubblica Democratica del Congo. Paesi dove l’estrazione è fatta senza regole chiare, spesso in assoluta mancanza di sicurezza e con lo sfruttamento dei minori o che, come il caso dell’estrazione e lavorazione del litio, assorbe il 65% dell’acqua della regione sottraendola alla popolazione ed all’agricoltura. Se la domanda aumenta in maniera esponenziale e senza controllo si rischia di danneggiare ulteriormente popolazioni già in difficoltà.
Ci troviamo davanti ad un cambio sostanziale dell’automotive ma anche in un momento in cui vanno riscritti gli equilibri geopolitici.
Fino ad oggi le big dell’hardware erano nate in Europa, Giappone o USA per poi spostare la produzione nei paesi asiatici (Cina, Taiwan, Core del Sud). Poi è arrivata l’era delle big del software e delle piattaforme che ha visto primeggiare gli USA e la Cina, nessun altro.
Oggi si ha l’opportunità di riaffermare l’Europa come uno dei centri mondiali della nuova High-Tech stante che l’industria automobilistica ha forti radici in Europa ed in Italia. Sarà però difficile controllare le materie prime di base a meno di trovare nuovi compromessi con i paesi che le possiedono. Sicuramente abbiamo l’opportunità di riportare in Europa un know-how ed una competitività che si era molto sfumata, a patto di agire più veloce degli altri nel creare quel substrato produttivo e di know-how necessario.