Il futuro è dell’auto elettrica, per il bene del pianeta. Ma è un futuro che ora appare in salita, oltre una collina.
Stanno infatti peggiorando i problemi lungo tutta la filiera delle batterie per le auto elettriche, dal reperimento delle materie prime alla raffinazione, fino alla produzione.
Ormai è tangibile anche l’impatto sul mercato degli stessi veicoli elettrici. Le batterie sono il collo di bottiglia di un boom che può sembrare, altrimenti, inevitabile a favore della nuova mobilità eco-sostenibile.
Per fare il punto sulla situazione abbiamo intervistato Francesco Naso, ingegnere meccanico–energetico e segretario generale dell’associazione di settore Motus E, il giornalista Paolo Attivissimo, esperto di digitale, e Luigi Di Marco, segretario AsVis (Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile).
Non solo problemi, però. Ecco cosa sta accadendo in questa fondamentale filiera della transizione energetica, dove sono promettenti i test nelle batterie al sodio e quelle più economiche ad aria compressa, tutte novità che dimostrano il dinamismo e il fermento nella ricerca e sviluppo di nuove tecnologie nel mercato storage.
Quali sono i problemi della filiera delle batterie per auto elettriche
Il successo dei veicoli elettrici (eV) sta mettendo sotto pressione tutta la filiera delle batterie. È difficile reperire le materie prime, ma si intensificano i problemi lungo tutta la supply chain, dalla raffinazione in metallurgia alla produzione.
“A breve termine ci sono dei problemi di approvvigionamento delle materie prime”, commenta il giornalista Paolo Attivissimo, “dovuti a una serie di fattori: la situazione pandemica, la guerra in Ucraina, la carenza di chip, i componenti elettronici che servono per la gestione della batteria. Tuttavia, si tratta di problemi, tutto sommato, a breve termine”.
“Sul lungo periodo è fondamentale il tema dell’approvvigionamento delle materie prime”, sottolinea Attivissimo, “in quantità sufficienti e a prezzi concorrenziali. Man mano che si chiudono i contratti con i Paesi fornitori delle materie prime, sembra che questa possibilità diventi più concreta. In questi mesi, si stringono alleanze e accordi per garantire a tutti i produttori di auto elettriche una fonte di rifornimento. Molto spesso, inoltre, i produttori di veicoli elettrici non vanno a procurarsi le materie prima, ma comprano le batterie già realizzate da un grande produttore: Samsung, Lg, Catl, Panasonic eccetera”.
“Se può esserci un aumento dei prezzi nel breve periodo”, avverte il giornalista, “a lungo periodo, l’attesa del mercato prevede un calo molto significativo dei prezzi all’ingrosso, il prezzo a cui è venduta la batteria ai produttori di automobili. Se questa riduzione dei prezzi verrà applicata anche sui prezzi listino, dipenderà dalle scelte dei player del mercato Automotive”.
Incentivi per abbassare i prezzi
Sul mercato c’è poi il fattore incentivi. “I prezzi”, conclude Attivissimo, “dipenderanno infatti anche dalla nuova serie di leggi del governo americano che offre forti incoraggiamenti all’industria per la conversione all’elettrico, cambiando parecchio le regole del gioco. Aggiungo, infine, che all’orizzonte ci sono tecnologie delle batterie molto differenti. Non ci sono solo le batterie al litio, ma molte batterie in via di sviluppo, attualmente in fase di testing in laboratorio, utilizzano il sodio: promettono prestazioni talmente superiori da renderle interessanti e significative. Il problema è riuscire a passare dal prototipo alla produzione a prezzi accettabili di miliardi di batterie necessarie per il mercato. L’opinione prevalente degli operatori di settore è che la transizione energetica si farà, però c’è una battuta d’arresto momentanea per i problemi riscontrati. Il consumatore che vuole acquistare, potrebbe avere convenienza ad aspettare prezzi inferiori. Chi possiede un’auto elettrica, potrebbe invece guadagnare rivendendola, approfittando della penuria di veicoli elettrici”.
I numeri
Secondo Bloomberg, le auto elettriche dovrebbero passare dal 10% di tutte le vendite nel mercato automobilistico nel 2021 al 40% entro il 2030.
Le stime parlano di una forbice fra 25 milioni e 40 milioni di auto elettriche vendute all’anno. Tuttavia, al di là delle previsioni più più prudenti od ottimiste, la domanda di decine di milioni di veicoli elettrici mette sotto stress la filiera delle batterie. La domanda prevede una crescita di sei volte 2030 a 2.700 GigaWatt all’ora (GWh) e 4 mila GWh.
Le GigaFactory
I prezzi dei metalli per le batterie sono in crescita quest’anno. Il primo rialzo nel decennio producono è tale da mettere a soqquadro precedenti previsioni.
Benchmark Minerals ha messo sotto la lente i piani dei produttori scoprendo che 282 nuove GigaFactory dovrebbero venire alla luce entro il 2031. Ciò potrebbe generare un aumento della capacità globale, fino a totalizzare 5.800 GWh.
“Le problematiche nella filiera delle auto elettriche sono principalmente tre”, spiega Francesco Naso alla guida di Motus-E, “al primo punto ci sono i tempi di realizzazione delle Giga Factory (richiedono circa tre anni per la costruzione) e la capacità produttiva delle fabbriche. L’Europa sta infatti cercando di aumentare la capacità produttiva. Anche il Piano Biden dovrebbe spostare e aumentare la capacità produttiva americana. Si può supporre che Europa e Stati Uniti vogliano candidarsi (anche se non è detto che ci riescano) a produrre almeno metà dei circa 5 mila Gigawatt all’ora, ma secondo le stime potrebbero servirne anche meno, fra i 2 mila e i 4 mila GWh a livello globale”.
Il fattore geopolitico
Al secondo posto cresce l’impatto del fattore geopolitico. I produttori automobilistici europei stanno cercando disperatamente di ridurre la loro dipendenza dall’industria delle batterie cinesi, sotto la pressione delle crescenti tensioni geopolitiche. Ma le aziende cinesi detengono il monopolio a livello mondiale in tanti elementi chiave: il 70% del litio, l’84% del nickel e l’85% del cobalto. Negli ultimi due mercati, calerà il market share cinese, ma rimarrà intorno al 75% per altri cinque anni.
“Il tema è che molto dipende da come evolveranno gli equilibri geopolitici nei prossimi anni”, prosegue Naso. “Un pezzo significativo delle Giga Factory programmate in Europa erano investimenti potenziali di aziende cinesi. Non credo che si interromperanno gli investimenti già pianificati, ma gli altri annunciati potrebbero subire interruzioni e contrazioni. Tuttavia, nuovi e vecchi player potrebbero in parte sostituirli. Se si alimenta questa tendenza di isolamento geopolitico della Cina, a trarne vantaggio saranno i marchi Sud-coreani e in parte i giapponesi, più nuovi player che potrebbero nascere in ambito statunitense ed europeo. Però, otto anni, in realtà, sono pochi per consentire a nuovi player di emergere”.
Il dominio della Cina nella produzione delle batterie provoca mal di pancia trasversali in occidente. Infatti il Paese detiene l’80% dell’attuale capacità della produzione di celle. Benchmark Minerals prevede che le quote di mercato della Cina registreranno un declino nel giro di un decennio. Ma un calo non eccessivo: raggiungerà il 70% circa. Entro la decade gli USA produrranno in casa il 12% della capacità globale, mentre l’Europa è destinata a detenere le quote restanti.
Le joint venture statunitensi
Secondo Deloitte, gli USA passeranno da meno 5 milioni di veicoli su 31 milioni di auto elettriche nel 2030, contro i 15 milioni in Cina e 8 milioni in Europa. I colossi automobilistici di Detroit hanno siglato joint venture con i produttori Sud-coreani per realizzare le GigaFactory domestiche. A luglio Ford e sk Innovation hanno finalizzato un accordo per costruirne una in Tennessee e due in Kentucky: il colosso americano contribuisce per 6.6 miliardi di dollari e il sud-coreano per 5.5 miliardi di dollari. Ma Ford ha anche firmato un’intesa per importare batterie cinesi da Catl. General Motors e Lg Energy, invece, investiranno 7 miliardi di dollari in tre fabbriche di batterie in Michigan, Ohio e Tennessee.
Lo scenario in Europa
Più esposti ai problemi delle batterie per le auto elettriche sono i colossi dell’Automotive europeo. Volkswagen pianifica la costruzione di sue 6 GigaFactory entro il 2030. Alcuni marchi, come Bmw, stanno facendo squadra con i vendor della Sud-corea. Altri, come Mercedes-Benz, stanno investendo nella produzione in Europa attraverso la joint-venture detta Acc. Un numero di startup europee, come la svedese Northvolt, che vanta il supporto di Volkswagen e Volvo, sono impegnate nell’aumentare la capacità. Ma rimane ancora rilevante la dipendenza cinese dei produttori europei. Alcune di queste batterie saranno comunque realizzate nel Vecchio continente. Il primo investimento di Catl in Europa avverrà in Germania e sarà operativo entro fine anno. Ma presenta un problema: dovrà importare alcune componenti dalla Cina.
La dipendenza cinese ha anche un pesante impatto sul calcolo delle emissioni. Le tariffe dell’import di natura carbon-intensive prevede di sommare un 5-8% al costo di una batteria cinese senza filiera decarbonizzata. Potrebbe, dunque, causare un rialzo del prezzo finale di 500 dollari per pack. Dunque, rispetto a quelle cinesi sono più competitive ed economiche le batterie del Nord Europa, che sfruttano energia rinnovabile idroelettrica. L’Europa, grazie a questi provvedimenti, sta disincentivando i produttori di auto ad importare batterie dall’estero, e in particolare quelle inquinanti dalla Cina.
La ricerca dei metalli: non solo litio
Altro punto critico riguarda gli elementi chimici e quindi il tema delle materie prime. “Negli storage statici, non c’è solo il litio”, mette a fuoco il segretario generale di Motus-E, “ma anche il sodio, elemento che gode del vantaggio di essere estremamente abbondante in natura. Questo elemento sembra ricoprire un ruolo molto significativo e promettente per alimentare le batterie. Non tanto nell’Automotive, perché la densità di energia e di potenza delle batterie al sodio è inferiore. Tuttavia, l’uso di batterie al sodio in altri campi renderebbe il litio più disponibile proprio per le batterie delle auto elettriche. Inoltre promettenti sono anche altre tecnologie, come le batterie ad aria compressa che garantiscono un accumulo più economico. C’è molto fermento e anche l’industria italiana ha molto da dire”. “Tuttavia non si possono fare scommesse, ed è tutto incerto”, come direbbe Mario Draghi viviamo in terra incognita.
“Il tema delle materie prime”, mette in evidenza Francesco Naso, “è sensibile”. “Non a caso si chiamano materie critiche”, conferma Luigi Di Marco (AsVis).
“Dobbiamo dunque emancipare dal litio una parte dello stoccaggio statico necessaria nei prossimi anni”, continua l’ingegner Naso: “Ma la capacità estrattiva del litio deve crescere, così come dovrà crescere in maniera significativa quella del nickel“.
Grazie a un balzo della produzione in Indonesia, che detiene il 37% dell’estrazione del nickel, il mercato non presenta grandi colli di bottiglia. Tuttavia, il nickel indonesiano non è il migliore per l’utilizzo nelle batterie. Ha emissioni di CO2 triple rispetto a quello di Canada, Nuova Caledonia o Russia (ma la Russia è fuori gioco a causa delle sanzioni).
L’impatto ambientale
“Un’altra priorità”, conclude Naso, “è l’impatto ambientale. L’industria mineraria, che include anche l’estrazione di combustibili fossili, non si è mai posta le problematiche di sostenibilità, perché una volta a valle non c’era richiesta di politiche ambientali. Si tratta di una catena che si è scarsamente innovata”. Tuttavia, proprio per questo motivo ha ampi margini di miglioramento.
Il cobalto presenta molte problematiche. L’espansione mineraria avviene soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo (Drc), il principale Paese estrattore di cobalto. L’Indonesia dovrebbe coprire il fabbisogno fino al 2027. Il Paese africano è nel mirino a causa dello sfruttamento minorile e inquinante delle cosiddette miniere artigianali. I produttori di auto elettriche occidentali non vogliono essere associati con questa filiera.
“Gran parte del cobalto da estrarre nei prossimi otto anni può provenire dal riciclo delle batterie e dunque dall’economia circolare, in cui l’Italia può svolgere ruolo di primo piano”.
“Inoltre, per ovviare a questi problemi di inquinamento, le batterie delle auto elettriche possono prevedere uno sviluppo in grado di ridurre il contenuto di cobalto, come sta già avvenendo con le batterie al litio-manganese-cobalto. E non sono le uniche chimiche. Infatti stanno prendendo piede le batterie al litio-ferro-fosfato che utilizzano materie prime maggiormente disponibili”.
La carenza di litio: realtà o finzione?
Il lithium shortage, la presunta carenza di litio, sta obbligando le aziende manifatturiere a tagliare la produzione.
Ma nuovi progetti estrattivi, dal 2026 riporteranno il mercato del litio in surplus. I prezzi si prevedono più bassi di oggi, ma almeno tripli rispetto a più di un anno fa.
Nei giorni scorsi è avvenuta la bocciatura del referendum in Cile sulla nuova Costituzione, che proponeva la nazionalizzazione delle riserve naturali. Intanto, le modifiche al regime fiscale in Australia, dovrebbe portare investimenti freschi in una produzione di metalli “green”, dunque in una filiera sostenibile. Ma la battaglia per il litio durerà fino al 2030.
Tuttavia il mercato dei green metal rimane ancora di modeste dimensioni. Il risultato è che l’industria mineraria attrae capitali dal private-equity e dai produttori che praticano l’integrazione verticale. La sud-coreana Lg e la cinese Catl supportano progetti estrattivi. Da inizio 2021, si contano 20 investimeni nel nickel, e 5 nel litio e cobalto. La tedesca Volkswagen ha annunciato a marzo una joint venture con due miniere cinesi per assicurarsi nickel e cobalto per le sue fabbriche di auto elettriche in Cina. A luglio General Motors ha affermato che pagherà 200 milioni di dollari a Livent, produttore di litio, per garantirsi l’approvvigionamento di metallo bianco. Tutti sulle orme di Tesla che firma accordi per garantirsi approvvigionamenti senza rischi di interruzione nella filiera delle batterie ed altri problemi per auto elettriche.
Ma “i dati dei Benchmark minerals sulle riserve del litio”, spiega l’ingegner Naso, “non devono però preoccupare nessuno, proprio perché sono riserve e cioè si riferiscono a potenziali sorgenti estrattive già conosciute e già esplorate: non sono utilizzate solo perché non ce n’è bisogno, non perché manchi il litio. L’industria mineraria si muove infatti in base alla domanda. In realtà, esistono nuove fonti promettenti di litio, perfino in Italia, c’è un giacimento, molto promettente, in fase di esplorazione alle porte di Roma”.
L’assenza di interoperabilità: altri problemi nelle batterie per auto elettriche
Infine, un altro limite nella filiera delle batterie riguarderebbe il fatto che ogni fabbrica di celle è guidata da investimenti e sviluppi di singole case automobilistiche. Tecnologie e specifiche proprietarie provocano mancanza di interoperabilità fra celle, dunque ciò significa che possa crearsi un altro collo di bottiglia.
“Il timore è che la standardizzazione sarà minima”, conclude Naso. “Francamente su questo tema non sono affatto così tranchant. Forse non accadrà una comoditizzazione delle celle nei prossimi otto anni (e magari questo succederà più avanti). Ma in realtà si potrebbe creare uno standard minimo. Per esempio, si sta realizzando intorno alle celle 4680 della Panasonic, già a bordo nei nuovi modelli targati Tesla”.
Le soluzioni ai problemi nella supply chain delle batterie per auto elettriche
I governi occidentali devono diversificare le loro supply chain, come l’Europa si sta emancipando dalla Russia nel gas. L’anno scorso il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha svelato un blueprint per premiare una filiera domestica delle batterie. L’Infrastructure law è passata nel 2021: prevede 3 miliardi di dollari per produrre batterie in America.
Inoltre, l’Inflation Reduction Act, dello scorso 16 agosto, include facilitazioni per l’industria, per promuovere l’approvvigionamento di materiali e componentistica da America o Paesi alleati.
L’Europa ha creato un’alleanza per le batterie nel 2017 per coordinare sforzi pubblici e privati. Ben 127 miliardi di euro di investimenti hanno riguardato questa supply chain, ma si prevedono altri 382 miliardi di euro dal 2030. L’occidente dovrebbe diventare auto-sufficiente nella produzione delle celle finite dal 2027.
“Ora con il gas abbiamo finalmente aperto gli occhi sul ruolo della finanza e della speculazione”, commenta Luigi Di Marco, segretario di AsVis. “Interessi speculativi richiedono come risposta quella che l’Europa chiama l’autonomia strategica aperta“. Infatti “dobbiamo conoscere lo stato della reale disponibilità delle materie prime. Sapevamo di essere in condizione di vulnerabilità, ma occorre lavorare a livello di multilateralismo su scala internazionale. Ciò comporterebbe un G20 in cui tutti dialogano insieme per la pace. Non possiamo pianificare a livello finanziario una transizione energetica se non sappiamo che costo avranno le materie prime e se saranno disponibili”.
“Come europei, dobbiamo investire in una più forte economia circolare, rafforzare i partner che condividono i nostri stessi obiettivi, creare accordi con Usa, Canada e America Latina per assicurarci un bacino comune”, continua di Luigi.
Inoltre “bisogna anche puntare sulla sobrietà, prevista dai programmi europei, spostando la domanda di mobilità da quella privata e da quella pubblica e il servizio pubblico deve funzionare, scommettendo su car-sharing e mobilità con servizio. La condivisione invece del possesso del mezzo”, conclude di Luigi: “Scarsità e costi alti devono spingere verso una pianificazione sostenibile. Ridurre gli sprechi permette anche di spingere verso migliori processi estrattivi e di perseguire gli obiettivi ambientali”.
Tempi difficili, ma andrà meglio
Nuovi giacimenti, tecnologie innovative e più green, una chimica più sostenibile porteranno maggior equilibrio nel mercato. Saranno tempi difficili per un po’, a causa dei paradossi e degli “sporchi segreti” della transizione elettrica. Ma la situazione è destinata a migliorare in futuro.