L’elezione di Ursula von der Leyen al suo secondo mandati presidente della Commissione Europea avviene in un momento cruciale per l’Unione Europea, particolarmente se pensiamo alle strategie ambientali e per la transizione verso una mobilità sostenibile.
Al centro dell’agenda politica europea c’è il delicato equilibrio tra sostenibilità e competitività industriale, con un occhio di riguardo alle auto elettriche. Ma, mentre in questo ultimo comparto la Cina continua a investire miliardi, consolidando la sua posizione di leader globale, l’Europa è in forte ritardo e si trova di fronte a sfide significative. Tra queste, la necessità di colmare il divario tecnologico e finanziario con Pechino, affrontare i costi elevati per i consumatori e sviluppare infrastrutture adeguate per la ricarica.
Facciamo allora il punto sulle dinamiche attuali e future del mercato delle auto elettriche in Europa, analizzando le politiche comunitarie “green” come illustrate nel discorso programmatico di von der Leyen, le reazioni dell’industria e le aspettative dei consumatori.
I delicati equilibri politici della Commissione europea
A seguito del voto europeo che ha visto una crescita dei partiti di destra in tutto il continente – sebbene non in maniera così dirompente da scardinare gli equilibri all’interno del parlamento – i gruppi parlamentari hanno eletto per la seconda volta Ursula von der Leyen come presidente della Commissione Europea. Il peso delle famiglie politiche europee è leggermente cambiato, con i Popolari che risultano essere il gruppo più corposo, mentre i socialisti diminuiscono, anche se di poco, la loro presenza all’interno dell’emiciclo. Popolari, Socialisti e Liberali hanno nuovamente formato quindi una maggioranza in Europa. I numeri comunque rimangono risicati: ogni gruppo ha bisogno dell’altro e tra veti incrociati e cordone sanitario applicato all’estrema destra – in particolar modo ai Patrioti di Orban, Salvini e Le Pen, ma anche i conservatori guidati dalla presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, orfani degli spagnoli di Vox, non hanno ancora capacità di attrarre consensi trasversali – serve il supporto anche dei Verdi.
Le politiche green (e industriali) della prossima Commissione Europea
Ursula von der Leyen sicuramente non sarà meno intransigente sui temi ambientali. Quello che però si percepisce sentendo le dichiarazioni anche di parte dell’establishment di Bruxelles, è che il discorso pubblico sulle tematiche della sostenibilità e dell’ambiente abbia avuto un innesto di consapevolezza pragmatica. Dal punto di vista mediatico, politico e sociale il dibattito su questo dossier sembra diventato meno ideologico.
Il green deal ribattezzato: ora è “Clean Industrial Deal”
Si ragiona sull’utilizzo dell’energia nucleare come fonte indispensabile per affrontare la transizione ecologica; si parla in maniera più approfondita dell’impatto delle politiche ambientali sulla società, sul lavoro e sull’economia; si discute del ruolo che può svolgere l’industria a livello nazionale e a livello europeo. Anche nel suo discorso programmatico per i prossimi cinque anni di legislatura, von der Leyen sembra aver fatto un rebrand del Green Deal, chiamandolo “Clean Industrial Deal”. Sebbene la presidente rieletta si sia impegnata a mantenere la rotta sul Green Deal (rivendicando le politiche degli ultimi 5 anni), ha anche teso una mano all’industria, parlando della necessità di concentrarsi “sugli investimenti” per “un nuovo Deal industriale” perché “le imprese hanno bisogno di prevedibilità”.
L’industria europea schiacciata dalla concorrenza della Cina
Una prospettiva che “le nuove generazioni meritano” l’ha definita Ursula von der Leyen, anticipando un più generale piano per l’industria green da realizzare nei primi 100 giorni del suo mandato. Inoltre, negli ultimi mesi abbiamo assistito effettivamente a una presa d’atto di come sia necessario rilanciare l’industria europea schiacciata dalla concorrenza della Cina. Concorrenza che investe molti settori, ma che trova una forte applicazione proprio sul campo di battaglia delle tecnologie green.
L’impegno del governo cinese sulle auto elettriche
Infatti, mentre a Bruxelles si immaginavano nuovi regolamenti, si studiavano future direttive e le delegazioni erano occupate a svolgere incontri programmatici o condurre negoziati sulle più disparate materie di competenza europea, la Cina – che da tempo ha compreso quale sarebbe stato il focus dei prossimi cinquant’anni – investiva a piene mani nell’industria green, con l’obiettivo di stabilire una egemonia sulle auto elettriche, i pannelli fotovoltaici e le batterie.
Gli investimenti monstre di Pechino nel settore
Secondo uno studio del think tank Rhodium Group, le aziende cinesi hanno investito soltanto nel 2023 28 miliardi di dollari nel settore delle auto elettriche. John Kennedy, Senior Advisor per l’economia della Cina al Center for Strategic and International Studies (CSIS) ha stimato che dal 2009 al 2023 il governo cinese ha supportato l’industria dell’auto elettrica per la cifra esorbitante di 230 miliardi di dollari, senza tenere conto di altri fondi destinati alla filiera come nelle materie prime per le batterie. Ad esempio CATL, il più grande produttore di batterie al litio in Cina, ha visto salire i contributi pubblici da 76,8 miliardi di dollari nel 2007 a 809 miliardi di dollari nel 2023. L’obiettivo del governo, neanche a dirlo, era aumentare notevolmente la produzione di veicoli elettrici. Non è un caso se nel 2023 più della metà delle vendite di auto elettriche a livello mondiale (il 60%) proveniva dalla Cina.
Le politiche del Dragone hanno permesso alle imprese di spendere meno per ogni auto elettrica prodotta, sviluppando politiche di investimenti efficienti e qualitativi, e allo stesso tempo ha garantito ai suoi cittadini l’acquisto a basso prezzo dei veicoli elettrici.
Europa in ritardo sulle auto elettriche
La mole degli investimenti della Cina nel settore delle auto elettriche è davvero considerevole, in particolar modo se comparati alle cifre modeste utilizzate dall’Unione Europea o a quelle quasi inesistenti previste dalla politica italiana.
I dazi imposti da Bruxelles
A livello comunitario, accortisi di questa enorme e incolmabile disparità con Pechino – alimentata da più di un decennio di immobilismo che ha gettato le basi per l’attuale impietoso confronto – i commissari a Bruxelles hanno pensato di imporre dazi sull’importazione di auto cinesi nell’Unione Europea come unico modo per arginare la cavalcata cinese. Nelle scorse settimane, la Commissione ha annunciato un innalzamento al 38,1% dei dazi sull’importazione di auto elettriche cinesi.
La risposta della Cina
Ovviamente la Cina non si è fatta attendere annunciando ulteriori dazi all’importazione in Cina di prodotti europei, in una spirale perversa. È evidente come nessuna azienda europea possa competere in queste condizioni. La strategia UE dovrebbe essere ribaltata: invece di colpire i prodotti cinesi aumentandone il prezzo attraverso la politica dei dazi, si dovrebbe prevedere corposi investimenti nel settore per recuperare un briciolo di competitività.
È difficile fare previsioni, ma, nel corso della storia, le guerre dei dazi hanno sempre colpito la popolazione, in particolare le classi meno abbienti. Le medio potenze come la nostra, le nazioni meno attrezzate e quelle più deboli sono le più esposte a una guerra commerciale. È difficile ammetterlo, ma in questo confronto è l’Europa il contendente più fragile.
Il futuro della transizione verde
Che fine farà la transizione green? Se come ormai sembra evidente a tutti i costi per rispettare gli obiettivi stabiliti dalle Nazioni Unite non sono sostenibili per la maggior parte delle famiglie, è probabile che acquisti di beni come quelli dell’automobile verranno sacrificati e rimandati a data da destinarsi.
Purtroppo non sarà possibile tornare indietro. I produttori di auto europee, in particolare quelli tedeschi, avevano già deciso di spostare la produzione dei motori termici in paesi extraeuropei, dove i costi di manodopera e materie prime sono più bassi, con l’obiettivo di fare del nostro continente un produttore di auto elettriche.
I fattori che frenano il decollo dell’auto elettrica
Il problema è che, in assenza di sussidi europei di grandezza simile a quelli messi in campo dalla Cina, i veicoli elettrici rimarranno sempre troppo costosi per essere acquistati.
Questi ragionamenti filano se non teniamo conto di un fattore che va analizzato, quantomeno in un’ottica di lungo periodo. Un recente studio di McKinsey ha rivelato alcuni dati solo in apparenza sorprendenti: il 46% dei proprietari di auto elettriche negli Stati Uniti ha espresso il desiderio di tornare a un’auto termica; per il 35% la rete di ricarica necessaria per rimanere a piedi non è sufficiente; per il 34% l’autonomia del veicolo è un problema; per il 24% non è possibile alcuna ricarica domestica; per il 45% il costo di comprare e mantenere un’auto elettrica è eccessivo.
Conclusioni
Statistiche molto probabilmente applicabili anche al nostro continente: siamo sicuri che la pezza europea sulle auto elettriche non sia peggio del buco?