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B Corp e Società Benefit: come conciliare profitti e sostenibilità



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Le B Corp e le Società Benefit sono nate dall’iniziativa di ex imprenditori di AND 1, che nel 2006 hanno fondato B Lab per promuovere pratiche aziendali socialmente responsabili. Queste aziende certificano il loro impatto positivo e crescono più velocemente delle non-benefit, dimostrando che l’impegno sociale può migliorare la competitività aziendale

Pubblicato il 15 ott 2024

Roberto Bonino

Volt Europa, Bruxelles e LUSVAL, Parigi



società benefit (1)

Nel cuore del panorama imprenditoriale globale, un movimento sta ridefinendo il concetto di successo aziendale. Le B Corp e le Società Benefit emergono come pionieri di un modello che unisce profitto e responsabilità sociale. Originato dall’esperienza di imprenditori visionari, questo approccio dimostra che l’impegno verso il bene comune può potenziare la crescita e la competitività delle aziende.

Origini del movimento B Corp e delle Benefit Corporation

La storia delle B Corp e delle Società Benefit nasce dalle convinzioni personali di alcuni giovani imprenditori di successo e comincia in una fabbrica di scarpe. O meglio comincia quando, nel 2005, i fondatori di AND 1, azienda specializzata in scarpe e abbigliamento da basket fondata nel 1993, pur avendo accolto nuovi investitori nel capitale sociale per cercare di far fronte alla consolidazione del mercato, si devono rassegnare a vendere la società.

Sin dall’inizio l’azienda aveva sviluppato una grande sensibilità sociale ma, a seguito della vendita, i fondatori hanno assistito impotenti allo smantellamento degli impegni nei confronti dei dipendenti, dei lavoratori all’estero e della comunità locale. A quel tempo, infatti non era facile per un’azienda privata salvaguardare gli interessi delle parti in causa, a scapito del profitto immediato: è la teoria del “primato degli azionisti”, che sostiene che lo scopo principale di una società è massimizzare il valore per i suoi azionisti, ponendo i loro interessi al centro delle decisioni aziendali.

Aziende con una coscienza sociale

Uno dei promotori più convinti di questa teoria è stato il premio Nobel Milton Friedman che affermava senza esitazione che “la responsabilità sociale delle aziende è di accrescere i profitti”. Al giorno d’oggi un numero crescente di consumatori ed investitori si aspetta dalle aziende una coscienza sociale ben sviluppata e anche il discorso accademico ha cominciato seriamente a esplorare strade per promuovere una visione a lungo termine alternativa al profitto a breve termine. Ad esempio Joseph Stiglitz, un altro premio Nobel, ha rimesso in causa non solo la teoria del primato degli azionisti, che considera responsabile della crescente disparità sociale e del rallentamento della crescita negli Stati Uniti ma anche l’uso del PIL (Prodotto Interno Lordo) come strumento adeguato per misurare il livello di sviluppo di una nazione. Una riflessione che trova eco anche in politica, dove ad esempio Volteuropa propone una ridefinizione del PIL che includa la contabilità del capitale naturale nell’attività economica.

B Corp e società benefit: soluzioni concrete a sostegno dell’impegno sociale e ambientale delle imprese

I fondatori di AND 1 comunque non sono degli accademici, e due di loro, Coen Gilbert e Bart Houlahan, scottati dalle conseguenze della cessione della loro impresa, insieme al loro amico di lunga data Andrew Kassoy, hanno cominciato a cercare soluzioni concrete a sostegno dell’impegno sociale e ambientale delle imprese. E così che nel 2006 hanno lanciato B Lab, un’organizzazione senza scopo di lucro al servizio di un movimento globale di persone che utilizzano il business come forza per il bene.

Gli obiettivi di B Lab

Gli obiettivi di B Lab erano essenzialmente tre:

  • creare una comunità di aziende determinate ad usare l’imprenditoria come una forza positiva per il mondo,
  • fornire degli standard chiari per permettere alle aziende partecipanti di distinguersi concretamente da chi si limita ad azioni di comunicazione,
  • definire un quadro legale per garantire che l’impegno sociale possa mantenersi oltre la presenza attiva dei fondatori e proprietari iniziali.

Il processo di certificazione

Il primo passo è stato dunque di creare un processo di certificazione, che ha visto la prima impresa certificata nel 2007, parte di un gruppo di 19 candidati. Per ottenere la certificazione, un’azienda deve valutare il proprio impatto sociale e ambientale e soddisfare una serie di requisiti legali e di trasparenza. In particolare deve completare il B Impact Assessment BIA, una piattaforma online, disponibile in Inglese Italiano e varie altre lingue che misura cinque aree di impatto: ambiente, lavoratori, comunità, governance e clienti.

La piattaforma è gratuitamente a disposizione di qualsiasi azienda interessata a valutare il proprio impatto, anche se non vuole essere certificata. In sostanza il BIA, può essere usato come un programma di autovalutazione aperto a tutti. La valutazione dà luogo a un punteggio massimo di 200 punti e le imprese che ne ottengono almeno 80, possono entrare nel processo di certificazione durante il quale le loro risposte vengono verificate da un certificatore di B Lab. Per mettere questo dato in prospettiva, il punteggio mediano per le aziende ordinarie è di 50,9. La certificazione vale tre anni, dopodiché deve essere aggiornata, ed il costo parte da 1.000€ per le aziende più piccole.

Il business come forza per il bene: l’esempio delle italiane Watermelon e TimeFlow

Il rigore del questionario e la corrispondente revisione dei certificatori di B Lab sono un impegno importante, specie per delle strutture medio piccole.

Per Watermelon, casa di produzione video e animazione della Valtellina, la certificazione B Corp è stata la concretizzazione di un percorso già intrapreso da anni. Ci spiega Barbara Bongetta, co-fondatrice e produttrice presso Watermelon che l’impegno sociale e ambientale è sempre stato presente nella filosofia sua e del suo socio Carlo De Agostini e che diventare Società Benefit e B Corp ha permesso di dare struttura e visibilità a una visione già ben radicata di un’azienda profondamente convinta dell’importanza del proprio impegno sociale e ambientale.

Come ci dice Lorenzo Danese, CEO e co-founder di TimeFlow, un’altra recente certificata Italiana attiva nella digitalizzazione dei processi di IT sourcing, il processo richiede una valutazione molto dettagliata delle pratiche aziendali e spesso comporta l’implementazione di nuove politiche e procedure per migliorare la sostenibilità e la governance. Tutto ciò, ribadisce Barbara Bongetta, è particolarmente impegnativo per un’azienda che decide di seguire il processo con risorse interne, senza far ricorso a consulenti specializzati.

Per ottenere la certificazione l’azienda deve anche compilare un questionario di divulgazione, in cui può informare il B Lab su eventuali pratiche sensibili, multe e sanzioni relative all’azienda o ai suoi partners. Le risposte non influiscono sul punteggio della valutazione complessiva ma la trasparenza è assicurata dal fatto che sia i risultati del BIA che il questionario delle aziende certificate sono disponibili sul sito Bcorp.

Ultimo requisito per la certificazione riguarda l’aspetto legale. Le aziende devono modificare i loro statuti per rendere il loro impegno sociale irremovibile, oppure, laddove la forma giuridica di Benefit Corporation, di cui parleremo più avanti, è disponibile, adottarla entro un periodo di tempo determinato ( 2 anni in Italia).

La creazione di una forte comunità globale

La creazione di una forte comunità globale è stata sin dall’inizio uno degli obiettivi di B Lab che si è si è rapidamente estesa nel mondo grazie ad un’efficace strategia di partenariati e nel 2023, anno di massima crescita della comunità, le B Corp certificate nel mondo sono arrivate a più di 8000 e sono ormai più di 9000. Ma non si tratta solo di fare volume: B Lab si è sin dall’inizio impegnata ad animare la comunità tramite eventi, collaborazioni e formazioni. In Italia, ad esempio, B lab Italia porta avanti dei gruppi di lavoro per la condivisione di best practice – anche con realtà non certificate – sui temi di uguaglianza di genere, neutralità carbonio ed educazione. Questo senso di comunità è uno degli aspetti che più motiva Barbara Bongetta, che lo usa anche come spunto per strutturare in modo più efficace e stimolante eventi aziendali interni.

 Far parte di questa comunità però richiede uno sforzo concreto ed un impegno a lungo termine, perché, come sottolinea Lorenzo Danese, adattare la strategia aziendale per soddisfare i requisiti in maniera permanente, piuttosto che limitarsi a un mutamento temporaneo, impone un cambiamento culturale significativo.

La nascita della forma sociale di Benefit Corporation

Come hanno dovuto constatare i fondatori di AND 1 e altre società con una forte visione sociale e ambientale, tutti questi sforzi rischiano di andare perduti nel caso di cambiamento della struttura del capitale, con l’ingresso di nuovi investitori con convinzioni sociali meno spinte, in particolare in caso vendita della società. E così che, sotto l’impulso di di B Lab, nel 2010 la forma sociale di Benefit Corporation è stata introdotta nello stato del Maryland (seguito da altri 35 stati negli Stati Uniti) per consentire di integrare nell’attività imprenditoriale un ampio spettro di interessi al di là del primato del profitto degli azionisti. La Benefit Corporation mette le pratiche sociali e ambientali al sicuro da un’interpretazione stretta del primato degli azionisti.

Italia capofila nel recepimento dello statuto giuridico di Benefit Corporation

L’Italia é stata il primo stato al di fuori degli USA a recepire, sempre grazie all’attivismo della comunità B Corp, lo statuto giuridico di Benefit Corporation con la creazione dello statuto di Società Benefit, seguita poi in Europa da Francia, Spagna e Portogallo.

Chiaramente ogni ordinamento ha recepito la struttura iniziale della Benefit Corporation americane tenendo conto delle specificità nazionali. In Italia, ad esempio, la qualifica è aperta anche alle cooperative anche se, come spiega Ilaria Magagna, di Tara Facilitazione, prima cooperativa lavoro registrata come società Benefit con cui avevamo parlato anche di sociocrazia in un articolo precedente, il percorso amministrativo può rivelarsi impegnativo. Secondo l’ordinamento italiano le Società benefit devono indicare nell’oggetto sociale una o più finalità di beneficio sociale o ambientale, hanno l’obbligo, di bilanciare l’interesse dei soci con il perseguimento del beneficio comune e di pubblicare una relazione annuale che misuri anche l’impatto generato – secondo standard di valutazione esterni – su governance, lavoratori, stakeholder del territorio e ambiente.

Le Società Benefit in Italia erano oltre 3600 a fine 2023. Quanto alle B Corp l’Italia ne contava 266 a fine 2023, con una crescita spettacolare del 41% sull’ultimo anno, ponendosi al secondo posto nella classifica europea a pari merito con l’Olanda. Come discusso in precedenza tutte le B Corp italiane sono destinate, se non lo sono già, a diventare anche Società Benefit. In Europa a fine 2023 erano presenti 1644 B Corp, in 29 paesi diversi, impiegando 170.000 lavoratori e generando un fatturato di circa 79 Miliardi di Euro.

I fattori alla base del successo delle B Corp

Secondo un articolo di Harvard Business Review, il successo delle B Corp è dovuto a due fattori principali oltre all’impegno e alle convinzioni personali dei leader delle imprese partecipanti. Da una parte, in un mondo in cui le grandi imprese possono permettersi costose campagne promozionali per illustrare le loro attività di responsabilità sociale, le imprese più piccole, che dispongono di mezzi di comunicazione più limitati, possono distinguersi dimostrando che il loro profondo impegno nelle cause sociali e ambientali è più genuino e radicato nella loro cultura. D’altra parte, partecipare alla comunità permette a imprese con forte sensibilità sociale e ambientale di “fare quadrato” in settori di economia in cui le grandi imprese sono particolarmente aggressive nelle loro pratiche di massimizzazione dei profitti.

Questo spiega come l’introduzione dell’iniziativa B Movement Builders del B Lab nel 2020 – un programma di certificazione specifico per le aziende con almeno 100 milioni di dollari di fatturato, che ha portato un maggior numero di aziende multinazionali a ottenere la certificazione, abbia anche creato qualche resistenza nella comunità. Ad esempio nel 2022, un gruppo di aziende di caffè certificate B Corp, insieme all’organizzazione no-profit Fair World Project con sede a Portland, nell’Oregon, scrisse una lettera aperta al B Lab Global, per esprimere la propria preoccupazione che la certificazione di Nespresso, di proprietà di Nestlè, fosse un fattore di diluizione dell’integrità del movimento.

È chiaro che per una multinazionale è difficile integrare la filosofia B Corp con la stessa convinzione di una piccola azienda che può includere l’insieme dei dipendenti nel processo. Resta il fatto che impegnarsi nella certificazione dimostra una chiara volontà anche delle realtà più importanti e la trasparenza imposta dal processo di certificazione, anche se imperfetta, le espone a un controllo più sostenuto da parte delle varie parti in causa. Ad esempio, Brewdog, produttore internazionale di birra basato in Scozia, ha rinunciato alla propria certificazione B Corp a seguito di una lettera aperta dei lavoratori che denunciano le condizioni di lavoro.

Verso nuovi standard

Inoltre, il processo di certificazione è soggetto a revisioni regolari e si è appena conclusa l’ultima consultazione globale della comunità sull’argomento. I nuovi standard, ancora in fase di elaborazione finale, sono concepiti per tener meglio conto delle dimensioni delle società candidate e del contesto specifico in cui operano. Le aree coperte sono state riviste, in particolare per tenere conto dell’aggravarsi della crisi climatica e comprendono: Missione e Stakeholder Governance, Cultura organizzativa, Equità salariale, Giustizia, Equità Diversità e Inclusione, Diritti Umani, Azione per il Clima, Circolarità e Tutela Ambientali e Relazioni Istituzionali e Azione Collettiva a cui si possono aggiungere argomenti di impatto complementari. Un’attenzione particolare nei processi di certificazione e ricertificazione verrà data al miglioramento continuo delle imprese partecipanti

Società Benefit: l’impatto positivo sul brand e le relazioni aziendali

Sia TimeFlow che Watermelon confermano l’impatto positivo che essere Società Benefit ha avuto per i loro brand e le relazioni aziendali e parlano delle reazioni positive da parte di personale, clienti e fornitori al completamento della certificazione Bcorp. Le due società si aspettano anche un positivo riscontro di mercato all’approfondimento del loro impegno sociale e ambientale con la certificazione B.

A questo punto ci si può chiedere se tutto questo impegno ha veramente un impatto positivo sui rendimenti aziendali oppure distoglie risorse e rende le imprese meno competitive sul mercato.

I dati del Report sulle Società Benefit nel 2024

Una Ricerca Nazionale sulle Società Benefit nel 2024 promossa da Nativa, prima B Corp Europea, Università di Padova, Intesa Sanpaolo e altri operatori economici, permette di dare alcune risposte a questa domanda.

L’analisi, basata sugli anni 2019-2022, mette in luce un gruppo di aziende più dinamiche delle non-benefit su parametri come la variazione del fatturato (+37% delle Società Benefit vs. +18% delle non-benefit in termini mediani) e il margine unitario (EBITDA margin) (da 8,5% a 9% per le Società Benefit e da 8,1% a 8,3% per le non-benefit), e possono quindi ridistribuire più valore agli azionisti; la produttività è più alta (62.000€ per addetto per le Società Benefit vs. 57.000€ per le non-benefit nel 2022) e consente di far fronte a un costo del lavoro maggiore (41.000€ per addetto per le Società Benefit a 38.000€ per le non-benefit nel 2022), distribuendo più valore ai dipendenti. Infine, investono di più nelle leve strategiche come brevetti, mostrano una internazionalizzazione più spinta e una maggiore attenzione alla sostenibilità.

Con buona pace di Friedman e dei difensori del primato agli azionisti, si direbbe proprio che in azienda, fare del bene fa bene all’azienda.

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