Capita spesso di leggere articoli riguardo alla quantità esorbitante di energia consumata (talvolta si dice anche sprecata) dalla rete di Bitcoin. Questi articoli seguono una prassi ed un copione comune: partono dal paragonare il consumo di energia di Bitcoin con quello di un dato Stato per concludere che questo sia un problema e suggerire quindi che qualcosa non va nella criptovaluta più famosa al mondo, instillando il dubbio che questa tecnologia sia il male per il pianeta e che l’adozione di massa sarà un problema su vasta scala.
Altre volte, come accaduto recentemente con Bill Gates, si prende la parola di un guru del settore, o ritenuto tale, la si ritaglia e se ne fanno articoli superficiali. Nel caso di Gates, le parole del fondatore di Microsoft sono state “…è un processo inefficiente e la quantità di energia consumata è sorprendente”. Nulla di nuovo, anzi, si rimane nell’ovvio e nel banale, ma tanto basta per fare titoli.
In realtà questi articoli sono molto poco informati ed informativi, non danno un quadro completo della situazione, non pongono il soggetto nella giusta prospettiva e non danno una interpretazione corretta dei pochi dati scorrelati che portano, spesso nella speranza che sia il lettore a fare questo passaggio che, a causa delle poche informazioni fornite, sarà necessariamente sbagliato.
Bitcoin spreca energia? Bitcoin spreca troppa energia? Questa follia tecnologica ci porterà all’estinzione ed al disastro ecologico? E’ il segno inequivocabile di un progetto che non sarà mai sostenibile e quindi destinato a fallire? No. Nulla di tutto questo.
Perché Bitcoin consuma energia.
Innanzitutto capiamo brevemente (non me ne vogliano i puristi delle necessarie semplificazioni e scorciatoie) perché Bitcoin consuma energia. Il motivo sta nella Proof of Work (o PoW), il meccanismo di consenso fondamentale per il funzionamento di Bitcoin. Quello che, purtroppo, viene spesso banalizzato come “la risoluzione di un problema matematico”, spiegazione fin troppo semplicistica che non permette di capirne il significato
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Questo meccanismo consiste in un gara tra diversi attori, detti miner, a chi completa per primo la corretta compilazione di un nuovo blocco da aggiungere alla blockchain. Il blocco per essere completo ed accettato dalla rete dovrà contenere tutte e sole transazioni dimostrabilmente valide, e dovrà presentare delle caratteristiche specifiche. Affinché una di queste caratteristiche fondamentali sia conforme al protocollo è necessario procedere per prove ed errori, non può essere calcolata a priori e non esistono scorciatoie. Questo meccanismo di prove ed errori (il “work” nella PoW) richiede di reiterare più volte gli stessi calcoli al variare di pochi parametri fino ad ottenere il risultato corretto.
Il miner che per primo completa il blocco e lo sottopone alla rete viene ricompensato con il conio di nuovi bitcoin (al momento 6,25 BTC pari ad un controvalore attuale di circa 330.000 dollari USA) a cui si aggiungono le piccole fee pagate per ogni transazione verificata ed elaborata.
A prima vista questo procedimento potrebbe sembrare folle, ma in realtà studiando a fondo si capisce che questo procedimento è il cuore della sicurezza ed il funzionamento di Bitcoin. Tramite la PoW infatti abbiamo che la rete di bitcoin viene mantenuta in sicurezza, i dati al suo interno vengono resi praticamente immutabili, continua a funzionare. Oltre a questi risultati subito evidenti ve ne sono diversi altri secondari ed utilissimi.
Esistono altri sistemi per arrivare allo stesso risultato? No, non ci sono. Esistono diverse proposte ma non arrivano a fare la stessa cosa nello stesso modo e con gli stessi vantaggi. Certo si potrebbe obiettare che alcuni di questi vantaggi non siano necessari, e che vi sono criptovalute che non usano questo sistema, ma di fatto questa è una opinione soggettiva che si scontra con gli evidenti risultati visti negli ultimi 12 anni secondo cui Bitcoin domina questo mercato mentre sistemi alternativi languono ed hanno talvolta presentato problemi di sicurezza intrinseci non trascurabili.
Paragoni e numeri
Spesso si sentono affermazione quali “Bitcoin consuma tanta energia quanto la Svezia”. Questo paragone, per quanto sensazionalistico, non da alcuna informazione utile stando a quanto si impara dalle elementari per cui “non si possono confrontare mele e pere”.
Gli Stati vanno confrontati con gli Stati, e i sistemi economici con i sistemi economici.
Altri paragoni, altre prospettive
Proviamo allora a proporre altri paragoni simili e vedere che effetto fa. L’università di Cambridge ha da anni aperto un osservatorio sull’uso di energia di Bitcoin e nel suo sito troviamo una pagina dedicata ai paragoni. Tra Stati e bollitori ne troviamo uno che pone il tutto sotto una prospettiva decisamente differente:
fonte: https://cbeci.org/cbeci/comparisons
“Il consumo dei device sempre accesi ma inattivi delle case statunitensi consuma il 60% in più dell’intera rete Bitcoin”. Abbiamo evidentemente da una parte un vero e proprio spreco il cui prodotto e risultato è il nulla assoluto, mentre dall’altra parte abbiamo Bitcoin. Stante a questo confronto tutte le sciagure ecologiche che vengono prospettate riguardo a Bitcoin ci saranno presentate molto prima da qualcosa il cui valore è infinitamente irrilevante. Se poi non ci fermassimo a confrontare solo le case USA ma includessimo nel calcolo la Cina, l’Europa, l’India, e buona parte del SudAmerica, credo che il dato diventerebbe molto più pesante, e per coerenza dovremmo dirigere gli allarmismi altrove.
Se volessimo fare un calcolo divertente, per quanto approssimativo, del consumo domestico dell’industria dei videgiochi, scopriremmo che il consumo complessivo delle sole tre console da gioco più vendute al mondo usate per una media di 1 ora al giorno (molto conservativo) collegate ad un televisore di medie dimensioni consuma più del triplo della rete Bitcoin (trascurando l’uso della rete internet).
Ma se invece di paragonare settori così diversi tra loro paragonassimo sistemi più simili? In un report ARK Investment Management, ha fatto proprio questo mettendo a confronto l’attuale consumo energetico del mining di bitcoin con quello dell’estrazione dell’oro, o del sistema bancario tradizionale. Ecco alcuni interessanti risultati.
fonte: https://ark-invest.com/articles/analyst-research/bitcoin-myths/
Passiamo ai numeri
Capito che un paragone non può darci degli elementi validi a formularci un’idea, passiamo ai numeri. Calcolare quanta energia è prodotta e consumata al mondo non è facile ma stando ad alcune recenti stime potremmo considerare rispettivamente 25.000 TWh all’anno per la prima e 21.000 TWh l’anno per la seconda stando su una buona approssimazione al ribasso. Di questi si stima che 3000 TWh l’anno vanno per le varie attivita ITC.
Secondo alcune stime recenti l’intera rete Bitcoin consumerebbe più o meno 140 TWh all’anno. Questo vorrebbe dire che Bitcoin da solo consuma circa lo 0,56% di quanto viene prodotto e circa lo 0,6% di quanto viene consumato.
Energia ed inquinamento
Ridimensionati gli allarmismi, iniziamo a capire meglio il fenomeno e i suoi effetti. Il falso mito della criticità del consumo di Bitcoin si basa anche su una informazione sbagliata: molto consumo = molto inquinamento.
Ma la realtà è che la quasi totalità dell’inquinamento e della CO2 dell’energia elettrica viene dalla sua produzione e non dal suo consumo. E’ importante quindi capire quali fonti di energia usa Bitcoin, come e perchè.
Le fonti energetiche del mining Bitcoin
Mettiamoci per un attimo nei panni del miner: questo ha essenzialmente lo scopo egoistico di guadagnare il più possibile tramite la ricompensa ricevuta per ogni nuovo blocco che riesce ad emettere. Questo atteggiamento opportunistico non è un problema, tanto più che è evidentemente lo stesso che si trova in tutte le aziende del settore privato. Anzi, è una molla su cui fare leva in quanto le rigide impostazioni del protocollo di bitcoin fanno si che il raggiungimento di questo scopo sia subordinato e vincolato ad un servizio che viene reso all’intera comunità e che la comunità controlla e supervisiona.
E’ del tutto evidente che il principale modo di massimizzare i profitti sia quello di ridurre i costi vivi. Questo si traduce in due necessità pratiche: avere un prezzo della corrente più basso possibile e dotarsi di hardware più performante possibile (quindi che a parità di consumo di energia sia in grado di effettuare più lavoro). La prima necessità ha degli impatti evidenti sul mercato dell’energia, mentre la seconda ha degli impatti molto positivi sul mercato della tecnologia che vedremo dopo.
Il ruolo delle rinnovabili
Al fine di dotarsi di energia a basso prezzo il miner cerca fornitori con cui chiudere accordi vantaggiosi. La maggior parte delle volte questi attori sono produttori da fonti rinnovabili. Il motivo è presto detto: le fonti rinnovabili hanno un controllo molto minore sulla produzione di energia, quindi non sono sempre in grado di far coincidere la domanda con la loro offerta, possono cioè trovarsi in momenti in cui la natura eroga, attraverso il vento, il sole, o lo scorrere dell’acqua, molta più energia di quanta è richiesta dal mercato in quel momento.
Il risultato è che, nel migliore dei casi, questa energia viene immessa nella rete a prezzi stracciati molto più bassi rispetto a quelli di mercato, con una conseguente perdita di guadagni per il produttore. In tutti questi casi interviene il miner che, con accordi commerciali ad hoc, compra quell’energia prodotta in eccesso a prezzi più alti rispetto quelli corrisposti dal gestore della rete, dando quindi immediatamente un guadagno al produttore. Talvolta negli accordi può anche venir deciso che parte di questo compenso sia erogato direttamente in bitcoin.
Non sorprende affatto quindi che il 73% dei miner faccia uso di un mix di energia composto quasi al 40% da energie da fonti rinnovabili ad impatto zero.
Il risultato pratico è che alcuni miner, soprattutto in Europa e Stati Uniti, hanno stretto degli accordi con centrali idroelettriche, solari ed eoliche per cui installano i loro apparati direttamente presso le centrali e producono bitcoin direttamente sul posto. Un’eccellenza italiana in questo settore è Alps Blockchain.
Non solo: recentemente gli incentivi di stato alle rinnovabili in alcuni casi non sono più sufficienti a mantenere aperti alcuni siti produttivi, questo comporta la chiusura di impianti che potrebbero di fatti produrre energia verde ma che non sono più competitivi sul mercato, con conseguente ricadute occupazionali e sull’indotto. In questi casi, accordi stretti con i miner hanno fatto sì che la produzione di bitcoin integri o sostituisca completamente l’aiuto di stato portando simultaneamente ai vantaggi di mantenere aperta la centrale, continuare a disporre di energia verde, mantenere l’occupazione sul territorio e ovviamente di contribuire alla rete Bitcoin.
Bitcoin quindi definisce un limite minimo del prezzo dell’energia: se il costo è inferiore ad una certa soglia quell’energia verrà acquistata per produrre bitcoin, ne consegue quindi che Bitcoin rappresenta un forte incentivo allo sviluppo.
Visto tutto questo, anche la paura che bitcoin vada a sottrarre preziosa energia ad altri utilizzi non sono è smentita, ma per alcuni casi si verifica l’esatto contrario.
Un caso a parte è costituito dalla Cina e da tutti i paesi che hanno produzioni provenienti principalmente da fonti fossili. E’ innegabile che i miner cinesi la facciano da padrone su tutta la produzione di bitcoin e conseguentemente con il consumo di energia, e che la Cina faccia tutt’ora un pesante uso del carbone. Ma è anche vero che anche in quei paesi il miner si comporta nello stesso modo descritto prima, ovvero attingendo sempre a fonti rinnovabili in prima istanza e quando possibile e rivolgendosi ad altre fonti più care e più inquinanti solo in seconda battuta.
Un esempio chiaro è la provincia dello Sichuan che da sola contribuisce al 10% della produzione di Bitcoin totalmente da energia idroelettrica proveniente da decine di centrali diverse.
In tutti i casi in cui Bitcoin attinge a fonti fossili a buon prezzo, la colpa non può certo essere data a Bitcoin, ma allo Stato che attua quelle politiche economico-energetiche di cui servono decine di industrie produttive e di cui Bitcoin è solo una minima parte.
Gli impatti sulla tecnologia
Cosa meno nota ed evidente è il fatto che Bitcoin sia, grazie al suo mining ed alla Proof of Work, una delle forze che stanno spingendo l’innovazione e la ricerca e stanno dando liquidità ai laboratori. Uno degli aspetti fondamentali per l’hardware dedicato al mining è l’efficienza: minore è il consumo di una unità rispetto al lavoro svolto, maggiori saranno i ritorni. E’ del tutto normale quindi che i miner competano anche e soprattutto per avere l’hardware più efficiente al fine di ridurre i consumi.
Se guardiamo alla storia del mining di Bitcoin si è partiti nel 2010 minando con le CPU dei computer di casa. Per avvantaggiarsi nella competizione ed aumentare i ritorni, i primi miner hanno iniziato ad utilizzare batterie di schede video per fare lo stesso lavoro. Queste schede infatti hanno delle GPU molto più performanti e permettono anche di svolgere diversi calcoli in parallelo. La richiesta di schede video ha fatto lievitare i prezzi, facendo arrabbiare molti gamer ma fornendo molti soldi alle case produttrici di schede video. Se infatti confrontiamo l’andamento del prezzo di Bitcoin fino al 2017 con quello delle azioni di case come NVidia e AMD li vedremo quasi sovrapponibili. Le case hanno reagito migliorando i prodotti e facendo poi linee dedicate.
In questa prima fase, le migliorie delle schede video ha dato un forte impulso all’intelligenza artificiale, che fa anch’essa uso di schede video per fare calcoli, accelerando notevolmente i tempi di apprendimento delle reti neurali e facilitando moltissimo la ricerca. L’avanzamento parallelo di questi due campi di studi, blockchain ed intelligenza artificiale, non è affatto casuale.
Successivamente, la competizione si è spostata dalle GPU delle schede grafiche agli FPGA ed infine agli ASIC (Application Specific Integrated Circuit) quindi sulla produzione di chip dedicati. In questo caso la ricerca di performance migliori ha aiutato tutta l’industria elettronica a passare da chip da 130 nanometri del 2013, a 16 verso metà 2015 fino agli attuali 7 nanometri nel 2021.
Nel caso poi di GPU e FPGA, trattandosi di tecnologie general purpose, il beneficio del progresso tecnologico è direttamente fruibile da tutte quelle applicazioni in cui questi strumenti sono usati per scopi diversi dal mining. Non solo, si creano occasioni per un utilizzo misto di questi strumenti per cui, ad esempio, una casa di produzione di effetti speciali preferisce affittare il potere di calcolo di un miner per fare il rendering degli effetti speciali di un film piuttosto che dotarsi dell’hardware, con un notevole beneficio per entrambe le parti.
Questi avanzamenti tecnologici non si applicano solo all’hardware usato per il mining di Bitcoin, ma si presentano sotto forma di benefici a tutta l’industria dell’elettronica e comportano quindi un’importante spinta al miglioramento dei nostri computer, router, cellulari, televisori ed ogni altro prodotto contenga un chip. Insomma Bitcoin sponsorizza molta ricerca riguardo l’efficienza che poi ritorna come beneficio per tutti.
Un altro falso mito
Tra coloro che non conoscono come funziona Bitcoin vige anche un’altro mito, quello secondo cui quello che abbiamo fin qui descritto fotografa la situazione attuale ma che un’adozione di massa potrebbe far lievitare tutte queste cifre e quindi far rimettere in discussione tutto quanto. Falso, e sbagliato.
Il protocollo di Bitcoin non necessita di un dato quantitativo minimo di energia per funzionare e l’energia impiegata (anche se è controintuitivo) non dipende da quanto lavoro c’è da svolgere, questo perché il protocollo impone che la quantità di lavoro sia pressoché costante nel tempo. Se anche ci fossero milioni di transazioni di processare, queste verrebbero immesse nella blockchain sempre rispettando un tetto massimo oltre cui non è possibile andare, quindi non si può “spingere sull’acceleratore e consumare più benzina”.
Quello che permette (e permetterà) a Bitcoin di far passare molte più transazioni nell’unità di tempo non è un maggior consumo, ma l’adozione di strutture appoggiate su Bitcoin che ne potenziano le prestazioni, come ad esempio Lightning Network del cui consumo energetico nessuno si è mai curato perché irrisorio nonostante l’elevato numero di transazioni al secondo che permette.
Quello che potrebbe far aumentare il consumo sarebbe un eventuale aumento notevole del valore di Bitcoin tale da rendere economicamente conveniente l’arrivo in massa di nuovi miner con apparati magari inefficienti. Ma questa come abbiamo visto è un’ipotesi poco plausibile in quanto l’adozione porta investimenti che sovvenzionano ricerca che porta efficienza e benefici diretti ed indiretti per tutti.
L’ultima pallottola (spuntata)
Ridimensionate a dovere le Cassandre che parlano negativamente di Bitcoin sul fronte del consumo energetico, ai detrattori resta un’ultima arma, anch’essa notevolmente spuntata: quella dell’uso per transazioni illecite.
Ma anche in questo caso i dati ci danno un’immagine totalmente contraria a quella che si vorrebbe far passare con dati dell’UN e delle Agenzie di sicurezza che vedono, in percentuale, in numero ed in valore, un uso illecito della moneta fiat molto superiore a quello di Bitcoin.
Sitografia
- https://cbeci.org/
- https://ark-invest.com/articles/analyst-research/bitcoin-myths/
- https://research.ark-invest.com/hubfs/1_Download_Files_ARK-Invest/White_Papers/ARKInvest_031220_Whitepaper_BitcoinMining.pdf
- https://theshiftproject.org/en/article/lean-ict-our-new-report/
- https://danhedl.medium.com/pow-is-efficient-aa3d442754d3
- https://cseweb.ucsd.edu/~mbtaylor/papers/Taylor_Bitcoin_IEEE_Computer_2017.pdf
- https://www.iea.org/reports/electricity-information-overview
- https://theshiftproject.org/en/lean-ict-2/
- https://www.alpsblockchain.com/
Ringraziamenti
Francesca Failoni di Alps Blockchain per la review e le integrazioni.
Marco Cavicchioli di Cryptonomist per alcune delle fonti.