Un ritorno alla visione originaria, che era nel decreto Crescita 2.0: verso smart cities che portano l’innovazione al livello dei cittadini. E’ il senso ultimo di un documento che il Comitato Smart Cities (che presiedo), nell’Agenzia per l’Italia Digitale, sta sviluppando e che sarà presentato al Consiglio dei Ministri per l’approvazione.
Il nocciolo sono pochi fondi ma modelli abilitanti per le smart cities. Tre, per l’esattezza. Vediamo in sintesi.
- Primo. Puntare su concetti di riuso e di interoperabilità dei progetti già sviluppati in giro per l’Italia. Basta con le grandi innovazioni isolate.
- Secondo. Modelli finanziari pubblico-privati per abilitare i progetti.
- Terzo. Sviluppare un coordinamento sul territorio, regioni-province-comuni, per attuare realmente i progetti.
Le smart cities così si devono riappropriare di quel senso originario, che era voluto dall’ex ministro Profumo: portare il valore dell’innovazione ai cittadini, rendendolo palpabile, con effetti pratici e visibili. La crescita del Pil, come cartina tornasole del valore dell’innovazione, è un parametro poco compreso dai cittadini. Le smart cities servono appunto per eliminare il gap tra loro e la visione dell’Agenda digitale, attraverso i diversi progetti che prenderanno vita nelle nostre strade, edifici, città.