Sostenibilità

Cattura, sequestro e riuso della CO2: le sfide della decarbonizzazione

Dalla CO2 catturata dalle fabbriche, alla produzione di nuovi outfit dell’industria tessile. Sono alcuni obiettivi delle più innovative startup che promettono di trasformare il carbonio in prodotti utili, ma hanno impatti ambientali e costi che ne limitano la diffusione. Gli esperti ne illustrano pro e contro

Pubblicato il 22 Feb 2023

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info

Cattura, sequestro e riuso della CO2: le sfide delle tecnologie di decarbonizzazione

La cattura, il sequestro della CO2 e il riuso del carbonio, derivante dall’anidride carbonica, rappresentano il cuore pulsante delle strategie di decarbonizzazione.

“La CO2 non è un inquinante direttamente nocivo per la salute umana”, spiega Emanuele Martelli, professore di Sistemi per l’Energia e l’ambiente del Politecnico di Milano, ma “come invece lo sono il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto ed il particolato. Ma è un gas serra. Dunque maggiore è la concentrazione di CO2 nell’atmosfera e maggiore è l’effetto serra ed il potenziale impatto in termini di riscaldamento globale”.

Cattura della Co2 (CCS), quali speranze per salvare il pianeta

Alcune startup dedicate alla trasformazione del carbonio stanno ricevendo significativi finanziamenti, per trovare una soluzione all’impatto ambientale dell’industria della moda. Gli investitori sono industrie petrolifere, colossi del gas o giganti della chimica, interessati a ridurre le emissioni o ad acquisire startup di potenziale interesse.

Tuttavia, se i vantaggi di una circolarità mediante riuso e un ciclo più virtuoso del carbonio sono evidenti per rendere sostenibile l’industria tessile e il mondo del fashion, non mancano i limiti. La scalabilità e gli impatti ecologici nascosti si celano nel consumo d’acqua ed energia, nel trasporto di materiali eccetera. Solo in Italia, per esempio, il trasporto pesa per il 22,8% delle emissioni nazionali. Ecco quali sono i vantaggi e le criticità legate alle tecnologie di decarbonizzazione.

Cattura, sequestro e riuso della CO2: le tecnologie di decarbonizzazione

La trasformazione del carbonio guadagna terreno: prevede il sequestro dell’elemento chimico, con la cattura del carbonio dall’atmosfera o nelle fabbriche, e la sua trasformazione in un solido o in liquido, e quindi la produzione di bilanci negativi di CO2, al fine di limitare l’aumento della temperatura.

Invece di seppellire sottoterra il carbonio sequestrato, le nuove tecnologie di decarbonizzazione puntano a trasformare l’elemento della tavola periodica in qualcosa di utile.

Gli investimenti in Green tech sono passati dai fallimenti di un decennio fa a un rimbalzo nel corso degli ultimi due anni.

Le aziende del settore hanno raccolto oltre 10 e mezzo miliardi di dollari dai venture capitalist nei primi tre quarti del 2022 secondo PitchBook. Di questi, più di tre e mezzo miliardi di dollari sono stati investiti nella gestione del carbonio.

Le aziende si sono focalizzate nella cattura-sequestro e trasformazione del carbonio. Secondo il giornalista, specializzato in finanza climatica, Amrith Ramkumar, intervistato dal Wall Street Journal, “molti investitori vedono la trasformazione del carbonio come il Santo Graal”.

L’idea alla base delle tecnologie di decarbonizzazione è quella di eliminare le emissioni, trasformando il carbonio in un prodotto utile. “Le possibili strategie per ridurre le emissioni di CO2 sono molteplici”, continua Emanuele Martelli: “Ad esempio: il risparmio energetico, l’uso di fonti rinnovabili, l’utilizzo di biocarburanti, l’uso di energia nucleare, la cattura CO2 , la riforestazione eccetera”.

“Purtroppo”, sottolinea il professore del Politecnico di Milano, “nessuna di queste opzioni riesce da sola a risolvere il problema, date le dimensioni enormi delle emissioni di CO2 determinate dall’attività umana”. Infatti, “la concentrazione di CO2 nell’atmosfera era 260 ppm (parti per milione) mentre attualmente è superiore ai 400 ppm, in costante aumento”.

“È quindi necessario”, spiega Emanuele Martelli, “integrare le diverse strategie di decarbonizzazione tra loro, cercando di bilanciare nel modo migliore aspetti di fattibilità tecnica, impatto ambientale e sostenibilità economica”.

Gli investitori nutrono speranze nella fattibilità dei progetti, mettendo denaro in società in grado di avvantaggiarsi dei sussidi pubblici erogati dal governo ed altri aiuti. Tuttavia, secondo Amrith Ramkumar, la strada è ancora lunga”.

Le startup della Silicon Valley per la trasformazione del carbonio

Rubi è una delle principali startup che sta cercando di cambiare l’industria della moda attraverso materiale tessile ricavato dalla CO2 catturata. Ma ci sono anche altre startup, come LanzaTech, che si avvia verso l’Ipo, e utilizza microbi e processi biologici per trasformare le emissioni di carbonio in prodotti chimici e replicare fibre tessili.

“L’idea della cattura della CO2 è quella di utilizzare processi di separazione gas già noti nell’industria chimica (assorbimento, adsorbimento, cambio di fase/distillazione, membrane) per separare la CO2 dal flusso di prodotti di combustione”, spiega Emanuele Martelli. “Una volta separata (o “catturata”), viene poi o sequestrata in siti di stoccaggio permanenti (Carbon capture and storage, CCS, con stoccaggio in siti quali i giacimenti esauriti di gas o altre formazioni geologiche profonde) oppure riutilizzata per fabbricare altri prodotti contenenti
carbonio (Carbon capture and utilization, CCU) quali cemento, plastiche e biocombustibili; oppure può essere sottoposta in parte all’una ed in parte all’altra delle due operazioni (sequestro e utilizzo, CCUS)”.

L’obiettivo Rubi consiste nel prendere il carbonio dall’atmosfera e trasformarlo in un prodotto tessile, imitando ciò che fanno gli alberi con l’anidride carbonica. Gli alberi producono ossigeno e assorbono CO2, per trasformare il carbonio in prodotti solidi: il tronco, i rami e le foglie. Fanno ciò grazie agli enzmi, quelle molecole che favoriscono le reazioni. Il sistema su cui si basa la startup Rubi si ispira alla natura, in modo da catturare l’anidride carbonica in froma di gas, la raccoglie dalle aziende del manifatturiero (che così evitano di emettere CO2 nell’atmosfera).

Il materiale tessile, così prodotto, è lo stesso già usato nel tessile, la terza famiglia più popolare nell’industria del fashion. Si tratta del man-made cellulosic (MMC) o fibre di cellulosa artificiale: viscosa, modal, acetato, trincerato, cupro, lyocell, jersey eccetera. Attualmente si usano quelle rigenerate come materie prime eco-compatibili.

A inizio dell’anno scorso, Rubi, guidata dal Ceo e co-fondatore Neeka Mashouf, ha raccolto 4,4 milioni di dollari dagli investitori. Ha anche ottenuto un quarto di milione di dollari di donazione concessa dalla National Science Foundation.

La sfida

Sviluppare prodotti che imitano il cotone e perfino il poliestere, attraverso la cattura e la trasformazione del carbonio, rappresenterà un grande passo avanti per i brand del tessile e della moda.

Tuttavia la sfida di startup come Rubi o LanzaTech è realizzare una nuova filiera, creando tutto da zero e su larga scala, a costi basso o comunque sostenibili.

La prima sfida di queste startup innovative è trasformare la decarbonizzazione in qualcosa e trasformare i prodotti in un vero e proprio business.

Attualmente, per esempio, Rubi è in fase di laboratorio ed è partner con marchi di abiti e produttori. La fase pilota sperimenta i progressi nei prototipi dei capi di abbigliamento, lanciando collezioni essenziali, le cosiddette capsule collection, composte di poche poche migliaia di elementi per ogni brand, facilmente abbinabili ed intercambiabili tra di loro. Ma tutto ciò si scontra anche con ostacoli, anche di natura ambientale.

I limiti: scalabilità, costi e impatto ambientale

Il primo grande limite è la scalabilità dei processi di produzione. Nel laboratorio di Rubi è facile trasformare la CO2 in un polimero di cellulose con gli enzimi, producendo abbastanza materiale sia per la fase di test che di prototipo.

Ma scalare significa decuplicare i volumi ogni volta in cui si scala, sbloccando la capsule collection e arrivando alla reale commercializzazione. Le timeline sono molto veloci, e la sfida consiste nell’essere più veloci di quanto i brand sono soliti con tecnologie che godono di grande maturità. Dunque, Rubi sta sfruttando tecnologie dall’ industria del cibo e bevande, adattandole a nuove applicazioni. Se non fossero invece tecnologie già testate, richiederebbero anni per moltiplicare per 10 i volumi e commercializzare i prodotti.

L’industria alimentare (cibo e bevande) si serve da decenni di tecnologie che coinvolgono processi enzimatici (per produrre il latte privo di lattosio, per esempio). Nella moda, le tecnologie sono più complesse, ma si fondano su simili principi.

Compiendo ulteriori progressi, nel 2024 Rubi dovrebbe essere in grado di raggiungere la scala della commercializzazione.

Oltre alla scalabilità altri limiti delle tecnologie di decarbonizzazione risiedono nei tempi del lab testing e nei costi. Tuttavia la startup Rubi spera di lanciare sul mercato i materiali tessili sostenibili allo stesso prezzo degli altri. Inoltre guarda ad altri mercati verticali: quello dei materiali di costruzione, il packaging alimentare eccetera.

Un altro grave ostacolo sulla via della sostenibilità è inoltre l’impatto ambientale: questi processi sono energivori ovvero richiedono un grande consumo energetico e dunque sono costosi. Inoltre un’altra barriera è l’elevato consumo d’acqua (l’oro blu è sempre più scarso a causa dei cambiamenti climatici).

Conclusioni

Non è facile decarbonizzare filiere, competendo con supply chain perfezionate in decenni in cui le aziende di punta hanno imparato a produrre grandi quantità di materiali e prodotti chimici dal petrolio e gas ed altre commodity.

Ma gli esempi non mancano. “La Norvegia, che ha una visione più utilitaristica della transizione energetica”, commenta Giovanni Brussato, ingegnere minerario, autore di “Energia Verde? Prepariamoci a scavare”, “sta costruendo un ecosistema e dunque una rete in grado di assorbire e stoccare la CO2 all’interno dei loro depositi. Il processo del riuso dell’anidride carbonica è in divenire che dipenderà dagli investimenti. Gli interlocutori dovrebbero essere le compagnie degli idrocarburi per stoccare la CO2, un’importante tecnologia per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Purtroppo c’è un’opposizione ideologica a questa tecnologia che invece è utile per i Paesi con industrie siderurgiche e vogliono produrre ‘acciaio verde'”.

Gli attivisti del clima temono, infatti, il rischio di greenwashing di alcune tecnologie, se i consumi di energia, acqua e risorse gravano così come un macigno sull’intero ciclo dei processi. Catturare e sequestrare la CO2 è fondamentale, ma il suo riutilizzo viene guardata con scetticismo se annulla i vantaggi della decarbonizzazione.

“La soluzione finale a cui ambire per la piena decarbonizzazione del nostro sistema energetico
sarà basata solo su fonti rinnovabili (fatta eccezione per il nucleare)”, concludono Emanuele Martelli, Matteo Romano, Paolo Chiesa, Stefano Campanari, Giampaolo Manzolini, Davide Bonalumi e Giovanni Lozza, professori del Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano. Ma “la cattura CO2 è da considerare tra le tecnologie disponibili per mitigare le emissioni di CO2 e rendere economicamente più sostenibile la transizione verso un sistema energetico completamente decarbonizzato”.

In un decennio l’industria delle rinnovabili, veicoli elettrici e delle batterie ha compiuto progressi nell’ambito della scalabilità, dimostrando che gli investimenti a lungo termine portano a risultati tangibili. Costi più convenienti e offrono maggiori garanzie. Le sfide anche più complesse si possono vincere e i limiti superare. I governi stanno scommettendo sulle tecnologie di decarbonizzazione e i costi del non fare, quelli sì, sarebbero insostenibili.

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