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Centrali a carbone, sacrificio inevitabile? Ma non si fermi la transizione ecologica

Finora, la decarbonizzazione è stata punto fermo della politica “ecologista” europea. Ora, però, il sacrificio appare inevitabile. Ma la riapertura nel nostro Paese non dovrà fermare il processo già in atto di riconversione e nuova formazione: anzi, dovrà far aumentare gli sforzi in questo senso. E il PNRR è occasione unica

Pubblicato il 14 Apr 2022

Gabriella Chiellino

Presidente e Fondatrice eAmbiente Group, docente 24Ore Business School

Il premier Draghi ha di recente annunciato la temporanea riapertura delle centrali italiane a carbone, con lo scopo di “tagliare fuori” Putin e i rifornimenti di combustibili fossili dalla Russia, che per il nostro Paese hanno significato ben 29 dei 76 miliardi di metri cubi di gas consumati lo scorso anno. La riapertura delle centrali a carbone (quella Enel di La Spezia e quella A2A di Monfalcone) porterebbe a un risparmio di 8 miliardi di metri cubi l’anno. Il prezzo da pagare sarebbe però molto alto in termini ambientali: fino a 28 milioni di tonnellate di Co2 in più, ovvero l’8% delle emissioni nazionali.

Transizione digitale sì, ma sostenibile: tutte le azioni Ue a tutela di diritti e ambiente

Fino a oggi, la decarbonizzazione era stata un punto saldo della politica “ecologista” europea. Ora, però, il sacrificio appare inevitabile: mi trovo totalmente d’accordo con l’Economist nel dire che se l’Europa prima, e l’Italia poi, vogliono davvero scrollarsi di dosso la dipendenza dal gas russo, il contrappasso sul clima sarà giocoforza devastante. Ecco perché la riapertura delle centrali nel nostro Paese non dovrà in alcun modo fermare un processo di riconversione e nuova formazione già partito, ma anzi, dovrà far aumentare gli sforzi in questo senso.

Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ha giustamente posto l’accento su questa fondamentale tematica. Basti pensare, infatti, che l’asse strategico imperniato su “rivoluzione verde e transizione ecologica” ha ottenuto la fetta più corposa dei finanziamenti: ben 68,6 miliardi di euro complessivi, di cui 59,3 dal dispositivo per la ripresa e la resilienza e 9,3 miliardi dal Fondo complementare. Stiamo parlando di un asset strategico composto essenzialmente da quattro componenti, tutte di fondamentale importanza: economia circolare e agricoltura, energia rinnovabile e mobilità sostenibile, efficienza energetica e riqualificazione edifici, tutela del territorio e risorsa idrica.

Le prime mosse della “rivoluzione verde”

I finanziamenti previsti dal PNRR stanno muovendo i primi passi già in questi giorni, grazie al bando sull’economia circolare, che prevede 1,5 miliardi di euro finalizzati per ottimizzare la circolarità e il recupero dei rifiuti plastici, Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), carta, cartone e tessili. Con eAmbiente abbiamo presentato alcuni progetti per la costruzione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti e per l’ammodernamento di quelli già esistenti, entrambi destinati a Comuni ed Enti di Governo d’Ambito Territoriale Ottimale (EGATO) che possono portare alla costruzione di nuove strutture entro giugno 2026.

Ci sono poi altre iniziative in atto, sempre sull’asse della transizione ecologica. Ne cito alcune: l’efficientamento degli iter autorizzativi per sbloccare il potenziale di sviluppo delle energie rinnovabili; la sinergie tra agricoltura e fotovoltaico; lo sviluppo delle reti di trasmissione (interna e con Paesi terzi); infine, la promozione di tecnologie innovative, compreso lo sviluppo del biometano integrato con il sistema elettrico. Si tratta, però, di misure ancora parziali, in quanto il percorso per la tanto attesa neutralità climatica al 2050 non è al momento completato, e servirà sicuramente, quindi, un’ulteriore revisione al Piano Energia e Clima.

I progetti faro dell’economia circolare e le nuove figure professionali

Con il termine “faro” il PNRR si riferisce a quei progetti che hanno la finalità di favorire una maggiore resilienza e indipendenza del sistema produttivo nazionale, contribuendo altresì, al raggiungimento degli obiettivi negli ambiti dell’economia circolare, dell’incremento occupazionale e dell’impatto ambientale, i cui destinatari sono le imprese appartenenti ai settori della plastica, della carta, del tessile e del RAEE.

Nell’ottica degli interventi in ambito NGEU (Next Generation EU), questi progetti sono legati alla crescita di profili professionali specifici: in primis, nell’area STEM (acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics), ovvero quelle discipline che forniscono un bagaglio di conoscenze più adeguato rispetto al mercato del lavoro attuale e alle esigenze delle aziende. Le figure STEM continueranno a servire anche in ambito transizione ecologica. Basti pensare alla conoscenza dei processi produttivi agroalimentari ed agricoli, col fine di intervenire con proposte di miglioramento dei processi a minor impatto ambientale; alle conoscenze energetiche trasversali, dalla produzione fino all’edilizia, con skill su fonti rinnovabili (sul fotovoltaico prima di tutto); alle conoscenze ambientali su temi territoriali (biodiversità), e infine alle competenze idrauliche e geologiche specifiche su previsione e risposta ai disastri climatici. Insomma, una grande miscela di seniority e novità.

Sostenibilità e aziende, un connubio possibile

Non possiamo più pensare al business e all’ambiente come due entità separate. Inevitabilmente, l’uno è dipendente dall’altro. Oggi fare business e fare industria significa – anche – dover tutelare l’ambiente. E le grandi aziende hanno recepito il messaggio, dato che molte di esse stanno adottando scelte “green”, in grado di condizionare a cascata tutta la catena dei fornitori. Chi non si adegua rischia veramente di essere tagliato fuori. Secondo il rapporto GreenItaly 2021, dal 2016 al 2020 sono state oltre 440 mila le aziende che hanno deciso di investire in tecnologie e prodotti green, ovvero il 21,4% del totale delle imprese extra-agricole. Un dato che, nonostante la crisi causata dalla pandemia, non si discosta da quello del 2019, quando le imprese investitrici erano state il 21,5%.

Chiaramente, a fronte di questi cambiamenti (a volte anche radicali) nelle filiere esistono diversi benefici percepiti dalle realtà che decidono di implementare una strategia di sostenibilità: in primo luogo, il vedere il proprio business come un vero e proprio successo sostenibile condiviso con il territorio e la comunità; in seconda battuta una potenziale crescita di valore dell’azienda sia nel ranking bancario, sia agli occhi di clienti e consumatori.

L’Agenda 2030

Gli obiettivi che un’impresa deve porsi in ottica sostenibilità ruotano attorno all’Agenda 2030. Si richiede un impegno nella riduzione della Co2 del 55% rispetto ai valori del 1990, trainando inevitabilmente tutte le scelte dei piani industriali e la creazione stessa di valore per l’impresa. Si aggiunge, poi, la necessità di una politica Net Carbon Zero, con l’obiettivo di arrivare a un’indipendenza energetica: è proprio in questo contesto che si colloca il Master Strategie di Sostenibilità Aziendale della 24Ore Business School, rivolto a giovani neolaureati che si vogliono specializzare come Sustainability Manager, Corporate Responsibility Manager, CSR Manager, consulenti ESG, esperti di sostenibilità finanziaria e ambientale, consulenti, commercialisti, revisori e imprenditori che desiderano aggiornarsi ed essere in grado di creare valore in azienda implementando modelli di Business sostenibili.

La sfida della formazione

La grande sfida per il nostro Paese nei prossimi anni riguarderà la formazione specifica su questi temi. I bandi sono tanti e soprattutto complessi, dato che ogni ministero li pubblica con regole diverse e con date che si sovrappongono, e i criteri di assegnazione dei fondi sono spesso e volentieri poco chiari e distanti dalle necessità reali dei territori, con tempi per presentare le domande a dir poco stretti.

La formazione ci aiuta a orientarci all’interno dei bandi, per poter utilizzare questi fondamentali incentivi su progetti che servono davvero, e che magari avevamo nel cassetto. Il supporto del PNRR deve servire per realizzare qualcosa che era fermo e che aveva solo bisogno di una spinta per uscire allo scoperto. E, non dimentichiamolo, per fare da contraltare alle inevitabili contromisure recentemente adottate dal nostro Primo Ministro contro la dipendenza energetica dalla Russia: la riapertura delle centrali di carbone comporterà un ulteriore sforzo “sostenibile” necessario e non più rimandabile.

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