È ancora troppo presto per sapere come sarà il mondo dopo il Covid-19, ma ci sono due cose di cui siamo certi: le città avranno un ruolo sempre più da protagonista e i governi nazionali, specialmente in Europa, investiranno pesantemente in opere infrastrutturali e nella modernizzazione dell’ambiente urbano. Non importa che si tratti di progetti di nuove città o semplicemente di investimenti immobiliari con una sfumatura “fancy” da città intelligente, tutto ciò verrà realizzato.
È anche certo che queste città riusciranno ad attrarre non solo il denaro pubblico, ma anche investitori privati, però il punto più importante è: saranno capaci di coinvolgere la comunità in questo processo?
Il dubbio nasce dalla constatazione del fallimento dei progetti delle città definite “greenfield” – un luogo dove un nuovo nucleo urbano viene progettato e costruito da zero. un flop, dicevamo, riconducibile al fatto che le origini di una città finiscono per rispecchiare la sua anima, il suo DNA.
Dalla leggenda dei fratelli Romolo e Remo che hanno fondato Roma, ai mercenari della corsa all’oro dell’Ovest Americano che hanno coniato l’origine di San Francisco, le pietre miliari di una città non hanno un carattere materiale. Sono questi i concetti scolpiti nella storia e nei quali i cittadini si identificano, di cui sono orgogliosi e ai quali attribuiscono uno scopo, un significato, l’esistenza stessa della città.
I progetti Smart City greenfield in Asia
I grandi progetti di città pianificate da zero non sono una novità, ma a partire dall’inizio del ventunesimo secolo, hanno cominciato a intensificarsi i processi di urbanizzazione con fini commerciali e un forte richiamo tecnologico, specialmente nei paesi asiatici. È stato l’inizio dell’era delle città intelligenti.
Il progetto di Smart City greenfield di maggior successo è Songdo, l’utopica futuristica città progettata in Corea del Sud che ha visto posare la sua prima pietra nel 2002. Distante circa 40 chilometri dalla capitale Seoul, la città sorge su un’area di 600 ettari con un piano urbanistico da far invidia a qualsiasi città “matura”. Progettata per ospitare più di 300 mila abitanti, inizialmente la data di conclusione dei lavori era indicata per il 2015, ma è stata posticipata in un primo momento al 2018 e più di recente al 2022. Nel cuore della ricca Asia, attualmente la città conta solamente 70.000 abitanti e lotta continuamente per attrarre sempre più persone e imprese.
Songdo non è l’unico progetto di città di nuova concezione o di urbanizzazione del tipo greenfield che fa fatica a decollare. Masdar negli Emirati Arabi Uniti; il King Abdullah District in Arabia Saudita e Lusail, inaugurata di recente in Qatar sono esempi di città futuristiche quasi fantasma. Con l’abbondanza di denaro pubblico, la volontà politica, investitori privati, la perfezione nella progettazione e nell’esecuzione dei lavori, che cosa c’è che non va in questi progetti?
Dato che sono state disegnate su un foglio bianco e create da zero, le nuove città mancano di una storia propria. Nei propri cittadini manca un DNA e non c’è un legame iniziale. I vicini non hanno trascorso l’infanzia assieme né hanno frequentato la stessa scuola. In questo modo le persone decidono di cambiare attratte da incentivi finanziari, più opportunità e meno violenza.
Le città greenfield in Europa
Prima che iniziasse la crisi del Coronavirus, questo movimento delle città intelligenti greenfield stava cominciando a prendere forza anche in Europa, con un conseguente miglioramento dell’economia locale. Ne è un esempio il distretto di Kalasatama, nella parte est di Helsinki, a solo quattro fermate di metropolitana dal centro. Fino a dieci anni fa, la zona era praticamente un’area rurale. Seguendo quasi lo stesso ritmo frenetico di crescita dei distretti di Dubai, Kalasatama è stata costruita combinando la modernità con un’atmosfera da città di campagna.
Vi ricordate del DNA di cui abbiamo parlato prima? I progetti avranno un vantaggio competitivo a medio e lungo termine? Saremo in grado di ripetere il tanto idolatrato modello “ponte di Genova”? Sono queste alcune delle domande da porre nell’analisi del nuovo scenario urbano che sta per prendere vita.
Una città “startup” per una nuova Italia
Creare una “nuova città” e, di conseguenza, una “nuova Italia” deve voler dire, prima di tutto, scrivere una nuova storia. Il vantaggio principale è quello di avere la chance di non ripetere gli stessi errori del passato e, principalmente, di mitigare i problemi delle città già esistenti. Dobbiamo pensare a città autosufficienti (in primo luogo economicamente) basate sui principi della sostenibilità e, principalmente, della resilienza. Città indipendenti che siano forti per natura, con una comunità coinvolta e che non abbia necessariamente bisogno di una “madre Roma” per sopravvivere.
Il segreto è quello di pensare alle soluzioni partendo dai problemi, prestando attenzione alle lezioni imparate dalle crisi passate (e attuali) e concentrandosi sulle migliori pratiche di mercato. Suona familiare? Sì, si tratta proprio dell’essenza fondamentale delle startup. Quindi, perché non pensare a una Città Startup?
Qui è necessario introdurre un concetto che viene sviluppato e implementato dal 2016. Si chiama “City SmartUp“, ed è ben più di un semplice gioco di parole. Si tratta dell’unione di due concetti attuali: quello delle Smart Cities (città intelligenti) e quello delle imprese Startup. In pratica, si tratta di rivedere le città esistenti o di progettare nuove città secondo quattro passi che affondano le radici nei moderni principi dell’imprenditorialità, dell’innovazione e della resilienza che troviamo nella gestione delle Startup. Ovvero:
- decifrare e potenziare il DNA della città;
- progettare ed eseguire i progetti in modo semplice e obiettivo;
- cercare partner strategici;
- cambiare la mentalità dell’ecosistema mediante lo sviluppo di partenariati pubblico-privati (dall’inglese Public-Private Partnerships PPP), però adesso con un quarto elemento: le persone, o meglio i cittadini. Stiamo parlando del nuovissimo concetto chiamato PPPP.
La verità è che i progetti moderni e curati non saranno sufficienti a garantire il successo delle nostre nuove città post-crisi. È necessario avere uno scopo, un’idea centrale che aiuti a scrivere le prime righe della nuova storia (post-COVID-19) o, perché no, le righe che riscriveranno il DNA urbano italiano. L’analogia è diretta: se nella genetica la prospettiva di riscrivere la sequenza del DNA umano ci dà la possibilità di sognare una vita senza malattie, per le città l’opportunità di creare centri urbani ottimizzati (riscrivendo il DNA urbano difettoso delle città odierne) potrà portare a un miglioramento della qualità della vita. E, in questo momento difficile che stiamo vivendo, non c’è davvero niente di meglio per ricominciare.
È giunto il momento di pensare alle città startup per l’Italia. E dico di più: se saranno ben progettate, nasceranno avendo già un killer pitch per gli investitori e con un super DNA sostenibile e a prova di future crisi. Diamo il via alle città Startup italiane!