report IPCC

Clima, il mondo a un bivio: chiudiamo l’era dei combustibili fossili o sarà catastrofe

Il sesto Assessment Report dell’IPPC sul Cambiamento Climatico lo dice chiaramente: le decisioni che prendiamo ora possono garantirci o meno un futuro vivibile. Abbiamo gli strumenti e il know-how necessari per limitare il riscaldamento, serve la volontà politica, soprattutto di ridurre la dipendenza dalla Russia

Pubblicato il 11 Apr 2022

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La guerra della Russia contro l’Ucraina ha portato alla luce in modo ancora più violento la necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo. Questa evidenza dimostra ancora una volta la fragilità della dipendenza dell’Europa e soprattutto dell’Italia dalle importazioni di gas e petrolio, che rende tutto il continente esposto alla stabilità geopolitica contingente e rende il continente alla di regimi antidemocratici e lontani dai valori propri dell’occidente.

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Clima, ecco perché siamo a un bivio

Oltre alla drammatica contingenza del periodo storico dobbiamo aggiungere che pochi giorni fa è stato pubblicato il sesto Assessment Report dell’IPPC delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (IPCC Sixth Assessment Report Mitigation of Climate Change. Nel rapporto si conferma che siamo davvero arrivati ad un bivio; le decisioni che prendiamo ora possono garantirci o meno un futuro vivibile. Abbiamo infatti gli strumenti e il know-how necessari per limitare il riscaldamento”, e come ha affermato il presidente dell’IPCC Hoesung Lee. “Sono incoraggiato dall’azione per il clima intraprese in molti paesi. Ci sono politiche, regolamenti e strumenti di mercato che si stanno rivelando efficaci. Se questi vengono ampliati e applicati in modo più ampio ed equo, possono supportare profonde riduzioni delle emissioni e stimolare l’innovazione”.

Tuttavia, rispetto alle possibilità reali di cambiare il percorso ed il destino del nostro pianeta il corso attuale è terribilmente semplice da vedere: siamo sulla buona strada per un riscaldamento catastrofico a 3 gradi.

Questo significherebbe, in un mondo in cui metà della sua popolazione è altamente vulnerabile alla crisi climatica un immane disastro; ondate di caldo estremo, inondazioni e siccità ben al di fuori delle normali tolleranze di città e paesi distruggeranno infatti vite e mezzi di sussistenza a livello globale. Gli effetti a catena del fallimento dei raccolti, della migrazione e delle interruzioni economiche potrebbero quindi sovraccaricare le istituzioni politiche e le nostre capacità di rispondere agli eventi in corso.

Le alternative all’uso dei combustibili fossili

Il rapporto presentato può essere considerato un ulteriore e definitivo punto di riferimento utile per porre fine all’era dei combustibili fossili. Il rapporto infatti è uno strumento importante anche tutti coloro che si battono contro l’industria dei combustibili fossili su molti fronti, e anche per coloro che adottano canali ufficiali, come i parlamentari che fanno pressioni sul governo affinché non aprano nuovi giacimenti petroliferi, avvocati e cittadini che portano paesi o società in tribunale.

Ci sono chiaramente nel testo anche elementi che saranno certamente utilizzati dall’industria dei combustibili fossili per ritardare ulteriormente l’azione per il clima e mantenere fino a che possibile lo stato attuale. Al centro di questo si cala il tema della rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera. Coloro che fanno affidamento sul “business as usual scenario” sosterranno che entro questo secolo saremo in grado di aspirare carbonio dall’aria, quindi perché preoccuparsi di ridurre le emissioni il più drasticamente possibile oggi?

Allo stato attuale possibilità di far fronte alla concentrazione di anidride carbonica in atmosfera tramite la rimozione diretta ha ancora barriere tecnologiche ed economiche importanti per cui il rapporto afferma che è necessaria una rimozione del carbonio, ma non dovrebbe mai essere un’alternativa alla riduzione delle emissioni ora.

La sezione più incoraggiante del rapporto riguarda le alternative all’uso dei combustibili fossili, la soluzione generale al nostro fabbisogno energetico è elettrificare tutto ciò che possiamo, dal riscaldamento degli edifici ai trasporti, e alimentare tutto utilizzando fonti rinnovabili pulite e stoccaggio. Stiamo ottenendo un enorme aiuto da grandi balzi in avanti nella tecnologia pulita.

Tra il 2010 e il 2019, il rapporto afferma che il costo dell’energia solare è crollato dell’85%, dell’energia eolica del 55% e delle batterie agli ioni di litio dell’85%.

Si tratta di cifre sbalorditive che indicano un futuro energetico radicalmente rimodellato. (Scientists have just told us how to solve the climate crisis – will the world listen? Simon Lewis The Guardian 6 Aprile 2022).

Ma il problema delle emissioni è più profondo del semplice fallimento nell’investire in alternative a basse emissioni di carbonio. Il mondo ha già abbastanza infrastrutture ad alto contenuto di carbonio esistenti e pianificate per superare 1,5°C. È necessario bloccare i grandi emettitori, come le centrali elettriche a carbone; inoltre, i nuovi giacimenti petroliferi e gli aeroporti pianificati che bloccano le emissioni elevate devono essere cancellati.

I Governi devono intervenire anche sul mondo della finanza che continua ad investire soldi su progetti che di rinnovabile hanno ben poco e questo nonostante, come abbiamo visto i costi degli impianti rinnovabili sono sempre più bassi.

Secondo un rapporto di una coalizione di ONG, (Bankin on Climate Chaos, Fossil Fuel Finance Report 2022) le 60 banche più grandi del mondo hanno fornito 3,8 trilioni di dollari di finanziamenti alle società di combustibili fossili dall’accordo sul clima di Parigi nel 2015.

Petrolio, gas e carbone dovranno essere bruciati per alcuni anni a venire. Ma è noto almeno dal 2015 che una parte significativa delle riserve esistenti deve rimanere nel suolo se si vuole che il riscaldamento globale rimanga al di sotto dei 2°C, il principale obiettivo di Parigi. Il finanziamento di nuove riserve è quindi “l’esatto opposto” di quanto necessario per affrontare la crisi climatica, affermano gli autori del rapporto.

Colpiscono duro le dichiarazioni di Alison Kirsch, del Rainforest Action Network e uno degli autori del report che dichiara: “Quando guardiamo ai cinque anni complessivi, la tendenza sta ancora andando nella direzione sbagliata, che è ovviamente l’esatto opposto di dove dobbiamo essere all’altezza degli obiettivi dell’accordo di Parigi”, ha affermato “Nessuno di queste 60 banche hanno elaborato, senza scappatoie, un piano per uscire dai combustibili fossili”. (Big banks’ trillion-dollar finance for fossil fuels ‘shocking’, says report, Damian Carrington The Guardian, 24 Marzo 2021)

La situazione dell’utilizzo delle fonti fossili in Europa

Quale la situazione quindi dell’utilizzo delle fonti fossili in Europa e soprattutto riguardo il rapporto con la Russia? L’Europa importa circa il 40% del suo fabbisogno di gas dalla Russia e nel 2021 il 26% di queste forniture è passato attraverso l’Ucraina, corridoio privilegiato del gas dalla Siberia alla UE. L’Italia è, tra i Paesi europei, quello che fa più ricorso al gas naturale come fonte energetica (è il 42,5% del mix energetico nazionale): molto più di Francia (17%) e Germania (26%), le quali possono però contare la prima sul nucleare, e la seconda sul carbone e su un parco di rinnovabili più avanzato del nostro [dati ISPI 2022].

La Commissione Europea ha presentato un piano che, per ridurre di due terzi la dipendenza dal gas russo entro fine anno, prevede di diversificare le forniture (importando più GNL e producendo più biometano, prodotto da scarti agricoli e industriali, e idrogeno rinnovabile) e di ridurre l’uso industriale e domestico di combustibili fossili grazie all’efficienza energetica e alle energie rinnovabili. Dopo l’occasione mancata della pandemia potrebbe essere questa la spinta giusta per rispettare il Green Deal, il piano per rendere l’Europa un continente a emissioni nette zero entro il 2050. (Energia. La guerra in Ucraina darà una spinta alle energie rinnovabili? Focus)

Infographic: What Alternatives Does Europe Have to Russian Gas? | Statista

Lo stato dell’arte in Italia

E in Italia? Pur essendo in linea con il trend europeo avendo avviato un importante processo di decarbonizzazione dell’economia negli ultimi trent’anni l’Italia negli ultimi anni sta perdendo la sua leadership su questi temi, avendo rallentato moltissimo il taglio delle emissioni (fra il 2014 e il 2021 le emissioni si sono ridotte solo del 3%) proprio nel momento in cui le tecnologie pulite sono diventate più efficaci e disponibili ed è cresciuta la consapevolezza sulla crisi climatica (Il rapporto Ipcc e l’Italia: siamo l’unico Paese fra i big dell’Ue dove le rinnovabili non crescono più Greenreport 5 Aprile 2022). Su questo tema il blocco degli investimenti risale all’estate 2010, quando il quarto governo di Silvio Berlusconi (che ricopriva anche l’interim allo Sviluppo economico) scatenò la corsa al pannello con il decreto salva Alcoa che consentiva a chi terminasse l’installazione entro la fine di quell’anno con entrata in esercizio entro metà 2011 di accedere al secondo Conto energia invece che al terzo, meno generoso. Da notare che se negli ultimi otto anni lo sviluppo delle fonti rinnovabili fosse continuato alla stessa velocità del triennio 2010-2013 oggi il fabbisogno nazionale di gas sarebbe inferiore di almeno 20 miliardi di metri cubi annui, il 70% dell’attuale import dalla Russia (Fonti rinnovabili, l’Italia ha perso otto anni per ridurre la dipendenza dal gas. La speculazione dopo il Conto energia di Berlusconi e il flop delle aste, Il Fattoquotidiano 21 marzo 2022)

Per risolvere il problema attuale, inoltre, il governo non punta tutto sulle rinnovabili ma mantiene una strategia che guarda in parte ancora sulle fonti fossili. Il primo ministro italiano Mario Draghi ha affermato che l’Italia ha urgente bisogno di tornare a produrre il proprio gas. L’Italia deve “aumentare la produzione interna a scapito delle importazioni, perché il gas prodotto nel proprio Paese è più gestibile e può essere più economico”, ha affermato.

Draghi ha affermato che l’Italia intende anche aumentare le importazioni di gas naturale dagli Stati Uniti, oltre ad aumentare la fornitura da gasdotti, tra cui TAP dall’Azerbaigian, Trans-Med dall’Algeria e Tunisia e Green-Stream dalla Libia.

Sulle rinnovabili, l’Ue può fare di più

Un diverso punto di vista in Europa viene da Undici Stati membri (tra cui non c’è l’Italia) hanno chiesto all’Ue più ambizione per raggiungere gli obiettivi climatici e per rendersi finalmente indipendenti dalla Russia. Il livello di unità e la rapidità con cui sono state prese decisioni storiche impensabili fino a qualche mese fa, come risposta alla guerra in Ucraina, a loro avviso mostrano che si può fare di più anche sul tema delle rinnovabili. E il momento è ora, o sarà troppo tardi. L’Ue ha bisogno “di una rapida transizione all’energia rinnovabile, come fonte di energia accessibile e sicura che contribuirà a proteggere i consumatori dagli aumenti dei prezzi” (Le sei azioni per liberare l’Ue dalla dipendenza del gas russo, La Repubblica, 7 marzo 2022).

Altro aspetto fondamentale è quello dell’efficienza energetica, come indicato nel report di Ecco (Ecco, halving italy’s russian gas dependency through energy savings and renewables, 2022) ciò che sorprende nella risposta del governo è la mancanza di qualsiasi riferimento all’importanza del risparmio come risposta collettiva e responsabile e come mezzo pacifico per reagire all’aggressione del tempo di guerra e liberarci dal ricatto del gas. In questa analisi, Ecco ha sviluppato ipotesi di risparmio energetico per mostrare come un’azione collettiva immediata, supportata da una campagna di comunicazione pubblica e combinata con uno sviluppo più rapido delle rinnovabili, possa sostituire l’equivalente del 50% delle importazioni di gas russe entro un anno.

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