Non c’è dubbio che la lotta ai cambiamenti climatici è anche una lotta “data-driven”. I dati ci forniscono infatti informazioni preziose e dettagliate sullo stato di salute del nostro Pianeta, permettendoci di fare previsioni su quelli che saranno con buona probabilità gli scenari con cui ci dovremo confrontare in futuro. Nello stesso tempo i dati suggeriscono quali azioni è necessario introdurre e soprattutto in quali tempi per contrastare i cambiamenti climatici.
Ad esempio, per mitigare le emissioni di gas serra in atmosfera e raggiungere la neutralità carbonica, ossia le “emissioni zero” di cui sentiamo sempre più spesso parlare.
Cambiamenti climatici, i Governi usino meglio l’intelligenza artificiale
A Bologna il quartier generale del centro europeo per le previsioni meteo
Alcuni mesi fa è stato inaugurato al Tecnopolo di Bologna il nuovo quartier generale del centro europeo per le previsioni meteo (ECMWF). È un centro all’avanguardia, che si avvale delle più avanzate tecnologie e dei più potenti calcolatori in grado di elaborare grandissime quantità di dati per ottenere previsioni sempre più precise in tempi sempre più ristretti. Ed è proprio grazie a questi dati che avremo anche la possibilità di conoscere con precisione sempre maggiore quando e dove si potranno verificare fenomeni intensi e ridurne così il rischio per la popolazione e le infrastrutture.
Il programma Ue Copernicus
L’emergenza climatica si combatte infatti con i dati e in particolare con i dati provenienti dallo spazio. Copernicus è il programma di osservazione della terra dell’Unione Europea basato sia su dati satellitari che su dati rilevati “in situ” attraverso sensori posizionati sul suolo, in mare o nell’atmosfera. Si tratta di una quantità enorme di dati che viene elaborata in modo continuo e che Copernicus rilascia attraverso sei “servizi”: Atmosfera, Ambiente Marino, Territorio, Cambiamenti Climatici, Sicurezza ed Emergenze. L’ECMWF, che ricordiamo sta per “European Centre for Medium-range Weather Forecasts” è responsabile e assicura l’operatività del progetto Copernicus su due di questi servizi, il Copernicus Atmosphere monitoring Service e il Copernicus Climate Change Service.
Va ricordato come il programma Copernicus ha come principale obiettivo quello di garantire all’Europa quella indipendenza necessaria nel rilevamento e nella gestione di dati che riguardano l’osservazione della terra.
In particolare, Il Copernicus Climate Data Store (che sarà definitivamente operativo sul centro ECMWF di Bologna a partire dal prossimo 23 marzo) fornisce preziose informazioni sul passato, presente e sul futuro del clima in Europa e nel resto del mondo. Sono dati accurati, aggiornati di continuo e disponibili liberamente a chiunque voglia utilizzarli. Sono dati che la comunità scientifica utilizza per progetti di ricerca sui cambiamenti climatici ed è il maggior contributo dell’Unione Europea alla Global Framework for Climate Services.
Tutti i dati sono liberamente scaricabili o accessibili via API ma il portale fornisce un interessante accesso attraverso un Toolbox dove chi mastica un po’ di Python può lanciare delle elaborazioni on-line per confezionare mappe contenenti informazione climatiche. Ad esempio, questa immagine che vedete qui sotto si riferisce alla situazione della temperatura sulla superficie terrestre e sugli oceani lo scorso 14 febbraio alle ore 12:00.
Il set di dati utilizzato in questo caso è ERA5 single levels ed è il risultato di quella che viene chiamata climate reanalysis attraverso cui vengono ricostruite le serie storiche relative ad un insieme di variabili climatiche. In particolare, questo set di dati consente di ottenere la temperatura del nostro pianeta o di una qualunque porzione di esso ad una qualsiasi ora della giornata per ogni giorno dal 1979 ad oggi.
Cambiamenti climatici: non c’è più tempo
La conferenza COP26 di Glasgow ha portato dell’attenzione di tutti il tema dei cambiamenti climatici. Non è che prima della conferenza non se ne parlasse, di sicuro tutta l’attività di Greta Thunberg e del movimento Friday for Future ha contribuito a non far passare in secondo piano questo che è un tema cruciale per noi e per il nostro pianeta.
I gas serra, l’innalzamento della temperatura, lo scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione ci sembrano però cose lontane da noi. Semplicemente non abbiamo la percezione che questo sia un pericolo reale per noi perché sono cose che produrranno effetti tra alcune decine di anni e tendenzialmente siamo incapaci di pensare sul medio-lungo periodo.
Se noi camminiamo e decidiamo ad un certo punto di cambiare direzione possiamo farlo senza nessun particolare problema. Man mano però che la velocità aumenta questo diventa sempre meno vero. Se andiamo a velocità sostenuta in automobile, dobbiamo prepararci diverse decine di metri prima per un cambio di direzione. Se invece ci troviamo su un aeroplano serviranno diverse decine di chilometri. Pensiamo ad esempio a con quanto anticipo vengono effettuate tutte le manovre necessarie per poter atterrare sulla pista di un aeroporto.
Intervenire sui cambiamenti climatici è un po’ come stare tutti su uno stesso aeroplano. Le decisioni e le azioni che vengono prese oggi avranno infatti i loro effetti tra diverse decine di anni. Ma se non si agisce ora, si rischia di mancare la pista di atterraggio. Come ha ricordato l’ex presidente USA Barack Obama nel suo intervento a Glasgow, “Time really is running up”, ossia “il tempo sta veramente scadendo”, concetto che è stato espresso dai tanti partecipanti alla conferenza e anche dal Papa.
Ma come facciamo a sapere quale sarà la temperatura e più in generale il clima in Italia e nel mondo tra 30, 40, 50 anni? Il World Climate Research Program (WCRP) nel 1995 ha lanciato un’iniziativa internazionale chiamata CMIP (Coupled Model Intercomparison Project) che coinvolge attualmente più di 30 gruppi di ricerca in tutto il mondo per un totale di oltre mille ricercatori.
Ricercatori che mettono a punto, condividono, analizzano e paragonano tra loro i risultati dei modelli climatici al fine di ottenere informazioni di alta qualità proprio sui cambiamenti climatici in corso e sull’impatto che questi possono avere sui territori. Al momento ci troviamo nella sesta fase. Ogni nuova fase cerca di introdurre nuovi elementi e di apportare una serie di innovazioni rispetto alla fase precedente migliorando la qualità dei dati ottenuti. CMIP6 ci consente così di fare proiezioni sempre più accurate sugli scenari che potranno verificarsi in futuro. E ci fa capire che mantenere l’aumento della temperatura entro 1.5°C nel 2050 sarà possibile soltanto se ci sarà un drastico abbattimento dell’uso di combustibili fossili ma soprattutto un sostanziale cambiamento dei nostri sistemi economici e dei nostri stili di vita. Questa è decisamente la parte più difficile. Non tanto per il cambiamento in sé, ma quanto per il fatto che va avviato e portato a regime in tempi strettissimi. Se ciò non dovesse accadere sarebbero infatti altissime le probabilità di mancare il bersaglio.
La figura mostra quale potrà essere l’andamento della temperatura media globale in base a tre scenari possibili. Gli Shared Socioeconomic Pathways (SSP) sono ipotetici scenari socioeconomici da qui al 2100. In rosso lo scenario peggiore, quello cioè a cui andremo incontro se continueremo a basare il nostro sistema socioeconomico sull’uso dei combustibili fossili (SSP5). In verde quello che ci aspetta se invece riusciremo a percorrere la strada dello sviluppo sostenibile (SSP1).
Fonte: https://cds.climate.copernicus.eu/cdsapp#!/dataset/projections-cmip6?tab=overview
Conclusioni
L’emergenza Covid è stata forse una sorta di grande prova generale per far capire al mondo che nessuno si salva da solo e che la salute di ognuno di noi dipende dalla salute di tutti. Contrastare insieme i cambiamenti climatici sarà la prossima grande sfida.