Far evolvere una città significa non solo pensare all’evoluzione delle sue infrastrutture e dei suoi servizi. Occorre anche riconsiderare l’insieme dei modelli di business che regolano la sua economia. Il cambiamento dei processi indotti dal dispiegamento di nuove tecnologie e dalle interazioni tra i diversi attori richiede un ripensamento dei modelli di business. Interessante notare come anche in questo settore vi sia la possibilità di prendere ispirazione dai sistemi biologici.
Una prima considerazione è relativa alla legge di Kleber. Kleber, un biologo dello scorso secolo osservò che esiste una relazione tra il volume degli esseri viventi e il loro metabolismo. Questo rapporto pone tutti gli essere viventi in una progressione continua con 2 gap, uno al passaggio dagli esseri unicellulari a quelli multicellulari e l’altro con il passaggio ai mammiferi. In sostanza la legge di Kleber è legata alla capacità di un organismo di smaltire il calore prodotto dal proprio metabolismo. Al crescere del volume il metabolismo aumenta e con questo il calore che viene prodotto (e deve essere dissipato). La sua dissipazione avviene attraverso la superficie dell’essere vivente. Quindi dovremmo avere, per chi si appassiona di matematica, un rapporto (esponenziale) di 0,66 (in quanto l’aumento conseguente al volume è al cubo mentre quello conseguente alla superficie è al quadrato). Quello che Kleber dimostrò è che invece questo rapporto è di 0,75. Differenza piccola ma significativa. La ragione, che fu compresa qualche decina di anni dopo sta nel fatto che gli esseri viventi sono più efficienti di un solido nel disperdere il calore, attraverso la circolazione sanguigna e la respirazione. In particolare la struttura dei vasi e dei bronchi è di tipo frattale, e in una architettura frattale il rapporto tra volume e superficie, quindi tra creazione di calore e dissipazione è proprio di 0.75. Mistero svelato. La differenza della costante di Kleber tra unicellulari, multicellulari e mammiferi dipende dai sistemi che questi hanno per dissipare il calore, che sono diventati più efficienti al passaggio da uni/multi/mammiferi.
Torniamo alle città. Anche qui osserviamo che possiamo raggruppare le città in diversi gruppi in cui si vede che al crescere della città aumenta il suo valore economico che risulta pro-capite disposto secondo una progressione che assomiglia in modo intrigante a quella di Kleber. Come mai?
La capacità di produrre in una città dipende dal numero di persone che producono condizionato dalle risorse utilizzate per produrre. Tanto più è efficiente l’accesso e l’uso delle risorse tanto maggiore sarà il valore prodotto pro-capita. Ebbene si vede che anche qui esistono vari raggruppamenti (simile a organismi unicellulari, multicellulari e mammiferi) e che all’interno di questi raggruppamenti il rapporto (esponenziale) è intorno a 0,75. La differenza tra i vari raggruppamenti, che potremmo definire come efficienza nel produrre valore, dipende dalla qualità delle infrastrutture, e qui la tecnologia è un componente importante (insieme alle regole economiche …) ma il rapporto rimane 0,75.
Anche per le città si fa risalire questo rapporto alla struttura frattale che hanno le infrastrutture, siano queste strade (con condizionamento sulla logistica delle supply e distribution chain), reti idriche, infrastrutture di telecomunicazioni.
Tuttavia, la digitalizzazione permette di superare il vincolo di infrastrutture frattali per quanto riguarda l’economia dei bit e diventa possibile spingere l’efficienza complessiva a valori più alti per cui nel cybespazio più persone produttive ci sono e più aumenta il prodotto complessivo, oltre il rapporto (esponenziale) di 0,75.
Questa è la sfida per la smart city: dotarsi di infrastrutture (nel cyberspace) che siano più efficienti di quelle del mondo degli atomi. Questo richiede un ripensamento dei processi, non una trasposizione dei processi adatti al mondo degli atomi a quello del mondo dei bit.
Al crescere degli attori, reso possibile dalla trasposizione nel cyberspazio di attività economiche con abbattimento dei costi transazionali, modelli di business che si rifanno in qualche modo alla Evoluzione Naturale in senso darwiniano diventano interessanti. Su questi si è tenuto recentemente un workshop ad Amsterdam (luglio 2015) dal titolo: Bio Inspired business models for Smart Cities”.
Tra le tecnologie che migliorano le capacità produttive la robotica, premessa all’industria 4.0, è certamente tra quelle più interessanti. Si noti come da anni i robot hanno colonizzato la produzione ma finora rimpiazzando la manodopera. Quello che ci si aspetta nel passaggio alla industria 4.0 è un ripensamento dei sistemi/processi produttivi con nuove architetture di produzione.
Ora i robot stanno entrando nelle smart cities promettendo di renderle ancora più smart. Automobili senza guidatore (self driving cars) e trasporti pubblici autonomi sono ovvi esempi di questa tendenza. Molte città, tra cui Torino, hanno la metropolitana automatica, senza guidatore… Masdar, ad Abu Dhabi, è un esempio di città con veicoli automatici (direi più un esperimento che una realtà).
Nella prossima decade possiamo attenderci un crescente numero di veicoli con maggiori capacità di comunicazione tra di loro e con le infrastrutture stradali.
Diventeranno sempre più simili a robot ma la transizione avverrà dolcemente e necessiterà perlomeno di una decade (più probabili tre decadi) per concludersi. Per questo motivo nel 2050 alla domanda “quando è avvenuta la transizione da veicoli di inizio secolo a quelli a guida autonoma di oggi?” sarà difficile dare una risposta.
Lentamente, ma certamente, i flussi di traffico nelle nostre città cambieranno e vedremo strade che cambieranno il senso di circolazione, strade a doppio senso che diverranno magari anche solo per pochi minuti a doppio senso. La topologia stessa della città apparirà in continuo divenire.
La tecnologia è ovviamente un fattore abilitante e lo diventa quando è economicamente “abbordabile”. Costruire un’auto in grado di guidare da sola disponendo di 500.000€ oggi non è un problema. Realizzarla ad un prezzo di mercato che non superi del 5% il prezzo di un veicolo a guida umana oggi non è possibile. Ma il costo della tecnologia continua a scendere e quindi nella prossima decade dovrebbe diventare abbordabile. Si pensi che la tecnologia che sta dentro ad un aspirapolvere “robot” come Roomba venti anni fa era pensata per uso militare ed aveva un costo intorno ai 50.000€. Oggi la troviamo sugli scaffali del supermercato.
L’aspetto economico è fondamentale, ma altrettanto importanti diventano, nel momento in cui questo sia soddisfatto, aspetti sociali, regolatori, legali ed etici.
La pressione sociale, in quanto consapevolezza diffusa che il passaggio ad auto self-drive e a strutture urbane che collaborino con le auto diminuirebbe drasticamente consumi, migliorerebbe la vivibilità della città valendo quindi l’incremento dei costi personali e della città è un elemento fondamentale. Come pure il collegato aspetto regolatorio che potrebbe imporre, così come è accaduto per l’obbligo di motori sempre meno inquinanti, il passaggio graduale a auto autonome. Legato a questo vi è ovviamente il ruolo dello stato che potrebbe dare un impulso alla transizione attraverso vari strumenti di defiscalizzazione.
Più complesso, invece, appare l’elemento legale, specialmente quello legato alla responsabilità. In caso di danni a cose o persone chi diventa responsabile? Già oggi sono frequenti i casi di contestazione. Nel caso di auto a guida autonoma vengono a cadere alcuni dei presupposti (chi ha fatto cosa, visto che questo risulta completamente registrato sulla black box) pe ril contenzioso ma se ne aprono altri ben più complessi. La responsabilità va alla casa produttrice, a chi ha creato le infrastrutture, a chi le gestisce, ad una non corretta configurazione da parte del proprietario del veicolo… e molte altre ancora.
Ancora più complesso appare il problema etico. Immaginate che vi si pari di fronte un ostacolo, magari un bimbo che salta giù dal marciapiede. Cosa fate? Molto probabilmente quello che pensereste di fare a mente fredda non corrisponde a quello che farete doveste trovarvi in quella situazioni: agirete d’istinto, molto probabilmente sterzando per evitare l’ostacolo. Magari facendo questo causereste un incidente ben più grave andando a sbattere contro un’auto che proviene in direzione opposta o finendo sull’altro marciapiede e coinvolgendo altri pedoni. Tuttavia dal punto di vista etico non si pone il problema. La vostra non è stata una scelta sul male minore, solo una reazione istintiva.
Le cose cambiano con un’auto a guida autonoma. Il software che la guida è stato scritto da qualcuno che ha deciso a priori cosa la macchina deve fare.
La macchina “sa” che in quella situazione esiste un potenziale bambino sul suo percorso, sa che non può frenare in tempo, che se sterza violentemente a destra sale sul marciapiede e coinvolge 4 persone e che se sterza a sinistra va a scontrarsi con un’auto che proviene in direzione opposta su cui c’è una famiglia di tre persone. Sa anche che su stesse sta trasportando 4 persone che in caso di urto contro l’auto che proviene in direzione opposta sarebbero ferite o peggio.
Tutta questa conoscenza deve essere tradotta in una azione, il software in quell’istante decide e decide in quanto è stato programmato in un certo modo. Quale è la scelta etica corretta? Chi la decide? E’ una decisione imposta per legge, o è la casa automobilistica a decidere cosa sia eticamente corretto? O ancora, viene dato all’acquirente del mezzo la possibilità di pre-impostare la scelta?
Come si può ben vedere queste sono problematiche complesse anche perché sono completamente nuove. Si consideri, inoltre che gli autoveicoli non saranno gli unici elementi autonomi a creare il nuovo ambiente urbano.
Una nuova classe di robot, i droni, diventerà protagonista in vari settori, dalla consegna di piccoli pacchi al supervisione dell’ambiente. Anche questo non capiterà in un momento preciso ma sarà una evoluzione progressiva. Ed anche qui ritroviamo nuove problematiche come quelle accennate per i veicoli autonomi.
Il tutto si riduce alla considerazione che il significato della parola “smart” sembra semplice da capire ma non appena andiamo a fondo scopriamo che non lo è affatto, e non lo è per tutti uguale. Attribuire una valutazione di smart solo aspetti di miglioramento economico è riduttivo e potenzialmente pericoloso.