Quale innovazione auspicare per il nostro Paese e quali strumenti utilizzare per farla emergere e promuoverla?
Dopo due anni di pandemia l’ecosistema italiano dell’innovazione sembra essere in grado di fare un salto di qualità: progetti più solidi, più finanziamenti, una maggior consapevolezza. Manca ancora, invece, salvo alcune lodevoli iniziative, un sistema comunicativo di supporto in grado di promuovere e aiutare a crescere l’innovazione a 360 gradi.
Innovazione, l’Italia ha imboccato la strada giusta: adesso rimuoviamo gli ultimi ostacoli
Parte da questa constatazione «Comunicare Innovazione e Impresa. Le regole del gioco per far parlare di sé» un libro che, tra casi studio e consigli pratici, condensa dieci anni di esperienza professionale come consulente, a cavallo tra comunicazione e innovazione, capitalizzando gli insegnamenti che il metodo giornalistico può dare al mondo dell’impresa. Ma soprattutto un libro a misura di manager, imprenditori e startupper per insegnar loro come comunicare al meglio il proprio progetto. Spiegando in parole semplici cosa comunicare, come e dove, ma soprattutto quando. Per far crescere la propria azienda, entrare (e rimanere) nel club dell’innovazione, per sfruttare al meglio l’interesse naturale che ogni progetto di valore è in grado di generare.
Serve una strategia
Se fai correre allo scaffale il tuo pubblico e non gli fai trovare quanto promesso rischi di perderlo per sempre. Riportarlo sarà molto difficile. Volevi vendere un prodotto e non è ancora disponibile? Volevi vendere equity della tua azienda e invece hai inavvertitamente comunicato un prodotto che ancora non c’è? Ogni passo determina quelli successivi in una strategia di comunicazione. Per evitare le trappole, prima di partire, bisogna sapere come funzionano i media e l’attenzione delle persone, e farsi alcune domande chiave: perché sto comunicando? Qual è il momento giusto? Ogni notizia crea un picco, che nel libro viene chiamato curva della notiziabilità, cui segue normalmente una rapida caduta. L’obiettivo della curva (e del libro) è spiegare – attraverso 10 casi tipo: Pmi, centri di ricerca, self branding, startup, eventi, aziende che vogliono quotarsi in borsa… – come allungare quel picco per sfruttare al meglio quell’interesse genuino e gratuito che ogni progetto (se ben studiato e compreso) può suscitare, come addolcire la discesa del picco, come riuscire a produrne altri.
E infine: quali strumenti scegliere, come evitare gli autogol, come costruire un pitch perfetto o gestire un evento in modo che comunichi implicitamente i valori del nostro progetto. Un «manuale» per coordinare in un unico piano editoriale social network, giornali, piattaforme pubblicità, eventi, per dare a imprenditori, manager e comunicatori tecniche e consigli per valorizzare al meglio l’innovazione made in Italy.
Quale innovazione promuovere?
Ma appunto, riprendendo la domanda dell’inizio: quale innovazione promuovere? In questo senso mi sembra utile proporre una serie di domande da porsi per capire quale modello di innovazione sia auspicabile in Italia. Eccole, citate nella parte finale del libro, intitolata appunto «Il fine dell’innovazione, il fine della comunicazione».
È sostenibile dal punto di vista ambientale?
L’innovazione che stiamo prendendo in considerazione quale impatto ha sul pianeta? In termini di CO2, di emissioni inquinanti ma anche, e soprattutto, in termini di economia circolare: è previsto lo smaltimento delle sue componenti?
Il prodotto che rapporto ha con il progresso scientifico e la qualità?
Il prodotto che sto analizzando contribuisce ad alimentare il circuito positivo del technology transfer accelerando la collaborazione tra ricercatori e mondo dell’impresa? Si basa su una scoperta recente, è all’avanguardia per gli standard tecnologici che propone?
Crea valore per tutta la filiera?
Il progetto allarga lo sguardo a tutta la filiera produttiva in cui si trova? Non si tratta ovviamente di «fare la morale» all’innovazione in termini di posti di lavoro. La storia della tecnologia è piena di salti tecnologici che hanno distrutto posti di lavoro e ne hanno creati altri, ma l’innovazione che serve all’Italia, e al pianeta, ha bisogno di un ragionamento in termini di filiera. L’innovazione deve in qualche modo «fare politica», provare a farsi carico del contesto: formazione, ambiente, società. Senza una valutazione degli impatti su questi grandi capitoli non possiamo valutarne la sostenibilità sociale. In questo la matrice degli SDG, i Sustainable Development Goals – in italiano obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) – promossi dall’ONU per il 2030 sono un’ottima guida. Ancor più nel nostro Paese, un tessuto economico polverizzato chiama tutti al dovere di esercitare con grande partecipazione il proprio ruolo per la creazione di un vero ecosistema responsabile verso tutti gli attori.
Valorizza rendite di posizione o libera energie inespresse nella società?
L’innovazione è sociale o non è, deve partecipare al cambiamento sociale e non alla conservazione. Se l’innovazione diventa uno strumento che aumenta le differenze sociali e non contribuisce a ridurle, se non offre opportunità a chi non le ha, allora rischia di diventare solo uno strumento in mano degli investitori e favorire le rendite di posizione di chi la ricchezza la riceve in eredità e non la crea. Sono convinto che l’innovazione sia uno dei pochi meccanismi in grado di riattivare l’ascensore sociale che in Italia è bloccato da troppo tempo.
Come valorizza persone e competenze?
Nella vostra azienda avete dipendenti, collaboratori o shareholder? La qualità della vita dei collaboratori è un tema centrale dell’azienda? E lo sviluppo di nuove competenze? Le economie innovative si sviluppano solo mandando in pensione rapporti di lavoro ottocenteschi che trattano i collaboratori come forza lavoro e non come persone.