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Comunicare la sostenibilità in modo chiaro e affidabile: la Ue detta le regole



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Negli ultimi anni, le comunicazioni di mercato hanno virato in modo deciso verso la sostenibilità. Tuttavia, la mancanza di standard comparabili e verificabili può confondere i consumatori. Una proposta di direttiva Ue mira a regolare queste comunicazioni, garantendo informazioni affidabili e supportate da evidenze scientifiche per una competizione leale e trasparente

Pubblicato il 3 lug 2024

Mario Di Giulio

Professore a contratto di Law of Developing Countries, Università Campus Bio-Medico Avvocato, Partner Studio Legale Pavia e Ansaldo



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Guidata dalla crescente sensibilità globale verso la sostenibilità ambientale, la comunicazione delle aziende sta subendo una profonda trasformazione.

L’Europa, attenta a tali dinamiche, ha introdotto una proposta di direttiva per regolare le dichiarazioni ambientali, con l’obiettivo di garantire un quadro informativo affidabile e verificabile.

La posizione del Consiglio Europeo ribadisce l’importanza cruciale di tale questione e sottolinea come informazioni comparabili e basate su evidenze scientifiche solide siano fondamentali per una comunicazione verde efficace.

Nel contesto della non più prorogabile lotta ai cambiamenti climatici, anche la comunicazione delle aziende sta subendo una profonda trasformazione, guidata dalla crescente sensibilità globale verso la sostenibilità ambientale.

L’Europa, attenta a tali dinamiche, ha introdotto una proposta di direttiva per regolare le dichiarazioni ambientali, con l’obiettivo di garantire un quadro informativo affidabile e verificabile.

La posizione del Consiglio Europeo ribadisce l’importanza cruciale di tale questione e sottolinea come informazioni comparabili e basate su evidenze scientifiche solide siano fondamentali per una comunicazione verde efficace.

Il cambio di paradigma nelle comunicazioni di mercato

E così, abbiamo assistito nei tempi più recenti a un cambio di paradigma delle comunicazioni di mercato che potrebbe facilmente riassumersi, invertendo il noto adagio sull’erba del vicino, in “l’erba del mio giardino è sempre la più verde”.

A segnalarcelo non è solo il cambio concreto di colori del noto marchio di fast food che ha adottato da anni una colorazione verde ad indicare un impatto più salutistico per l’uomo e l’ambiente, ma il paradosso stesso dell’industria degli idrocarburi che a piè sospinto si dichiara ogni giorno più verde e sostenibile.

Da qui è tutto un fiorire di dichiarazioni e certificazioni che possono indurre in errore i consumatori e impedirgli di svolgere un’analisi attenta nella scelta dei prodotti, così compromettendo a catena la possibilità d’investimenti che possano andare nella corretta direzione attraverso dei prodotti conformi.

Di contro un tema che non si considera è che spesso la mancanza di valori comparabili e dell’identificazione di metri di misura unici può condurre, anche in buona fede, a proclamarsi “verdi” senza avere considerato tutte le circostanze.

E questo accade anche in altri campi. Si pensi ad esempio all’invio di vestiti di seconda mano nei paesi meno sviluppati che quando non finiscono nelle discariche, rendono impossibile la creazione di un’industria della moda locale e quindi comprimono le possibilità di sviluppo dei paesi stessi; si pensi anche agli involucri biodegradabili che per essere tali richiedono poi il rispetto di condizioni materiali non sempre ricorrenti e che comunque quando degradati hanno un impatto al livello di acidificazione dei suoli.

Il fenomeno del “greenhushing

Che l’errore sia dietro l’angolo come gli scivoloni che possono accadere, lo sta a dimostrare anche il conio di un nuovo termine quale “greenhushing” in cui le aziende tendono a non comunicare quanto di buono fanno per l’ambiente per non incorrere i danni collaterali.

È chiara quindi l’importanza di avere un quadro chiaro di applicazione che non solo tuteli i consumatori ma anche le imprese, non solo per evitare passi falsi ma anche per assicurare una competizione corretta tra le stesse. Del resto è opinione comune che la concorrenza si può liberamente realizzare soltanto in presenza di regole chiare, precise e applicabili a tutti

La Direttiva europea sulle dichiarazioni ambientali

La direttiva si propone di regolare le comunicazioni e le dichiarazioni di carattere ambientale, siano esse scritte o verbali, e le certificazioni ambientali che le imprese adottano volontariamente. Una volta emanata avrà impatto anche sui sistemi di certificazione esistenti.

La normativa dovrebbe indirizzare separatamente le dichiarazioni ambientali dalle certificazioni, anche se vi saranno parti comuni a entrambe.

Essa si pone come ulteriore presidio rispetto alla Direttiva n. 825 del 2024, in materia di pratiche commerciali scorrette e di contratti con i consumatori, sostanzialmente rispondendo all’esigenza di regolare le pratiche di greenwashing.

La posizione del Consiglio Europeo

Il 17 giugno il Consiglio Europeo ha adottato la propria posizione (“approccio generale”) sul tema. La proposta di direttiva da parte della Commissione è stata pubblicata il 22 marzo 2023.

Ciò consentirà l’avvio delle consultazioni con il Parlamento europeo per l’adozione della direttiva in argomento.

Il passaggio è fondamentale perché il Consiglio è espressione dei governi dei paesi membri dell’Unione Europea: la sua posizione pertanto esprime la volontà degli stati membri di portare a compimento la direttiva.

Del resto al livello di cittadinanza, gli europei si dimostrano sempre più attenti ai problemi ambientali e orientati a volere compiere scelte di consumo mirate a minimizzare il proprio impatto ambientale (secondo le ricerche di Eurobarometer questa esigenza sarebbe sentita da ben il 90% dei cittadini europei).

L’importanza di avere informazioni affidabili, comparabili e verificabili

La filosofia della direttiva è riassumibile in questo assunto: i consumatori hanno bisogno di informazioni ambientali che siano affidabili, comparabili e verificabili (“reliable, comparable and verifiable”).

Il punto di partenza è la constatazione che al momento le dichiarazioni ambientali non lo sono, come evidenziato da uno studio richiamato dallo stesso Consiglio che nel 2020 rilevava che tali dichiarazioni erano per la maggiore parte “vaghe, decettive e infondate”.

Attraverso la direttiva, quindi, saranno stabiliti degli schemi d’informazione che superino le criticità sopra indicate.

Tra l’altro viene introdotta anche la considerazione di creare una nuova etichettatura che possa certificare il rispetto dei criteri stabiliti.

L’obiettivo è chiaro: raggiungere al più presto, nell’ambito del Green Deal, la transizione verde che consenta un’economia circolare e pulita.

Affermazioni suffragate da studi scientifici rigorosi e comprensibili

Le comunicazioni di natura ambientale dovranno essere corroborate da evidenze scientifiche, che non solo devono essere solide sotto il profilo della fondatezza ma anche chiare e comprensibili e dovranno fare chiaro riferimento alle caratteristiche ambientali che sono al centro della comunicazione: durabilità, riciclabilità e biodiversità.

Il ruolo di verifiche ex ante ed etichettatura

Le comunicazioni relative agli aspetti ambientali dei prodotti dovranno essere precedute da verifiche eseguite prima che la promozione avvenga. E le verifiche dovranno essere eseguite da terze parti esperte e indipendenti. Procedure semplificate potranno essere adottate per alcuni tipi di affermazioni ambientali il cui schema rimane comunque da essere definito.

Si prevede inoltre di introdurre regimi più flessibili in termini di applicazione per le microimprese (alle quali dovrebbe essere concesso un maggiore termine di quattordici mesi per adeguarsi ai precetti della direttiva una volta recepiti a livello nazionale), mentre forme di supporto dovrebbero essere introdotte a sostegno delle piccole e medie imprese che fisiologicamente sono più esposte alle difficoltà di svolgere progetti di ricerca ed analisi approfondite.

Emissioni di carbonio

Le nuove regole dovrebbero disciplinare anche la creazione di crediti di carbonio così come le compensazioni, che dovrebbero tendere anche alla diminuzione e all’azzeramento della produzione di gas serra oggetto di compensazione: compensare quindi non dovrebbe essere fine a se stesso ma inizio di un processo virtuoso di eliminazione delle emissioni.

Conclusioni

Il respiro della direttiva è ampio e potrebbe segnare una differenza almeno a livello europeo segnando un modello che potrebbe essere eseguito anche da altri.

Del resto anche grandi nazioni come la Cina stanno cercando di invertire la rotta e, come spesso accade per i governi non democratici nell’adozione delle scelte, è probabile che riesca nei suoi obiettivi.

Quanto a noi, sarà da vedere quanto il nuovo parlamento e i nuovi equilibri che si vanno delineando non costituiranno elementi di rottura, così come le multinazionali non continueranno a interferire sui dati scientifici con la creazione di centri scientifici “indipendenti”.

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