A fronte di segnali contrastanti sul versante delle politiche pubbliche per il clima, provenienti in particolare dai BRICS, la COP26 ha confermato il crescente attivismo della comunità finanziaria. Gli operatori si sono mostrati pienamente consapevoli del contributo che possono apportare alla mitigazione del cambiamento climatico attraverso le proprie politiche di investimento, tanto da raggiungere risultati altrettanto rilevanti rispetto all’azione dei governi.
L’annuncio della nascita della Glasgow Financial Alliance for Net Zero (Gfanz), che coinvolgerà 450 banche, assicuratori e gestori patrimoniali nell’erogazione di 100 mila miliardi di dollari a favore della neutralità carbonica entro il 2050, rappresenta una novità significativa, che va ad aggiungersi alla Paris Aligned Investment Initiative e ai network supportati dalle Nazioni Unite – Net Zero Banking, Net-Zero Asset Owner e Net-Zero Alliance Manager Alliance.
Tali iniziative consentiranno di moltiplicare la massa degli investimenti allineati agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che – secondo il grido di allarme lanciato da CDP – non superano attualmente l’1% del volume globale.
Cop26, tutte le speranze e le sfide per salvarci dal disastro climatico
Il ruolo degli standard dei target per la carbon neutrality
In un contesto di forte fermento, l’elemento principale in base al quale giudicare l’attendibilità e il rigore degli impegni presi è rappresentato dalla convergenza dei diversi sforzi verso metodologie e standard condivisi di definizione dei target di neutralità climatica e verso percorsi omogenei di transizione.
Gli standard Science-based Targets
Gfanz partecipa a Race to Zero, la campagna che aggrega a propria volta differenti coalizioni e iniziative settoriali per la neutralità climatica, tra cui le stesse Net-Zero Asset Owner e Asset Manager Alliance, e prevede un set di requisiti minimi di processo per gli aderenti (pledge, plan, proceed, publish).
Allo stato attuale, gli standard maggiormente riconosciuti sono gli Science-based Targets (SBTi) for Financial Institutions, lanciati ad aprile 2021, che hanno registrato un boom di adesioni a livello internazionale proprio in occasione della Conferenza. Gli SBTi definiscono tre approcci metodologici per l’allineamento dei portafogli finanziari agli obiettivi dell’Accordo di Parigi e compatibili con uno scenario di riscaldamento globale inferiore a 1,5 gradi entro il 2050:
- il Sectoral Decarbonization Approach (SDA) prevede la convergenza degli asset in settori particolarmente carbon intensive (real estate, Oil&Gas, energia, alluminio, carta, cemento, sostanze chimiche e trasporti) verso target di intensità delle emissioni parametrati ai volumi fisici della produzione
- il metodo SBT Portfolio Coverage si basa sulla percentuale di emittenti presenti nei portafogli azionari o di debito che aderiscono a propria volta ai Science-based Target, valorizzando le strategie di azionariato attivo e di engagement introdotte dagli asset manager
- l’approccio Portfolio Temperature Rating (PTR), maggiormente complesso da un punto di vista metodologico, invita le istituzioni finanziarie a determinare l’attuale contributo del proprio portafoglio all’innalzamento delle temperature medie e a perseguirne l’allineamento agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, del proprio portafoglio.
Indipendentemente dall’approccio adottato, le istituzioni finanziarie sono chiamate a individuare l’anno di decorrenza del calcolo (baseline) e a definire obiettivi di riduzione delle emissioni in un orizzonte compreso tra i 5 e i 15 anni. Tale orizzonte potrà essere esteso al lungo termine sulla base degli SBTi Corporate Net-Zero Standard, i primi standard per la validazione degli obiettivi aziendali di neutralità climatica al 2050 presentati lo scorso 21 ottobre.
Requisiti per la definizione dei target
Un requisito essenziale per la definizione dei target, in particolare secondo gli approcci SDA e PTR, è la capacità di monitorare le emissioni dirette e indirette delle aziende presenti in portafoglio, con un perimetro che include l’intera catena del valore. I dati in materia sono tipicamente forniti dalle agenzie di rating ESG che hanno sviluppato sistemi di misurazione e stima della carbon footprint delle imprese e dalle iniziative di rendicontazione dedicate alle emissioni di gas serra quali CDP (ex Carbon Disclosure Project). Allo stato attuale, tuttavia, queste scontano il limite rappresentato dal numero ristretto di imprese che rendicontano le proprie emissioni all’interno dei report di sostenibilità: secondo l’agenzia Refinitiv, queste, rappresentano solo la metà delle 10.000 imprese analizzate in base ai profili ESG. In tale contesto, l’estensione degli obblighi di rendicontazione di sostenibilità a tutte le grandi imprese, prevista dalla proposta di Corporate Sustainability Reporting Directive approvata dalla Commissione Europea, segnerà pertanto una svolta significativa verso una maggiore disponibilità dei dati sulle emissioni.
L’integrazione dei rischi climatici nella concessione del credito
Quello degli investimenti non è l’unico ambito di integrazione degli obiettivi climatici che coinvolge gli operatori finanziari.
L’intervento della European Banking Authority (EBA), con la pubblicazione a maggio 2020 delle Guidelines on Loan Origination and Monitoring, ha infatti inaugurato il fronte relativo alla valutazione dei rischi ESG, e in particolare di quelli climatici, nelle procedure di concessione dei finanziamenti alle imprese. L’analisi che le banche sono invitate a effettuare riguarda, da un lato, il potenziale impatto dei fattori ambientali climatici sulle condizioni finanziarie dei debitori; dall’altro, l’efficacia delle strategie di mitigazione dei rischi messe in campo dalle imprese e la resilienza dei rispettivi modelli di business ai fenomeni climatici.
Tale richiamo comporta la necessità di raccogliere nuove tipologie di informazioni in sede di istruttoria e di analizzarle con il supporto di modelli, come le heat map, capaci di determinare l’esposizione delle imprese ai rischi sulla base delle caratteristiche del settore. Come nel caso degli investimenti, la disponibilità di dati attendibili sulle performance e sulle politiche ambientali delle imprese costituisce un potenziale limite soprattutto per le PMI, che risultano ancora escluse dai rating ESG e meno attive sul fronte della rendicontazione di sostenibilità rispetto alle grandi società quotate. In risposta a tale sfida, numerosi gruppi bancari si sono attivati sviluppando modelli di analisi ad hoc e ridefinendo il modello di relazione con le imprese, offrendo servizi di assessment e di accompagnamento.
L’attenzione ai rischi climatici nelle politiche di credito si coniuga in modo virtuoso alle attività di sustainable lending, vale a dire l’erogazione di finanziamenti rivolti a progetti di sostenibilità, dando vita a una profonda trasformazione dei modelli di business degli istituti bancarie. La rapida evoluzione del mercato dei green loan e sustainability-linked loan, che ha raggiunto i 200 miliardi di dollari di erogazioni nel 2020 (fonte Bloomberg – UniCredit Research), richiede tuttavia un maggiore livello di trasparenza nei criteri di ammissibilità dei progetti “verdi” e nell’allocazione delle risorse: obiettivi a cui rispondono i Green Loan Principle introdotti da Loan Market Association nel 2018 e le stesse linee guida di EBA.
Conclusioni
Il protagonismo della comunità finanziaria nell’affrontare i cambiamenti climatici, a supporto e talora in sostituzione alle politiche pubbliche, esce ulteriormente rafforzato dalla COP26. Gli istituti di credito si sono dimostrati pronti a cogliere la sfida, ma il percorso è ancora ai suoi inizi.
Requisiti fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi appaiono il coordinamento tra iniziative differenti, la convergenza verso standard e linee guida scientifiche nella definizione degli obiettivi e il monitoraggio costante dei risultati parziali. In tale contesto, assume un ruolo centrale la capacità di rilevare e analizzare informazioni relative alle strategie climatiche delle imprese e alle loro esposizioni a rischi e opportunità di business, chiamando in causa il potenziale supporto fornito dalla data industry.