Quindici giorni fa attivisti e diplomatici si sono riuniti per la prima volta a Dubai per Cop28, il vertice dell’ONU sul clima, però nessuno avrebbe scommesso su un bilancio positivo, raggiunto grazie all’accordo, per la prima volta, sulla riduzione di tutte le fonti fossili.
Due settimane fa infatti le possibilità di compiere progressi significativi sembravano molto scarse e lo scetticismo su un accordo finale si toccava con mano.
Il ritorno della guerra in Medio Oriente e l’ulteriore frammentazione dell’ordine geopolitico, insieme alla scelta del Paese che ospitava il vertice – gli Emirati Arabi Uniti, uno dei principali Paesi petroliferi del mondo – e del suo presidente, Il sultano al-Jaber, a capo della compagnia petrolifera nazionale, erano tutti elementi che minacciavano di trasformare l’evento in un gigantesco esercizio di greenwashing.
Invece, qualcosa è cambiato. La svolta è accaduta, nonostante i pronostici sfavorevoli. “Progressi lenti, ma progressi”, conferma Matteo Villa, Senior Research Fellow presso l’ISPI e co-head dell’ISPI Data Lab: “Quello che esce da questa COP28 è, come sempre, un accordo al ribasso. Ma se alle parole seguiranno i fatti sarà comunque un’accelerazione rispetto allo status quo”.
“Il risultato c’è e non va trascurato, sul fronte della produzione di energia”, aggiunge inoltre Luigi di Marco, membro della Segreteria generale ASviS, “l’impegno a triplicare entro il 2030 la produzione da rinnovabili“. Ecco i pro e contro dell’accordo finale che rappresenta comunque una svolta importante.
Cop28: bilancio positivo grazie all’accordo sulla riduzione di tutte le fonti fossili
Cop28 ha sfidato i pessimisti. Per la prima volta il mondo ha deciso di abbandonare il carbone, il petrolio e il gas naturale, principali cause del riscaldamento globale. Le 198 parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici hanno concordato un testo che chiede una transizione dai combustibili fossili “nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo“.
Alcuni saranno delusi dai compromessi raggiunti. Gli europei speravano di concordare una “eliminazione graduale” completa dei combustibili fossili, che i produttori di combustibili fossili hanno rifiutato di sottoscrivere. I piccoli Paesi insulari affermano che la loro voce non è stata ascoltata. L’accordo stabilisce che solo l’energia da carbone “non smaltita” sarà gradualmente eliminata, lasciando la possibilità di continuare a bruciare il combustibile più sporco a condizione che le sue emissioni siano catturate alla fonte. Ciononostante, il documento rappresenta un passo avanti importante e realistico.
“Prendiamo l’impegno a triplicare la capacità di generazione rinnovabile nel mondo entro il 2030”, commenta Matteo Villa: “A politiche attuali, quella capacità aumenterebbe già di 2,4 volte, ma arrivare a 3 ci farebbe guadagnare più di cinque anni sulla tabella di marcia. Resta ancora tanto da fare, ma il bicchiere è mezzo pieno“.
“Questo impegno va ben oltre le decisioni dell’Europa“, infatti, conferma Luigi di Marco: “finora considerata la prima della classe. Entro il 2030 l’impegno europeo era di raddoppiare e non triplicare (come messo nero su bianco a Cop28, ndr). Dunque si tratterà di capire come integrare il programma Fit55 per raggiungere questo obiettivo, magari investendo in Paesi terzi. Il bicchiere può essere visto mezzo pieno e mezzo vuoto, ma l’importante ora è fissare dei target per tradurre le parole in fatti, evitando di lasciarle sulla carta”. Altro aspetto rilevante è che “l’impegno a triplicare è basato sulle proiezione dell’agenzia internazionale per le rinnovabili Irena e l’agenzia internazionale per l’energia, Iea: dunque un impegno basato sui dati, con il supporto delle agenzie internazionali, e sostenuto dal G20, con l’appoggio di Cina e India”.
L’addio ai combustibili fossili
L’invito a eliminare gradualmente i combustibili fossili è stato sia politicamente ingenuo che economicamente irrealizzabile, secondo l’Economist. La policy opera per consenso, il che significa che i grandi petrostati avevano il diritto di veto su qualsiasi accordo. Inoltre, è probabile che i combustibili fossili continuino a far parte del mix energetico per i decenni a venire. Anche le previsioni più ottimistiche suggeriscono un ruolo sostanziale per il petrolio e il gas, bilanciato dalle tecnologie che eliminano le loro emissioni di gas serra, negli scenari in cui il mondo raggiungerà l’obiettivo Net Zero entro il 2050. Sebbene l’energia pulita abbia fatto passi da gigante, è improbabile che riesca a sostituire completamente i combustibili fossili per quella data.
Ed essere realisti, nel nome di un pragmatismo basato sui dati scientifici, su questa tematica, è cruciale per raggiungere i risultati.
Prossimo passo: tradurre le parole in azioni
Anche la diplomazia del clima si è dimostrata più potente di quanto i pessimisti si aspettassero. Al-Jaber si è dimostrato più desideroso di garantire un successo negoziale al suo Paese che di distorcere il processo per favorire i suoi interessi economici.
Un primo impegno da parte di 50 compagnie petrolifere, tra cui l’azienda di al-Jaber, a ridurre le proprie emissioni di metano, un potente gas a effetto serra, suggerisce che un petroliere a capo dello show ha assicurato indubbi vantaggi.
“Chi partecipa a Cop28, lo fa portando sul tavolo i propri interessi“, spiega Luigi di Marco: “Dovremmo imparare che quando si partecipa alle Cop ed altri eventi internazionali, sarebbe necessario avere la capacità di mettere da parte i nostri interessi particolari per conseguire gli obiettivi generali”.
A contribuire aspianare la strada per un accordo, è stata infatti l’intesa fra Usa e Cina prima del vertice. Significa che i due maggiori inquinatori e rivali geopolitici hanno fatto pressione per inserire nell’accordo un linguaggio sui combustibili fossili, che ha poi agevolato a indirizzare i petrostati recalcitranti verso un accordo. Anche la scelta della sede del vertice del prossimo anno, Baku, è stata un simbolo di armonia. L’Armenia ha dato il suo sostegno alla candidatura dell’Azerbaigian, mentre i due vicini in guerra si avviano alla pace.
Tuttavia, un accordo globale è solo un piccolo passo. Un progresso molto più rilevante e difficile consisterà nel tradurre le parole in azioni nel mondo reale. L’accordo manda un segnale alle compagnie petrolifere, soprattutto nei Paesi ricchi, che potrebbero trovare più difficile fare affari, per esempio a causa delle sfide legali alle licenze di esplorazione. Ma la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili dipenderà in ultima analisi dal fatto di renderli non competitivi. Una combinazione di prezzi del carbonio e sussidi ben mirati per le tecnologie pulite può raggiungere questo risultato nella parte ricca del mondo.
Cop28: i limiti da superare per un bilancio positivo
I Paesi più poveri avranno bisogno di aiuto, e non basta il fondo Loss and Damage, finalmente operativo.
Infatti il vertice ha ampiamente eluso questa spinosa questione. I Paesi in via di sviluppo con riserve di combustibili fossili hanno sostenuto che non è giusto aspettarsi che rinuncino a una delle loro poche fonti di reddito senza ricevere aiuti per farlo.
In questo contesto “sono molto importanti le parole del segretario dell’Onu, António Guterres“, sottolinea Luigi di Marco, “che ha dichiarato che non lasceremo mai indietro Stati che dipendono dalle fonti fossili, perché bisogna soddisfare anche gli interessi di chi opera nel settore del fossile. Come messo nero su bianco nell’accordo di Parigi, bisogna cambiare i flussi finanziari e renderli coerenti con uno sviluppo compatibile con l’obiettivo dell’1,5°C”.
Secondo il think-tank Commissione per la Transizione Energetica, per sbarazzarsi in anticipo dell’energia a carbone sarà necessario che il mondo ricco metta a disposizione dei Paesi poveri circa 25-50 miliardi di dollari all’anno in sovvenzioni ed altri finanziamenti agevolati per il resto di questo decennio, al fine di mandare in pensione anticipata gli impianti a carbone.
Conclusioni
I progressi sono innegabili, e il bicchiere è mezzo pieno. Ma non si può ignorare l’aspra battaglia che fa da sfondo alla transizione energetica. L’accordo finale infatti si limita soltanto all’energia e non affronta il tema cruciale della produzione. Inoltre anche l’enforcement rimane vago e i sono dubbi da diradare presto per passare dalle parole ai fatti a Cop28 e rendere il bilancio finale veramente positivo.
“Devono essere le imprese che si basano sulle fonti fossili non devono vere più interesse a farlo”, mette in evidenza Luigi di Marco: “Servono accordi più stringenti su questo aspetto per superare le contraddizioni esistenti”.
I progetti nei Paesi poveri sono molto più costosi di quelli nei Paesi ricchi, perché il settore privato richiede un premio per compensare il rischio associato. Ma i Paesi ricchi cercheranno di limitare i loro obblighi finanziari nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Colmare questo divario determinerà l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili, molto più delle dichiarazioni diplomatiche a Dubai e le sfumature semantiche nell’accordo finale.
Per colmare questo divario, bisogna riflettere sul fatto che “i Paesi petroliferi, che devono abbandonare il fossile, sono anche i Paesi come l’Arabia Saudita che possono scommettere sul fotovoltaico in maniera massiccia – da fare invidia alla Baviera – grazie alla loro posizione geografica e conformazione fisica”, mette in risalto Luigi di Marco.
Infine “deve diventare di primo piano il fattore sociale su quello tecnologico: capire quali sono i bisogni sociali da soddisfare”, conclude Luigi di Marco: “La prima domanda da porsi è a cosa ci serve l’energia, quindi aumentare l’impegno sull’efficienza energetica, già presente nell’Agenda 2030″. Ma la vera novità di questa Cop è proprio il triplicare l’energia da rinnovabili”. Ora bisogna darsi da fare per centrare gli ambiziosi obiettivi.