Ha aperto i battenti in Azerbaigian la Cop29 di Baku, che brilla per l’assenza dei leader e ha un convitato di pietra, Donald Trump, appena rieletto Presidente degli Stati Uniti e che ha già promesso il nuovo addio degli Usa agli accordi di Parigi. “Ma, al di là di Trump, ci sono tutti gli altri che hanno firmato l’accordo e la Ue che porta a Baku una posizione condivisa“, avverte Luigi di Marco dell’Alleanza italiana dello Sviluppo Sostenibile (AsViS), “e poi non dimentichiamo le ambiguità di Trump e di Elon Musk che produce le auto elettriche”.
“Ciò che va fatto è l’agenda decisa all’impatto sul futuro e quanto detto anche al summit di Budapest sul nuovo patto per la competitività europea, che si fonda anche sulla neutralità climatica, assunto sulle basi delle raccomandazioni dei rapporti di Mario Draghi ed Enrico Letta“, continua di Marco.
Ma, al di là di tutte le contraddizioni di una complessa transizione ecologica, la Cop29 punta a fornire risposte alle vittime dei cambiamenti climatici, indirizzando risorse al mondo in via di sviluppo, e a siglare accordi pragmatici, come quello sul mercato delle emissioni.
“La catastrofe climatica sta martellando la salute (11 milioni di bambini a rischio solo in Pakistan, secondo l’Unicef, ndr), ampliando le disuguaglianze, danneggiando lo sviluppo sostenibile e scuotendo le fondamenta della pace”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, all’apertura della conferenza sul clima dell’Onu.
Ecco le sfide in atto, nell’anno più caldo di sempre in cui si tocca la soglia di aumento di +1,5 gradi C, mentre si accendono i fari sui risarcimenti per i Paesi più fragili ai cambiamenti climatici.
Cop29 a Baku: focus sui Paesi più vulnerabili, fra assenze eccellenti
Questa conferenza sul clima, che cade la settimana successiva alle elezioni Usa segnate dalla rielezione di Donald Trump, il Presidente che ha fatto del negazionismo climatico la sua cifra all’insegna della nuova Great disruption, si differenzia dalle precedenti per l’assenza dei leader. Assenti il presidente Usa Biden, in carica fino all’insediamento di Trump a gennaio, e la presidente della Commissione europea von der Leyen, come per altro Emmanuel Macron e Olaf Scholz.
Ma Donald Trump ha già promesso e ribadito che gli Stati Uniti, prima potenza mondiale e secondo più grande produttore di gas serra, potrebbe presto abbandonare l’accordo di Parigi sul clima del 2015, mandando in soffitta gli impegni a ridurre le emissioni di carbonio.
La sfida principale di questa Cop29 consiste nel cercare un buon compromesso sugli importi degli aiuti finanziari da elargire ai Paesi più poveri e più esposti ai cambiamenti climatici, mentre ormai è assodato che è il mercato a dettare il ritmo della decarbonizzazione, dell’elettrificazione e della sostenibilità. Anche perché Elon Musk, che ha usato la sua piattaforma X, comprata per 44 miliardi di dollari, per la vittoria del 47esimo presidente degli Stati Uniti, produce auto elettriche e la sua Tesla, insieme alla cinese Byd e alla statunitense Gm, è fra le poche case automobilistiche a tenere il passo, durante la crisi nera dell’auto in Europa (solo in Italia sono a rischio 50 mila posti di lavoro).
Se gli Usa cancellassero l’Inflation reduction act (Ira), secondo Bloomberg, calerebbe una mannaia sugli investimenti nei nuovi impianti per le rinnovabili nel prossimo decennio (-17%, di cui -45% solo nell’eolico offshore).
Ma, al di là delle ipotesi sul futuro dell’America dopo il ritorno di Trump, “bisogna ricordare che il consigliere di Trump si chiama Elon Musk e il suo core business consiste nel fabbricare auto elettriche”, sottolinea Luigi di Marco.
Le promesse degli Stati a Cop29 a Baku
Il Regno Unito, alla Cop29 di Baku, ha appena promesso che le riduzioni delle emissioni di gas serra passeranno dal 78% (rispetto ai livelli del 1990) all’81% entro il 2035. Limitare i danni è dunque ancora possibile.
L’Italia ha promesso riafferma la visione di scommettere non solo sulle rinnovabili, ma ancora su gas (Gln), biocarburanti, idrogeno e cattura e stoccaggio del carbonio. Come ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, aspettando la “fusione nucleare” che al momento è ipotizzabile non prima del 2050: “Non c’è un’unica alternativa ai combustibili fossili”, ha dichiarato Meloni alla Cop29 di Baku, confermando il ruolo della “neutralità tecnologica”.
Il presidente del Consiglio di Spagna, Pedro Sànchez, che ha ricordato che il cambiamento climatico uccide”». “, ha promesso di raddoppiare gli sforzi nella lotta contro l’emergenza climatica.
La Grecia, che soffre di ondate di caldo dopo tre anni di precipitazioni sotto la media e registra scarsità d’acqua e prosciugamento di laghi, promette maggiore onestà sui compromessi necessari per evitare l’innalzamento delle temperature globali. “Dobbiamo porci domande difficili su un percorso che va molto veloce, a scapito della nostra competitività, e un percorso che va molto più lentamente, ma permette il nostro settore ad adattarsi e a prosperare”, ha sostenuto il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis.
L’Unione europea, Germania, Francia, Spagna, Canada, Kenya, Zambia, Cile, Colombia e numerosi piccoli stati insulari aderiscono inoltre alla High Ambition Coalition. La coalizione sprona urgentemente ad “aumentare i finanziamenti per l’azione climatica”, rendendo le “nuove forme di finanziamento una realtà”, accelerando “la trasformazione dell’architettura finanziaria internazionale”.
La finanza climatica e il primo accordo sul mercato delle emissioni di CO2
Il capo negoziatore della Cop29, l’azero Yalchin Rafiyev, ha annunciato un primo accordo sul mercato delle emissioni di CO2 fra gli stati e le aziende. Si tratta di un meccanismo dinamico, da aggiornare, che s’ispira all’Ets europeo, finora mai attuato, ma già previsto dall’articolo 6 dell’accordo di Parigi.
Questo strumento si pone come “risolutivo per indirizzare risorse al mondo in via di sviluppo e per aiutarci a risparmiare fino a 250 miliardi di dollari all’anno, mentre attuiamo i nostri piani climatici. Dopo anni di stallo, a Baku abbiamo cominciato a muoverci”, spiega Yalchin Rafiyev.
Dalla Cop29 di Baku emerge un quadro chiaro per cui solo un’azione climatica più incisiva possa prevenire gli impatti del clima sull’inflazione. “La finanza climatica è un’assicurazione globale contro l’inflazione. I costi in aumento del clima dovrebbero essere il nemico pubblico numero uno”, ha detto Simon Stiell, segretario esecutivo della Convenzione dell’Onu sul cambiamento climatico, l’Unfccc, aprendo il World Leaders Climate Action Summit.
In questa cornice, Stiell ha illustrato l’effetto steroideo della crisi climatica sull’inflazione, essendo “una crisi di costo della vita, perché i disastri climatici stanno alzando il costo delle case e del business“. Basti pensare a come la siccità gonfia i prezzi del cibo e il rischio alluvioni e dissesti idrogeologici quello delle abitazioni nelle aree sicure.
“La crisi si sta rapidamente trasformando in un killer economico. Gli impatti del clima tagliano fino al 5% del Pil in molti Paesi”, ha aggiunto, ricordando l’effetto devastante della pandemia sulle filiere: “Miliardi di persone hanno sofferto perché non abbiamo intrapreso un’azione collettiva abbastanza presto, quando le catene della fornitura sono state colpite. Non facciamo ancora quell’errore. Milioni di persone semplicemente non si possono permettere che i loro governi lascino la Cop29 senza un obiettivo di finanza climatica globale‘”.
Il fondo Loss and damage al via dal 2025
Dall’anno prossimo entra nel vivo il fondo Loss and damage, dedicato ai ristori delle perdite e dei danni del cambiamento climatico nei Paesi vulnerabili.
Istitutito alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, rafforzato nei lavori alla Cop28 negli Emirati,, il fondo “inizierà ad erogare i suoi fondi nel 2025” ed è volto a “ricostruire le case distrutte, risistemare le persone sfollate”, come ha dichiarato Mukhtar Babayev, il presidente della Cop29 di Baku, dopo la firma alla conferenza dell’accordo per la piena operatività del fondo.
Lo scorso settembre in Azerbaigian si è tenuto a Baku il terzo incontro del Consiglio del Fondo con l’elezione del direttore del Consiglio. “Abbiamo siglato l’accordo dei donatori con le Filippine, poi l’intesa con la Banca Mondiale e quello per i contributi dei Paesi donatori al Fondo per i Loss and damage”.
“Ma la nostra missione non è completa – ha sottolineato Babayev – Ora il Fondo ha bisogno di selezionare i progetti a cui deve andare il supporto tanto atteso. E noi chiediamo impegni maggiori, per andare incontro ai bisogni urgenti delle vittime del cambiamento climatico. Ma ora dobbiamo proseguire (…) sull’Ncqg (l’obiettivo di finanza climatica, n.d.r.), sull‘articolo 6 (il mercato internazionale delle emissioni, n.d.r.) e su tutti i pilastri delle politiche climatiche”.
I rifugiati climatici: i numeri
P”er la prima volta Unhcr affronta in maniera seria e sistematica l’impatto dei cambiamenti climatici sulle migrazioni“, afferma Luigi di Marco: “Finalmente ci sono cifre da mettere sul tavolo”. Si è parlato per la prima volta di rifugiati climatici, durante l’esodo migratorio durante la guerra in Siria, dove non tutti scappavano dalle bombe russe della Wagner e dalla guerra civile contro Assad, ma anche dalla siccità prolungata in un’area del Paese già martoriato dal conflitto.
Dal rapporto dell’Unhcr emerge che entro il 2040 i Paesi a rischio climatico estremo cresceranno da 3 a 65 unità. E poiché molti già ospitano rifugiati e sfollati interni, è evidente che i cambiamenti climatici espongono le persone più fragili a una combinazione letale di rischi e minacce.
Si attestano a 60mila persone al giorno i migranti climatici che sono in fuga da siccità e alluvioni. “Basta vedere ciò che è successo nella periferia di Valencia“, aggiunge Luigi di Marco.
Le criticità da superare
Soltanto gli eventi estremi degli ultimi mesi, dalla siccità estiva alle alluvioni autunnali, dovrebbero indurre a un’urgente azione climatica per prevenire i dissesti idro-geologici. Del resto, il 2024 sarà il nuovo anno più caldo di sempre, secondo l’ultimo rapporto Copernicus, con un aumento di temperatura, rispetto all’era pre-industriale, di 1,55 gradi C rispetto al limite massimo fissato dall’accordo di Parigi a +1,5 gradi C.
Ma durante la scorsa presidenza Trump, l’America registrò il più elevato numero di centrali a carbone chiuse. E, al semaforo verde alle trivelle e alle ricerche petrolifere in Alaska, faranno da contraltare gli enormi investimenti cinesi in rinnovabili e decarbonizzazione.
Perderanno coloro che remano contro la sostenibilità. “L’economia è contro di loro. Le soluzioni non sono mai state più economiche e accessibili”, sottolinea il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. “E alle richieste di Tesla di Elon Musk e della Silicon Valley, è sensibile anche Donald Trump”, evidenza Luigi di Marco.
“Sicuramente, a sostenere l’Onu siamo noi della Ue, il Regno Unito, il Giappone e il Canada”, conclude Marco di Luigi, “il rischio che intravedo è il metodo degli accordi bilaterali: sulla finanza climatica e il patto sul futuro si pone il problema che ogni Paese preferisca portare avanti gli accordi bilaterali con i pacchetti tipo ‘Piano Mattei’ per mantenere un potere negoziale dei singoli Stati“. Questo è il maggior ostacolo agli accordi climatici che rendono un diritto l’accesso ai fondi di ristoro.
Il rischio vero è dunque che ogni Paese vada per conto proprio, perdendo di vista l’obiettivo finale: salvare il Pianeta perché non abbiamo un piano B. Intanto il trattato sul clima di Parigi del 2015 “vive ancora”, secondo il ministro dell’ambiente irlandese Eamon Ryan. I Paesi che danno l’addio a quegli accordi rimarranno indietro rispetto al passato. Invece i Paesi che non abbandonano l’accordo evolveranno, godendo dell’impatto positivo dell’innovazione sulle loro economie.