Il crollo di mercato delle criptovalute, dovuto all’attacco al sistema UST-Terra/Luna che ha trascinato in basso il valore di Bitcoin, Ethereum e altre stablecoin, ha messo in evidenza come il rischio di investimento in cripto sia elevatissimo e molto legato alle capacità computazionali di navigare nei punti deboli degli algoritmi che governano un sistema ancora poco regolamentato.
L’episodio ha evidenziato anche un altro aspetto fondamentale nel determinare il costo delle crypto: quanto costa il mining e quanta energia consuma.
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Quanto costa il mining di Bitcoin e come è stato ridotto il costo di produzione
Il mining di Bitcoin necessita di una quantità di energia annua pari all’intero consumo energetico di uno Stato come l’Argentina o la Norvegia: un consumo energetico dovuto alla capacità di calcolo necessaria per risolvere i complessi algoritmi che determinano il proof of work e ancora di più al raffreddamento dei sistemi e lo smaltimento del calore prodotto.
Finora ci si è mossi spostando il mining in Paesi dal basso costo energetico, dall’energia abbondante ma anche dai climi freddi, in modo da ridurre i consumi per il raffreddamento e lo smaltimento del calore prodotto.
Si sono cercate anche soluzioni con mining farm in mare o agli estremi delle terre abitate: ad Ushuaia, nel nord dei paesi scandinavi, o degli USA o del Canada. Ma anche qui, dove il clima è favorevole, ci si è scontrati con i consumi di energia elettrica, che hanno provocato lamentele da parte della popolazione residente: le mining farm assorbivano circa il 30% dell’energia totale disponibile.
Queste soluzioni estreme hanno permesso di ridurre il costo per la produzione di 1 bitcoin da circa 14.000 USD a circa 5.000 USD cadauno: una riduzione considerevole, che aumenta i già ottimi margini di remunerazione per i miners rispetto al valore di mercato del bitcoin, anche considerando il crollo degli ultimi giorni. Se i conti economici tornano, vanno però in crisi i criteri di sostenibilità nel medio periodo.
Come i nuovi algoritmi riducono i consumi del 90%
La sola blockchain di Bitcoin oggi consuma oltre 130 TWh l’anno che, sommate a tutte le altre blockchain che usano il “proof of work” come sistema di certificazione del blocco, porta i consumi mondiali a qualche migliaio di TWh l’anno. Molto più del consumo annuale dell’intera Italia.
Questo è anche uno dei motivi per cui il sistema delle cryptovalute deve essere continuamente alimentato con denaro fresco: per remunerare i miners che ricevono in cambio bitcoin o altre crypto e le scambiano sugli exchange e per pagare l’energia elettrica ed il funzionamento delle mining farm, oltre che accumulare enormi guadagni.
È evidente che il tema della sostenibilità energetica sia un punto cruciale per la sopravvivenza del settore. Negli anni, la ricerca ha riguardato algoritmi sempre più efficienti rispetto a quello di Bitcoin o Ethereum, che richiedessero minore energia per il “proof of work” e fossero più veloci nel risolvere le transazioni sulla blockchain, soprattutto nella DeFi, la finanza decentralizzata.
Il tema vero, che il settore ha subito affrontato, è che, pur lavorando sull’efficienza, il proof of work, per sua natura, è ancora oggi il sistema più sicuro, inviolabile e non influenzabile ma anche il più energivoro.
Sono nati quindi nuovi concetti, tra cui Algo con Algorand, che lavora sul “proof of stake”, o Ethereum 2.0, che ha creato il suo consensus layer (pur sempre un “proof of stake”), molto adatti al concetto DeFi, per semplificare e ridurre al minimo i tempi e le capacità di calcolo per validare un blocco.
Non si compete più tra chi arriva per primo a risolvere un complicato algoritmo (“proof of work” stile Bitcoin) ma si collabora alla soluzione di un problema semplificato (“proof of stake” stile Algorand) guadagnando in termini di consumi e velocità.
Ciò comporta, secondo alcuni, la perdita di unicità e non replicabilità del sistema di Bitcoin, quindi l’esposizione a rischi concreti sulla veridicità della certificazione del blocco.
Questa nuova generazione di algoritmi riesce a ridurre i consumi energetici anche del 90% ed oltre e transare in 4-5 secondi sulla blockchain: una velocità di transazione che eliminerebbe alla fonte la possibilità per malintenzionati di influenzare il sistema.
Criptovalute e sostenibilità: il riutilizzo del calore prodotto nel mining
Se lavorare sui consumi è una delle strade per rendere sostenibile il mondo delle cryptovalute ai fini degli obiettivi ESG, l’altra strada è utilizzare il calore prodotto in eccesso per alimentare altri ecosistemi ed integrare il mondo digital delle crypto con ambienti fisici e produzioni reali.
Ne sono esempi: il riscaldamento delle serre per la produzione di frutta ed ortaggi, oppure il teleriscaldamento di una piccola comunità o tutte quelle applicazioni dove è necessaria una discreta quantità di calore prodotto costantemente durante l’intera giornata.
L’altra frontiera per rendere sostenibile una industria molto energivora è utilizzare fonti rinnovabili disponibili in grandi quantità e potenze come l’eolico od il fotovoltaico e, meglio ancora, l’idroelettrico, disponibile in maniera costante 24 ore al giorno.
Certo, questa energia green non ha lo stesso impatto ambientale di quella derivata da fonti fossili, ma è pur sempre sottratta adi altri utilizzi: se il fornitore di energia elettrica non usa rinnovabili, in grossa parte si sta solo spostando il consumo da un settore all’altro, senza ridurre l’impatto complessivo indotto dai miners.
Quindi ci si sta avviando verso una configurazione di attività industriali diverse, l’una al servizio dell’altra, per creare un ecosistema green rispondente agli obiettivi ESG.
Un ecosistema che vede insieme impianti di produzione di energia elettrica per centinaia di MWh/anno da fonti rinnovabili a servizio esclusivo di grandi mining farm. Il calore di questi impianti viene dissipato per alimentare attività produttive di beni di consumo o beni industriali come, ad esempio, prodotti da serra.
Il tutto possibilmente localizzato in paesi dove la legislazione è snella, fiscalmente accettabile, burocraticamente molto veloce nel rilasciare le autorizzazioni necessarie alle opere industriali, possibilmente con clima freddo tutto l’anno e grandi spazi inutilizzati a disposizione.
Altri requisiti richiesti sono la presenza di fonti di energia rinnovabili, meglio se idroelettrico, una buona rete logistica e di trasporto per commercializzare i prodotti “non digitali” ma anche una ottima infrastruttura di telecomunicazioni, per collegare la mining farm all’internet globale e gestire i miliardi di transazioni necessari in tempi brevissimi.
È evidente che un paese come l’Italia fa fatica ad attrarre grandi miners, mentre sono sicuramente avvantaggiati i paesi avanzati che tendono verso i due poli terrestri.
La sostenibilità è la chiave per un utilizzo di massa
Fino ad oggi le cryptovalute sono ancora uno strumento ad alto rischio per pochi. Anche se l’intero mercato vale diverse migliaia di miliardi di dollari, verrebbe da chiedersi: a cosa serve tutta questa corsa verso la sostenibilità, se alla fine non le possiamo utilizzare nella vita di tutti i giorni come una vera alternativa alle valute fiat?
La risposta è proprio nella domanda: i pochi che la utilizzano, sono in realtà costituiti per la maggior parte da giovani o da persone con una cultura digitale avanzata, che masticano di strumenti finanziari anche sofisticati senza le regole imposte dal sistema bancario. Persone avvezze alle nuove tecnologie, nelle quali ripongono una fiducia incondizionata ed accettano anche il rischio di perdere tutto perché sanno di essere tra coloro che faranno crescere le innovazioni del futuro. E questo compensa il rischio.
Per il pubblico delle cryptovalute, soprattutto per i più giovani, il tema della sostenibilità a tutto tondo è uno dei principali parametri di valutazione della bontà di una nuova tecnologia: se con la sostenibilità si abbassano i consumi energetici anche di oltre il 90%, e quindi i costi per i miners, le cryptovalute diventano una valida alternativa alle valute fiat per tutte quelle transazioni quotidiane di minor valore ad utilizzo immediato con tempi e costi simili a quelli di carte di credito o sistemi analoghi di pagamento.
Ecco che prendere anche un caffè al volo e pagarlo in meno di 5 secondi utilizzando Ethereum 2.0 piuttosto che Algo o altre crypto basate sul proof of stake, diventa non solo sostenibile per la natura ma anche per il portafoglio e le proprie abitudini quotidiane.