Negli ultimi anni, la crescente centralità economica delle aree urbane ha portato all’elaborazione del concetto di smart city e alla sua declinazione in numerosi progetti di sviluppo urbano. Le vistose differenze nella sua elaborazione hanno tuttavia reso l’idea stessa di smart city, da un lato, una ubiqua buzzword capace di ricomprendere e giustificare i più svariati progetti di rigenerazione urbana, dall’altro un contenitore di caratteristiche talmente ampio da far perdere di fatto identità e natura ad una serie di interventi, i cui risultati in alcuni casi hanno ampiamente superato le previsioni. Alcuni degli elementi fondanti di questo variegato framework teorico possono però fornire una solida base per analizzare e valorizzare la recente riscoperta dell’industria manifatturiera da parte sia di urban planners che di economisti urbani.
Vogliamo qui sottoporre l’idea di smart city e le sue applicazioni a un vaglio critico, non tanto e non solo per evidenziarne limiti teorici e carenze applicative, ma soprattutto al fine di individuare le logiche economiche che possono accomunarla al paradigma della nuova manifattura urbana. Così facendo, tenteremo di individuare alcuni spazi concettuali all’interno dei quali la cosiddetta nuova manifattura urbana potrebbe trovare una propria ragione d’essere e costituire un processo di rivitalizzazione non solo e non tanto dell’infrastruttura produttiva, ma soprattutto di spazi urbani in “cerca d’autore”.
Smartness e smart city
L’impianto teorico sotteso all’applicazione del concetto di smartness al contesto urbano è stato elaborato in diversi contesti, i cui principali ambiti di applicazione sia teorica che empirica sono quello della comunità scientifica internazionale, delle istituzioni europee, e delle grandi imprese multinazionali. Se si eccettua il denominatore comune costituito dagli obiettivi di sostenibilità ambientale, si passa da definizioni che enfatizzano le opportunità offerte dall’infrastruttura tecnologica in termini di accessibilità, connettività ed efficienza (Washburn et al., 2010; Harrison et al., 2010), a definizioni che ricalcano maggiormente gli indirizzi espressi dal policy maker e la ripartizione delle politiche urbane delineata dai diversi livelli di governo (Giffingher et al, 2007), a definizioni incentrate su aspetti socio-economici, quali il capitale umano e sociale, e sull’infrastrutturazione materiale e immateriale volta a favorire la fruibilità dei servizi offerti (Caragliu et al., 2011).
L’eterogeneità delle iniziative smart
Anche sotto il profilo progettuale sono state qualificate come “smart” iniziative assai eterogenee. Troviamo, ad esempio, progetti il cui accento è, di volta in volta, posto su profili incentrati sulla governance (Barcellona e Santander), sull’e-government (Edimburgo), sulla creatività e sui Living Labs (Ghent), sull’efficienza energetica (Linz), sugli open data (Helsinki), sulla sostenibilità sociale delle periferie (Malmoe), sulla riduzione delle emissioni (Amsterdam e Stoccolma). Ampliando la rassegna all’ambito extraeuropeo si rinvengono finanche soluzioni progettuali addirittura opposte, il cui unico elemento comune sembra essere l’applicazione del generico attributo “smart”. Coesistono infatti casi come quelli di Songdo in Corea del Sud e di Medellin in Colombia. La prima è una città costruita ex-novo con il supporto delle principali multinazionali del settore ICT (Ibm, Hp, Software Ag, Cisco Systems), il cui obiettivo è quello di creare una città ad elevata informatizzazione e accessibilità, i cui esiti in termini di qualità della vita per i residenti sono stati contrastanti. Per quanto riguarda Medellin, la sua visione della smartness si è tradotta in un piano per la rivitalizzazione di alcuni quartieri storicamente emarginati dal centro urbano, e ad alta densità criminale, fondato sulla costruzione di una tele-cabina per collegare questi quartieri con il centro della città, sulla pedonalizzazione di strade e ponti e sulla costruzione di nuove scuole pubbliche ed una biblioteca, assurta a simbolo di questo intervento.
L’altro lato della medaglia è costituito dall’elaborazione di una pluralità di studi volti a definire indicatori idonei a confrontare tra loro le aree urbane assai eterogenee, sulla sola base del loro grado di smartness. Sebbene stimolanti, queste indagini evidenziano alcuni limiti metodologici comuni (De Santis et al., 2014) e conducono a risultati disomogenei a seconda che si assegnino pesi prevalenti ai diversi aspetti considerati nella costruzione degli indicatori (Tabella 1).
Smart city, limiti e contraddizioni della prospettiva economica
Anche in una prospettiva più strettamente economica, il concetto di smart city presenta alcuni limiti e contraddizioni. In particolare esso si concentra sul lato della domanda e sulle nuove opportunità di sviluppo associate all’evoluzione delle preferenze degli utenti-consumatori. Il lato dell’offerta e della produzione non è autonomamente considerato, né si affronta il tema della manifattura e delle questioni ad essa associate in quanto la città smart è principalmente concepita come un hub di servizi ad alta intensità di conoscenza (Knowledge-Intensive Business Services, KIBS).
Tabella 1 – Eterogeneità delle performance delle città italiane in tre dimensioni della smartness
RANKING | DIMENSIONE | DIMENSIONE | DIMENSIONE |
CULTURALE | AMBIENTALE | SOCIALE | |
1 | Venezia | Milano | Potenza |
2 | Milano | Venezia | Trento |
3 | Caserta | Perugia | Sassari |
4 | Roma | Trieste | Taranto |
5 | Padova | Trento | Ancona |
6 | Cagliari | Cagliari | Campobasso |
7 | Firenze | Torino | Catanzaro |
8 | Catanzaro | Firenze | Verona |
9 | Bologna | L’Aquila | Venezia |
10 | Verona | Brescia | Cremona |
Fonte: Manitiu and Pedrini (in corso di stampa).
Smart city e nuova manifattura urbana
Risentendo di questa elaborazione e del processo di deindustrializzazione che ha investito molte aree urbane negli anni Ottanta e Novanta, il concetto di smart city e le sue declinazioni progettuali hanno finora trascurato il potenziale reinsediamento della manifattura nelle aree urbane dall’introduzione delle nuove tecnologie riconducibili a Industria 4.0. Questa prospettiva ha invece stimolato l’emersione di un nuovo filone di studi (il cosiddetto Urban Making o “Nuova Manifattura Urbana”) focalizzato sulla riscoperta delle attività di trasformazione (Grodach, 2017) basate sulla creatività, sulla piccola scala dimensionale e sull’accesso alle nuove tecnologie, in particolare le stampanti 3-D (Anderson, 2012). Le nuove sequenze tecnico-produttive, oltre a incrementare i flussi informativi e a modificare radicalmente i modelli di business, rendono possibili soluzioni modulari che portano ad un output finale molto più adattabile e differenziabile che in passato. Al contempo, modalità e adattabilità rendono meno necessaria la ricerca ed il conseguimento di economie di scala in alcune fasi del processo di trasformazione. Diventa perciò possibile, e più conveniente che in passato, una produzione su piccola scala che interagisca ‘costantemente’ con la domanda espressa dai consumatori. Last but not least, tali processi riducono fortemente gli impatti ambientali, rimuovendo uno dei principali ostacoli all’inclusione dei settori manifatturieri nei progetti di smart city.
I vantaggi della localizzazione urbana della manifattura
La localizzazione urbana permette così alle imprese manifatturiere di comprendere al meglio sia le tendenze del design e della progettazione, grazie alla prossimità ai KIBS e alle attività creative, sia l’evoluzione qualitativa della domanda, grazie alla concentrazione di consumatori con elevata disponibilità di reddito e preferenze differenziate, tipici delle aree urbane. Altri fattori di vantaggio sono costituiti dall’accessibilità infrastrutturale resa possibile dalla presenza di reti internet a banda larga e banda ultralarga, di nodi di trasporto e dalla già ricordata disponibilità di lavoratori qualificati.
L’inversione del processo di de-industrializzazione
Intorno al concetto di “nuova manifattura urbana” avviene così un capovolgimento di paradigma: dalla visione di una città che si sviluppa grazie alla crescita dei servizi e delle amenities a un’area metropolitana che cerca di invertire il processo di de-industrializzazione, ricollocando nel sistema urbano, seppure su diversa scala dimensionale, le attività manifatturiere espulse nei decenni precedenti. Sotto questo profilo i dati aggregati a livello Europeo evidenziano come il processo di off-shoring della manifattura dalle aree urbane si sia sostanzialmente concluso, ma non vi è ancora evidenza di una tendenza alla re-industrializzazione in termini di quota di addetti e valore aggiunto del comparto manifatturiero, se non per alcune aree specifiche e comunque non necessariamente riferibile ai nuovi processi produttivi resi possibili dalle tecnologie di Industria 4.0.
Smart city, contenitore con più chiavi di lettura
La smart city resta comunque un interessante contenitore che racchiude diverse dimensioni e che offre agli attori e ai livelli di governo coinvolti una pluralità di chiavi di lettura. Benché esponga il pianificatore al rischio di porre in secondo piano i trade-off che possono scaturire dal perseguimento di obiettivi eterogenei, qualificandoli con il medesimo attributo, la prospettiva della smart city sottende un insieme coordinato di interventi capaci di interpretare e rielaborare le esigenze e le istanze del contesto ambientale, sociale e culturale di riferimento riconciliando tra loro gli obiettivi di competitività e sostenibilità e puntando al rafforzamento delle infrastrutture materiali (mobilità e reti ICT) e immateriali (istruzione e formazione). Questi obiettivi sono complementari all’agglomerazione urbana delle attività produttive e allo sfruttamento di esternalità positive come gli spillovers tecnologici inter-settoriali (le c.d. Jacobs externalities). grazie ai quali è possibile superare fenomeni di lock-in in specializzazioni tradizionali.
La città ospita inoltre le principali istituzioni deputate alla ricerca e al trasferimento della conoscenza (le Università e le altre agenzie di formazione superiore) nonché organizzazioni appositamente istituite per favorire l’imprenditorialità innovativa (incubatori e acceleratori d’impresa, tra i quali rientra la recente esperienza dei FabLab). Le aree metropolitane infine, si caratterizzano per un elevato grado di accessibilità e connettività, sia per le persone che per le merci, che a loro volta rendono più agevoli tanto la costruzione di reti di imprese, quanto strategie di internazionalizzazione.
Politiche per le smart city e manifattura urbana
Le politiche urbane orientate allo sviluppo delle smart city, pur provenendo da diversi ambiti, possono pertanto presentare una serie di complementarità incidentali con lo sviluppo di una nuova manifattura urbana incentrata su piccola scala, varietà e nuove tecnologie, contribuendo a identificare processi di diversificazione tecnologica e a favorire l’esistenza o l’emersione di nuovi bisogni su cui articolare un re-insediamento della manifattura su scala urbana.
I vantaggi per la città
D’altra parte, la città può trarre dallo sviluppo della manifattura urbana benefici che trascendono il contributo in termini di creazione netta di posti di lavoro. Da un lato, le innovazioni introdotte nella manifattura possono arricchire la dotazione di competenze dei lavoratori urbani e favorire la diffusione di conoscenze e tecnologie verso i settori terziari. Dall’altro lato, la maggiore domanda di input a fornitori operanti nell’area urbana e la canalizzazione di una maggiore quota di consumi verso produzioni urbane arricchisce il circuito locale del reddito e pone le condizioni per lo sviluppo di industrie esportatrici.
Nuova manifattura urbana, le contraddizioni
Nonostante l’indubbio successo, l’idea di nuova manifattura urbana presenta delle contraddizioni e solleva alcune questioni che dovranno essere approfondite sia dal punto di vista teorico che empirico. Una di queste riguarda il più ampio dibattito circa le performance competitive e occupazionali delle start-up. Come in altri ambiti, i promotori della nuova manifattura urbana ne enfatizzano le potenzialità riferendola alla proliferazione di start-up e alla crescita di figure imprenditoriali dotati di nuove competenze. Se tali prospettive sono sicuramente stimolanti, è opportuno ricordare come, a dispetto dell’enfasi posta dai policy maker sul ruolo delle start-up nello stimolare occupazione e crescita economica, la letteratura scientifica più recente ne abbia fortemente ridimensionato il ruolo.
È stato infatti evidenziato come la creazione netta di posti di lavoro nel medio-lungo periodo da parte delle start-up non sia necessariamente positiva, così come le loro performance in termini di produttività e innovazione (Shane, 2009; Coad e Nightingale, 2014).
L’avvio di nuove attività manifatturiere su piccola scala nelle aree urbane potrebbe suscitare aspettative eccessive che rischiano di essere disattese alla prova dei fatti in quanto l’effetto occupazionale della nuova manifattura urbana in termini di creazione netta di posti di lavoro potrebbe essere minimo, se non nullo. Lo evidenzia anche il numero limitato di start-up innovative, incubatori e spin-off di nuova costituzione nelle principali città italiane, che sebbene elevato, resta al di sotto del 50%, e non è tale da influenzare significativamente il livello occupazionale di queste aree urbane.
Rigenerare le periferie con la piccola manifattura
La scelta di localizzare attività manifatturiere di piccole dimensioni in aree costose e suscettibili di essere destinate ad usi alternativi si giustificherà, a nostro parere, non tanto per il loro contributo occupazionale diretto, bensì nella misura in cui tale scelta sarà capace di indurre benefici all’intero eco-sistema urbano grazie alla maggiore varietà che tali attività implicano. In particolare, l’insediamento di attività produttive di piccole e medie dimensioni potrà avere un impatto positivo sullo spazio urbano nella prospettiva di rigenerare talune aree specifiche, come quei quartieri e periferie delle nostre città duramente colpiti dalla crisi e dal fallimento di progetti di sviluppo incentrati sulla residenzialità e sui servizi commerciali.
*Questo lavoro nasce dalla presentazione fatta al Convegno “New sciences and actions for complex cities”, tenutosi a Firenze il 14 e 15 dicembre 2017. Gli autori desiderano ringraziare i partecipanti e Claudia Faraone per gli utili commenti e suggerimenti. Un ringraziamento particolare va a Mauro Lombardi per averci stimolati a riflettere sull’argomento.