L’Unione Europea ha dichiarato che imporrà tariffe, dal 26% fino al 48%, a seconda dei marchi, sui veicoli elettrici importati dalla Cina. I leader Ue lo hanno definito uno sforzo per proteggere i produttori del mercato automobilistico dalla concorrenza sleale.
Una mossa dai grandi impatti su mercato, innovazione e sostenibilità.
Le ragioni dei dazi UE sulle auto elettriche cinesi
Arriva un mese dopo che il Presidente Biden ha quadruplicato le tariffe statunitensi sui veicoli elettrici cinesi portandole al 100%, aprendo un altro fronte nell’escalation delle tensioni commerciali con la Cina.
In questi mesi crescono i timori per l’afflusso di prodotti cinesi a tecnologia verde sui mercati globali.
“Le esportazioni cinesi sono in forte espansione, cresciute del 7,6% a maggio, nonostante le crescenti tensioni commerciali con l’UE e gli Stati Uniti”, spiegano Gabriele e Nicola Iuvinale, autori del libro “La Cina di Xi Jinping“: “L’invasione non solo di automobili, ma anche elettrodomestici ed elettronica stanno alimentando questa tendenza preoccupante. La debole domanda interna della Cina sta spingendo il Paese ad esportare un eccesso di produzione”.
Infatti questa tendenza nasce dalla debole domanda interna dovuta alla bolla immobiliare cinese.
“La debolezza della domanda interna dovuta in larga misura alla bolla immobiliare e il timore che gli effetti di medio-lungo termini potessero essere simili a quelli della bolla giapponese degli anni ’90 – che sprofondò un Paese all’epoca ai vertici dell’economia mondiale in una crisi profonda e in una deflazione di durata almeno ventennale – ha spinto il governo cinese a tornare a puntare sull’export e a investire pesantemente perché questo potesse avvenire”, conferma Umberto Bertelè, professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano. “Lo sfruttamento delle opportunità di mercato legate alla transizione ambientale è stata sicuramente una delle grandi scommesse, con un mix di azioni: da quelle geopolitiche per assicurarsi il controllo delle materie prime più indispensabili per la transizione, alla promozione dell’innovazione (CATL è ad esempio ora leader mondiale nel comparto delle batterie), alla promozione della domanda interna (che ha spinto la concorrenza con un effetto positivo sulle economie di learning), ai sussidi all’export in senso più proprio. Il successo nei pannelli solari è stato travolgente, quello nelle pale eoliche è in fase avanzata e ora è il momento delle auto elettriche (il “boccone” principale”), dove – occorre dirlo – le imprese europee e statunitensi (la neonata Tesla a parte) si sono convinte solo tardi della serietà della minaccia e quelle giapponesi e sud-coreane hanno scommesso più sull’ibrido e sull’idrogeno. La situazione è uscita poi un po’ fuori controllo: come segnalava Bloomberg in un recente articolo la capacità produttiva mondiale di batterie sarà alla fine del 2025 pari a cinque volte la domanda annua e lo squilibrio domanda-offerta in Cina è destinato a rimanere tale per tutto il decennio“.
Ecco quali sono gli impatti di una decisione che alcuni osservatori ritengono necessaria, ma tardiva e i marchi dell’Automotive tedesco considerano controversa e pericolosa.
Ma “se dobbiamo fare la transizione energetica”, spiega Alberto Mingardi, Professore Associato in “Storia delle dottrine politiche” all’Università Iulm di Milano, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni, “e dobbiamo farla con la macchina elettrica, dobbiamo anche spingere quanto prima la conversione del parco automobili. E perché questo possa avvenire, abbiamo interesse a che siano disponibili veicoli elettrici anche a prezzi non proibitivi”.
La sfida dei dazi Ue sulle auto elettriche cinesi
Le azioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti riflettono anche le sfide che le tradizionali case automobilistiche devono affrontare in Europa e negli Stati Uniti da parte delle aziende cinesi emergenti, fondate proprio sui veicoli elettrici e non frutto di una trasformazione, e che vantano costi base molto inferiori rispetto ai loro rivali occidentali.
“Il dilemma della UE su quali dazi applicare e su quali orizzonti temporali – dopo che la misura del Presidente Usa Biden di aumentare i dazi al 100% l’hanno esposta in misura ancora più forte al rischio di una invasione delle auto elettriche cinesi – è legato a mio avviso, dice Bertelè, a una serie di implicazioni diverse:
- una “non difesa” a breve termine, con le imprese europee come detto impreparate alla sfida anche perché confidanti sino all’ultimo sui ritardi della politica, potrebbe avere conseguenze pesanti per la sopravvivenza stessa della filiera automobilistica europea (in cui l’Italia continua ad avere un ruolo significativo nella componentistica a fianco di uno declinante nella produzione di auto);
- una “difesa vigorosa” potrebbe generare ritorsioni altrettanto vigorose, soprattutto nei riguardi delle imprese tedesche con una forte presenza sul mercato cinese, ma anche in settori diversi (si parla di una rivalsa su vini e formaggi);
- una “difesa” troppo prolungata nel tempo potrebbe rallentare la reazione delle imprese europee, che in questo periodo hanno visto i loro profitti aumentare con la vendita di auto tradizionali e/o ibride, rendendo più difficile non solo la difesa nel lungo termine del mercato interno ma anche il loro posizionamento nei mercati terzi, che appaiono essere quelli destinati alla maggior crescita;
- un abbandono della scommessa sulla sola auto elettrica, a favore della cosiddetta “neutralità tecnologica”, potrebbe essere probabilmente la risposta più conveniente, ma con un faticoso e contrastato iter di approvazione su scala globale”.
Inoltre il calo del prezzo del nichel è dovuto a un cambiamento tecnologico nelle batterie cinesi. Ma bisogna anche dire che il nichel indonesiano a basso costo sta da tempo inondando il mercato globale, a scapito di altri produttori occidentali come BHP e Anglo American, costretti a chiudere le proprie attività nel settore.
“Questa ‘eccessiva capacità’ della Cina”, continuano Gabriele e Nicola Iuvinale, “causa forte preoccupazione per l’UE. Il surplus commerciale della Cina sta anche alimentando le preoccupazioni per il potenziale squilibrio globale. Le principali economie emergenti stanno vivendo l’inflazione e il rallentamento della domanda. Tale afflusso di beni cinesi a basso costo può sconvolgere i mercati interni e accelerare i timori di deflazione in tutto il mondo“.
I timori dell’automotive europeo
La decisione europea di aumentare i dazi ha messo in allarme le case automobilistiche europee. “Però questo processo è partito con il discorso annuale sull’Unione di Ursula von der Leyen, tenuto nel settembre 2023, sulla base di una regolamentazione europea esistente del 2016”, spiega Luigi di Marco dell’Alleanza italiana dello Sviluppo Sostenibile (AsViS): “Ma la partita non è stata ancora decisa, perché c’è ancora una fase negoziale con la Cina e in relazione con gli Stati membri“.
A differenza di quelle statunitensi, molti dei concorrenti europei sono profondamente legati al mercato cinese. Temono inoltre che le loro auto prodotte in Cina saranno soggette all’aumento dei dazi.
Le case automobilistiche europee hanno dunque criticato la mossa dell’Unione Europea di aumentare i dazi dal 10% per le auto importate, temendo ritorsioni da parte della Cina, nonché un aumento dei prezzi sul mercato e dunque un calo della domanda di auto a batteria.
Gli aumenti annunciati dalla Ue, che si aggiungono ai dazi esistenti del 10%, sono preliminari ed entreranno in vigore il 4 luglio. Vanno dal 26% al 48% per tre dei principali produttori cinesi, BYD, Geely e SAIC. Secondo il New York Times e l’Economist, i dazi si basano anche sul livello di cooperazione con i funzionari europei, che negli ultimi mesi hanno indagato sul grado di supporto del governo cinese a queste aziende.
Le altre case automobilistiche che producono veicoli elettrici in Cina, comprese le aziende europee con fabbriche o joint venture in loco, rischiano una tariffa aggiuntiva, ha dichiarato l’Unione Europea, anche in base al grado della loro “collaborazione” con l’indagine.
“I tre Paesi che si oppongono all’aumento delle tariffe, al di là delle motivazioni più o meno liberiste con cui giustificano le loro posizioni (alcune delle quali condivisibili) o più marcatamente geopolitiche quali quelle dell’Ungheria, hanno tutti interessi economici ben precisi: due delle tre big tedesche realizzano in Cina una percentuale elevata delle loro vendite e dei loro profitti e le ritorsioni potrebbero essere come detto dolorose; la principale impresa svedese, Volvo, è da anni posseduta dalla cinese Geely; in Ungheria dovrebbe essere localizzato il primo investimento cinese nella fabbricazione di auto elettriche nella UE”, avverte Bertelè.
Il settore automobilistico europeo sfiora i 13 milioni di posti di lavoro in tutto il blocco dei 27 Paesi, il secondo mercato mondiale per i veicoli elettrici dopo la Cina. L’anno scorso le importazioni di auto elettriche dalla Cina hanno raggiunto gli 11,5 miliardi di dollari, contro gli 1,6 miliardi del 2020.
Tuttavia “con questi dazi, aumentiamo i costi che dovranno sostenere i consumatori e rallentiamo la transizione ecologica“, aggiunge Alberto Mingardi.
“E lo facciamo, perché la Commissione in realtà ha obiettivi contraddittori: da una parte ambiziosi target ambientali, dall’altra obiettivi di politica industriale. Qui forse vedo l’unico vantaggio. Il fatto che stiamo facendo una cosa patentemente folle, cioè tirando la fune da una parte coi sussidi e dall’altra coi dazi, potrebbe agevolare un ripensamento del Green Deal nel suo complesso. Come mi pare, del resto, a giudicare dall’esito delle europee, auspichino anche gli elettori”.
Anche il Ceo di Stellantis ha cambiato idea
Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, che annovera Citroën e Peugeot tra i suoi numerosi marchi (e il cui maggiore azionista possiede in parte la casa madre dell’Economist), un tempo sembrava favorevole alle tariffe. È invece diventato meno entusiasta dopo l’accordo dello scorso ottobre con Leapmotor, una startup cinese, per la produzione di veicoli elettrici a basso costo in Cina per il mercato europeo. Stellantis, non vendendo in Cina, non teme ritorsioni.
Renault non ha chiesto esplicitamente tariffe, ma piuttosto “parità di condizioni” e una politica industriale europea più favorevole. Anche Renault invia in Europa veicoli elettrici dalla Cina con il marchio Dacia.
L’indagine europea
L’Unione Europea ha difeso l’azione, affermando in un comunicato che un’indagine iniziata il 4 ottobre ha rilevato che la catena di fornitura di veicoli elettrici in Cina “beneficia pesantemente di sussidi sleali in Cina, e che l’afflusso di importazioni cinesi sovvenzionate a prezzi artificialmente bassi rappresenta quindi una minaccia di pregiudizio chiaramente prevedibile e imminente per l’industria dell’Unione Europea”.
La Cina ha denunciato i dazi come privi di “basi legali e fattuali”, che equivalgono ad “armare le questioni economiche e commerciali”, ha dichiarato He Yadong, portavoce del ministero del Commercio.
“Questo non è in linea con il consenso raggiunto dai leader cinesi ed europei sul rafforzamento della cooperazione e influenzerà l’atmosfera della cooperazione economica e commerciale bilaterale tra Cina ed Europa”, ha dichiarato He.
La Commissione Europea, il ramo esecutivo dell’Unione Europea, ha aperto l’indagine per determinare se il governo cinese stesse effettivamente sovvenzionando la produzione di auto elettriche e le inviasse in Europa a prezzi inferiori a quelli dei concorrenti europei.
“Sono situazioni distorsive di mercato, fatte con soldi pubblici di un Paese straniero, che rischiano di creare uno squilibro, una disparità di condizioni sul mercato“, conferma Luigi di Marco.
I rischi del protezionismo: le ritorsioni cinesi
Prima dell’annuncio, la Cina aveva avvertito che avrebbe potuto reagire aumentando le tariffe sulle auto a gas importate dall’Europa e sui prodotti agricoli (food e vino), moda e lusso e dell’aviazione. La bilancia costi/benefici potrebbe essere negativa per l’Italia. La Cina applica già un dazio del 15% su tutti i veicoli elettrici importati dall’Europa.
Tra questi vi sono, per esempio, le auto prodotte da BMW e Volkswagen, che non solo vendono in Cina, ma nel Paese hanno anche grandi impianti di produzione.
Le case automobilistiche tedesche temono che le tariffe facciano aumentare i prezzi in Europa e scatenino ritorsioni da parte dei cinesi, danneggiando in ultima analisi entrambi i mercati. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha criticato l’aumento dei dazi la scorsa settimana durante una visita a uno stabilimento di Rüsselsheim, di proprietà della Opel di Stellantis.
“L’isolamento e le barriere doganali illegali rendono tutto più costoso e tutti più poveri”, ha dichiarato Scholz. “Non chiudiamo i nostri mercati alle aziende straniere, perché non lo vogliamo nemmeno per le nostre aziende”.
Gli esperti di economia avevano avvertito che un aumento delle tariffe fino al 20% avrebbe potuto interrompere le rotte commerciali. L’Istituto Kiel per l’economia mondiale ha calcolato che un tale aumento impedirebbe l’ingresso in Europa di veicoli elettrici provenienti dalla Cina per un valore di 3,8 miliardi di dollari.
Ma altri esperti sottolineano che il vantaggio di costo dei produttori cinesi rispetto alle case automobilistiche europee nella produzione di componenti come i moduli elettronici e le celle delle batterie significa che l’Europa dovrebbe imporre dazi di almeno il 50% per essere efficace.
Anche se le case automobilistiche europee fossero in grado di colmare questo divario, il calo del numero di modelli cinesi farà aumentare il prezzo complessivo dei veicoli elettrici, a causa dei costi di produzione e di manodopera più elevati.
Per rispondere al rischio d’invasione di auto elettriche cinesi nel mercato europeo, alcuni economisti propongono una “soluzione Airbus” rispetto ai dazi.
“Se si riferisce a un congelamento dei dazi per un certo periodo di tempo, sì”, mette in guardia Alberto Mingardi: “Anche perché buona parte delle vetture cinesi sono in realtà macchine a marchio europeo e americano (sia pure soggette a dazio minore), prodotte in Cina, con tutta probabilità, non per un incastro di sussidi, ma perché i cinesi hanno rapidamente sviluppato il know how per realizzarle. Come la guerra Airbus-Boeing insegna, il protezionismo è un gioco nel quale ci rimettono tutti”.
La Cina apre impianti in Europa: un’altra minaccia
“Non è affatto scontato che i produttori di auto europei colmeranno il divario”, ha dichiarato Julian Hinz, ricercatore commerciale dell’Istituto Kiel per l’economia mondiale. Un’altra minaccia per i produttori europei è rappresentata dal fatto che i produttori cinesi hanno già in programma di espandere la produzione in Europa.
BYD, la principale casa automobilistica cinese, ha puntato a diventare il primo produttore di veicoli elettrici in Europa entro il 2030. Alla fine dello scorso anno ha indicato l’Ungheria come sito in cui intende costruire il suo primo impianto di assemblaggio nell’Unione Europea. L’azienda ha dichiarato che sta valutando la possibilità di aprire un secondo stabilimento in altre parti d’Europa.
Chery, un altro produttore cinese, ha annunciato il mese scorso l’apertura di uno stabilimento vicino a Barcellona, in Spagna, nell’ambito di una joint venture con la spagnola EV Motors.
Anche altri Paesi europei desiderano che le case automobilistiche cinesi si trasferiscano nel loro territorio, con l’idea che creino posti di lavoro e rafforzino le catene di fornitura nazionali.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha compiuto uno sforzo concertato per attirare una maggiore produzione di batterie, anche da parte di aziende cinesi, in una regione settentrionale dove i posti di lavoro in fabbrica sono in declino. Bruno Le Maire, ministro delle Finanze francese, si è spinto oltre, dichiarando che l’industria automobilistica cinese è “la benvenuta in Francia”.
In vista della possibilità che le aziende cinesi si espandano nel loro cortile, molte case automobilistiche europee sottolineano di essere più preoccupate di aumentare la loro competitività che non dei dazi.
Volkswagen, che ha diversi siti di produzione e ricerca in Cina, ha dichiarato di essere preoccupata per i dazi che l’azienda considera dannose, soprattutto mentre la domanda di auto elettriche in Europa è in calo.
“L’aumento dei dazi d’importazione nell’Unione Europea potrebbe innescare una dinamica fatale di misure e contromisure e portare a un’escalation di conflitti commerciali”, ha dichiarato mercoledì l’azienda in un comunicato. “Riteniamo che gli effetti negativi della decisione supereranno qualsiasi aspetto positivo”.
Per quanto riguarda le case automobilistiche cinesi, i dazi più alti potrebbero temporaneamente rallentare i loro progressi e dare agli europei l’opportunità di recuperare il ritardo lanciando una nuova generazione di veicoli più competitivi. Ma è improbabile che la barriera doganale fermi tutti i cinesi.
I marchi più esposti ai dazi
Avendo fissato i prezzi in Europa un po’ più bassi rispetto ai modelli europei concorrenti, i marchi cinesi hanno un margine di manovra per tagliare.
Byd, che ora sarà soggetta a un dazio aggiuntivo del 17%, vende la sua Seal EV a circa 24.000 dollari in Cina e al doppio in Europa, il che suggerisce che potrebbe assorbire i nuovi dazi e realizzare comunque un profitto.
Rhodium, una società di ricerca, ritiene che dazi del 40-50% potrebbero frenare maggiormente Saic, che sarà colpita da una dazio del 48% sul suo popolare marchio Mg, potrebbe avere maggiori problemi, a meno che non inizi a contribuire alle indagini.
Ma i dazi europei non colpiranno solo le imprese cinesi. Le aziende straniere che producono automobili in Cina per esportarle in Europa saranno soggette a dazi del 31% in media. Tesla, il pioniere americano dei veicoli elettrici, è di gran lunga il più esposto. Poiché la società di Elon Musk produce i suoi modelli 3 e Y a Shanghai per il mercato europeo, ha chiesto ai funzionari dell’UE che i dazi sulle sue auto siano calcolati individualmente.
Ma nel mirino sono anche le case automobilistiche europee, maggiormente minacciate dalle auto elettriche cinesi a basso costo.
Circa il 37% di tutti i veicoli elettrici importati in Europa proviene dalla Cina, comprese le auto prodotte da Tesla, BMW e Dacia, di proprietà di Renault. I marchi cinesi rappresentano il 19% del mercato europeo dei veicoli elettrici. Il loro numero è in costante crescita, secondo uno studio di Rhodium Group.
A lungo termine le tariffe potrebbero addirittura accelerare la conquista del mercato automobilistico europeo da parte della Cina. Per diventare una forza significativa nel continente, le aziende cinesi avrebbero dovuto produrre i loro veicoli elettrici localmente. Molti player stanno bussando alla porta dei grandi produttori europei, oltre a Byd in Ungheria e presto in Spagna e a Chery in Spagna.
La storia dell’adesione della Cina al WTO: cos’è andato storto
Due decenni dopo la sua adesione al WTO, la Cina non ha ancora adottato “politiche aperte e orientate al mercato”.
Lo Stato mantiene il controllo dell’economia cinese e interviene pesantemente sul mercato, per raggiungere gli obiettivi di politica economica ed industriale. Pechino persegue un’ampia gamma di politiche e pratiche interventiste, in continua evoluzione, volte a limitare l’accesso al mercato per beni e servizi importati e limitare la capacità dei produttori e fornitori di servizi stranieri nel commercio in Cina. Allo stesso tempo, offre una guida governativa sostanziale, risorse economiche e supporto informativo e normativo alle industrie cinesi. I beneficiari sono sia le imprese statali che “private” e numerose altre importanti società nazionali.
Come risultato delle politiche industriali della Cina, i mercati di tutto il mondo sono meno efficienti di quanto dovrebbero essere e il campo di gioco è fortemente sbilanciato in danno delle società straniere che cercano di competere con quelle cinesi, sia nel loro mercato che in quelli al di fuori della Cina. Questa situazione è peggiorata negli ultimi anni. Da quando i nuovi leader hanno assunto il potere in Cina nel 2013, il ruolo dello Stato nell’economia, svolto dal governo e dal PCC, è cresciuto molto.
Mentre la Cina ha ripetutamente comunicato che sta perseguendo una “riforma economica”, questa differisce dal tipo di cambiamento che un Paese dovrebbe perseguire se abbracciasse principi aperti ed orientati al mercato. Per Pechino, “riforma economica” significa sia il perfezionamento della gestione dell’economia da parte del governo e del PCC, che il rafforzamento del settore statale, in particolare delle imprese e dei grandi conglomerati pubblici.
Nel frattempo, con l’aumento del ruolo dello Stato nell’amministrazione economica, parimenti sono cresciute la profondità e l’ampiezza delle preoccupazioni sia dei membri del WTO, sia delle aziende straniere che fanno affari in Cina o nei mercati internazionali.
Stante l’assenza di regole internazionali sulla sovracapacità, la Cina, sfruttando questo vulnus, distorce i mercati mondiali inondandoli con beni a basso prezzo. Ad esempio, nel 2019 la sovracapacità di Pechino ha notevolmente depresso i prezzi globali dei cavi in fibra ottica. La strategia consiste nell’eliminare tutti i concorrenti ed ottenere il controllo assoluto dell’asset. Pechino ha già implementato la medesima strategia nei settori dell’acciaio e dell’alluminio, dove oggi è leader con oltre la metà della produzione mondiale.
Per questo, lo scontro tra UE, Stati Uniti e Cina, si è fatto durissimo già dal 2021 con un botta e risposta di sanzioni e contromisure che non si vedeva da tre decenni.
Il Parlamento Europeo ha anche bloccato il 20 maggio 2021 la ratifica del nuovo accordo sugli investimenti con la Cina (CAI), fino a quando Pechino non avrà revocato le sanzioni nei confronti di alcuni esponenti politici dell’UE: una decisione che accresce la distanza nelle relazioni sino-europee.
A seguito delle contromisure adottate da Pechino, il Parlamento Europeo, il 16 settembre 2021, ha adottato un’importante Risoluzione sulla “Nuova strategia UE-Cina”, notificata anche al governo della Repubblica Popolare Cinese. È un documento politico, programmatico, economico e geopolitico, che traccia la rotta dell’Unione Europea verso una rinnovata unione transatlantica.
Il Parlamento Europeo ha affermato che la condizionalità per gli investimenti e gli scambi commerciali non è di per sé sufficiente a contrastare l’assertività cinese, ritenendo che l’UE dovrebbe accrescere la propria autonomia strategica prestando attenzione ad altre dimensioni delle relazioni UE-Cina, in particolare alla sovranità digitale e tecnologica al fine di diminuire la dipendenza dell’UE dalla Cina. Ha osservato che nel 2020, nel contesto della pandemia di Covid-19, la Cina è stata per la prima volta il partner principale dell’UE nel commercio di beni e che la bilancia commerciale si è ulteriormente deteriorata a scapito dell’UE, ritenendo che l’ascesa economica della Cina e la sua crescita avranno un impatto considerevole sugli sviluppi economici globali nel prossimo decennio; ha ritenuto che il volume degli scambi tra la Cina e l’UE richiede un quadro basato su regole e valori che deve essere incentrato sulle norme internazionali.
Il Parlamento ha ribadito alla Commissione l’importanza crescente del nesso tra commercio e sicurezza nella politica commerciale internazionale dell’UE, chiedendo una maggiore trasparenza, coerenza e coordinamento tra gli Stati membri su questioni relative a progetti e accordi di investimento bilaterali, in particolare sugli investimenti esteri diretti in attività strategiche e infrastrutture critiche. Ha ricordato l’importanza di rafforzare in futuro il regolamento dell’UE sul controllo degli investimenti esteri diretti per garantire il blocco di potenziali investimenti che potrebbero rappresentare una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico dell’Unione, in particolare da parte delle imprese controllate dallo Stato, invitando gli Stati membri ad adottare urgentemente un meccanismo di controllo nazionale, qualora non l’avessero ancora fatto, in linea con gli orientamenti della Commissione del marzo 2020.
Il Parlamento ha anche invitato la Cina ad aderire pienamente a tutti i suoi obblighi internazionali e del WTO, invitando la Commissione europea e le autorità cinesi a cooperare strettamente per riformare le regole del WTO al fine di promuovere uno sviluppo più sostenibile, la transizione verde e la rivoluzione digitale e portare stabilità e certezza giuridica sulla scena commerciale internazionale.
Il parlamento ha anche espresso preoccupazioni per il crescente disequilibrio nelle relazioni bilaterali economiche e commerciali tra l’UE e la Cina e ha sottolineato che il ripristino dell’equilibrio e una maggiore parità di condizioni sono essenziali per gli interessi dell’UE, sottolineando l’urgente necessità che l’UE completi il suo pacchetto di misure autonome, tra cui un regolamento UE sul controllo degli investimenti diretti esteri più rigoroso, una normativa contro gli effetti distorsivi delle sovvenzioni estere sul mercato interno.
Proprio in quest’ottica, l’UE aveva annunciato lo scorso ottobre l’avvio di un’indagine compensativa sui veicoli elettrici cinesi per “sussidi ingiusti che distorcono il mercato” dopo che l’aumento delle importazioni “minacciava” i produttori nazionali che stavano passando dai veicoli con motore a combustione a quelli elettrici.
Secondo la normativa UE, l’indagine è stata completata nei termini, e la CE ha correttamente imposto dazi compensativi ad alcune case automobilistiche cinesi a partire dal luglio di quest’anno.
Infatti, otto mesi dopo l’inizio dell’indagine, la Commissione europea, che funge da ramo esecutivo dell’Unione europea a 27 nazioni, ha stabilito mercoledì scorso, in una sentenza preliminare, che i sussidi della Cina conferiscono alla catena del valore dei veicoli elettrici a batteria un vantaggio ingiusto.
Nel maggio scorso, anche il presidente Joe Biden ha aumentato le tariffe su prodotti cinesi per un valore di 18 miliardi di dollari. Le tasse sui veicoli elettrici sono aumentate dal 25% al 100%, anche se la quota della Cina nel mercato statunitense dei veicoli elettrici è trascurabile.
Pechino ha denunciato la decisione ampiamente attesa dell’Unione Europea di aumentare le tariffe sui veicoli elettrici cinesi fino al 48%, definendolo un “nudo atto protezionistico che sconvolgerà l’industria automobilistica internazionale”.
ll 12 giugno, un portavoce del Ministero del Commercio cinese ha detto ai giornalisti: “I risultati divulgati nella sentenza dell’UE mancano di base fattuale e giuridica”. Il portavoce ha affermato che “l’UE sta esagerando la minaccia dei sussidi statali cinesi, agendo contro gli interessi dei consumatori europei e minando la cooperazione sul cambiamento climatico. La Commissione europea tiene alta la bandiera dello sviluppo verde con una mano e brandisce il grosso bastone del ‘protezionismo’ con l’altra per politicizzare e utilizzare come arma le questioni economiche e commerciali”.
Tuttavia, si tratta di una strada obbligata ma non sufficiente per l’Unione Europea.
Nicola e Gabriele Iuvinale
I prossimi passi
L’Europa è disposta a impegnarsi con i funzionari cinesi per risolvere la controversia, hanno dichiarato alti funzionari della comunicazione dell’UE, che hanno insistito sul fatto che il blocco non sta cercando di introdurre tariffe più elevate per il gusto di farlo, ma si sta muovendo per difendere l’industria dei suoi Paesi.
Le tariffe dovrebbero entrare in vigore all’inizio del mese prossimo. Le aziende interessate e il governo cinese avranno quindi alcuni giorni per esprimersi. La Commissione avrà tempo fino a novembre per l’entrata in vigore delle tariffe definitive, la cui durata prevede un periodo di cinque anni.
Il problema è complicato anche perché la Cina ha necessità di fare export, e l’Europa sta perdendo l’accesso all’Africa. Ma c’è un altro aspetto per cui le auto cinesi hanno successo: la Cina sta giocando la carta dei gadget di info-tainment in auto. Ai giovani non interessa la cilindrata, ma ciò che c’è ‘dentro l’auto‘. E, comunque, la Cina ha materie prime, una manodopera a basso costo, dunque è in grado di offrire auto elettriche a basso costo.
Intanto, segno dei tempi, la Byd è subentrata alla Volkswagen come sponsor principale del campionato europeo di calcio, al via dal 14 giugno in Germania. Anche se nel corso dell’anno gli Stati membri dell’UE voteranno per rendere permanenti le tariffe, ciò non servirà a irritare i cinesi.
“Gli aiuti di Stato rappresentano una parte della non parità, ma ci sono anche il costo del lavoro, il cambio del denaro eccetera. L’ideale sarebbe operare con accordi internazionali, chiedendo il rispetto delle regole del Wto. Infatti sarebbe nell’interesse reciproco rispettare regole comuni e condivise”, conclude Luigi di Marco.
Nel frattempo, le aziende che desiderano un riesame individuale hanno nove mesi di tempo per presentare la loro petizione. Il rischio vero è che francesi, spagnoli e nordeuropei, i maggiori compratori fino ad oggi, taglieranno gli acquisti di EV cinesi. Inoltre altro rischio è che si disincentivi la ricerca e sviluppo (R&D) in Europa, perché, senza concorrenza cinese, si proseguirà a produrre veicoli obsoleti.
“Infine è del tutto logico pensare che l’irrigidimento dei rapporti tra l’Occidente e la Cina sia influenzato anche dall’appoggio di Pechino alla guerra di aggressione di Putin all’Ucraina e ciò influenzerà anche le future relazioni commerciali tra i Paesi”, prevedono Gabriele e Nicola Iuvinale: “Non si escludono, infatti, decisioni sul tema già al vertice del G7 in corso, con possibili sanzioni nei confronti della Cina”.