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L’industria pesante verso l’elettrico: così non è più eresia



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Dopo le auto elettriche, si fa largo l’idea dell’elettrificazione dell’industria, anche energivora. McKinsey prevede che il 44% della decarbonizzazione prevista in Europa arriverà dall’elettrificazione delle fabbriche, più del doppio della quota proveniente da idrogeno e cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) messi insieme. Ecco con quali tecnologie si può raggiungere l’obiettivo Net zero

Pubblicato il 26 mar 2024

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info



Cambiamenti climatici: la decarbonizzazione dell'industria passa dalle fabbriche elettriche

La decarbonizzazione potrebbe passare anche dall’elettrificazione dell’industria, un’ipotesi finora scartata, e non solo dalla transizione energetica all’idrogeno e dalle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS).

Secondo l’Economist, BASF è la più grande azienda chimica del mondo, con sedi in oltre 90 Paesi, e produce moltissime molecole chimiche contenenti atomi di carbonio, molti dei quali, in genere, provengono da combustibili fossili. Quando la loro produzione richiede temperature elevate, il calore usato per innescare una reazione chimica proviene dalla combustione di combustibili fossili.

Colorado State and AtmosZero Partner with New Belgium Brewing to Replace Natural Gas Boiler Systems

Fino a poco tempo fa, l’enorme impianto della BASF a Ludwigshafen, in Germania, rappresentava il 4% dell’intero consumo di gas naturale del Paese.

Secondo la chimica classica, un’azienda di questo settore non può sperare di ridurre notevolmente il numero di molecole di CO2 che crea nel corso della sua attività. La strada per la decarbonizzazione passa invece dalla cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), il processo di raccolta di queste molecole e dal loro smaltimento nel sottosuolo.

Ma, se BASF dovesse rinunciare a bruciare molecole di gas per generare calore, l’alternativa verde consisterebbe nel bruciare molecole di idrogeno, a loro volta prodotte con un processo ad alta intensità energetica.

Ecco perché sembra un’eresia la recente dichiarazione di Martin Brudermüller, capo della BASF, secondo cui “la decarbonizzazione delle industrie ad alta intensità energetica può essere raggiunta solo attraverso l’elettrificazione”.

L’elettricità oggi illumina le case con le lampadine o alimenta le auto elettriche che sostituiscono quelle tradizionali a motore endotermico. Ma le industrie pesanti finora hanno bruciato quantità immense di combustibili fossili e la loro elettrificazione appariva impossibile. Eppure il pensiero di Brudermüller non è isolato e sta facendo proseliti. Dopo i veicoli elettrici, potremmo assistere all’elettrificazione delle fabbriche.

“Ad oggi le industrie più energivore sono quelle che incontrano maggiore difficoltà”, commenta commenta Luigi Di Marco, membro della Segreteria generale ASviS (Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile), “perché non possono fare come una famiglia che può limitarsi a installare i pannelli fotovoltaici sul tetto. Ma dovrebbero adottare un mix di soluzioni tecnologiche“.

La decarbonizzazione della grande industria

BASF si è unita a un consorzio che comprende SABIC, un’azienda chimica saudita, e Linde, una società di ingegneria europea, per sviluppare un forno elettrico in grado di generare un calore sufficientemente intenso per le reazioni chimiche che sono il loro pane quotidiano. Queste aziende non sono le uniche a essersi convertite di recente all’elettrificazione dell’industria.

L’8 febbraio Rio Tinto e BHP, entrambe gigantesche aziende minerarie, hanno annunciato uno sforzo congiunto per costruire la prima fonderia elettrica per il minerale di ferro in Australia. Fortescue, un altro gigante minerario, sta introducendo escavatori e camion da miniera completamente elettrici, mentre il gruppo spagnolo Roca ha recentemente presentato il primo forno industriale a tunnel elettrico per la ceramica. Queste innovazioni offrono una nuova strada per rallentare il riscaldamento globale, che, in molti casi, potrebbe rivelarsi più rapida e semplice degli approcci basati sulla CCS e sulla transizione all’idrogeno.

“Nel pieno interesse delle industrie pesanti è quello di diventare sempre più autonomi dalla dipendenza da gas fossili”, mette in evidenza Luigi Di Marco, “perché una parte sostanziosa delle loro spese è legata alla bolletta energetica. Infatti l’industria energivora ha solo da trarre vantaggio dalla transizione energetica. Inoltre, a livello europeo, stiamo allargando il sistema dello scambio delle quote di emissione: i costi sono destinati a salire se non decarbonizzano, dovendo comprare le quote da soggetti terzi”.

Il fallimento dell’industria

Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), l’industria consuma un terzo di tutta l’energia globale e la generazione di calore rappresenta i tre quarti. Il 90% di questo calore è prodotto dalla combustione di combustibili fossili. L’industria è dunque una fonte di emissioni di gas serra maggiore rispetto alla produzione di energia o ai trasporti.

Inoltre, mentre le emissioni di biossido di carbonio derivanti dalla produzione di energia elettrica sembrano aver raggiunto il picco e, se i veicoli elettrici continueranno a proliferare, anche le emissioni dei trasporti potrebbero presto smettere di crescere, le emissioni industriali dovrebbero continuare a crescere ancora a lungo.

Consapevoli dell’impossibilità di far quadrare i conti con gli impegni assunti per la riduzione delle emissioni, i governi delle economie avanzate hanno elargito sussidi all’idrogeno e alla CCS, considerate le tecnologie più adatte a contribuire alla decarbonizzazione dell’industria. Entrambe, tuttavia, hanno finora deluso. L’elettrificazione, invece, è stata a lungo scartata per due motivi. In primo luogo, si sosteneva che le temperature molto elevate e il vapore richiesti dall’industria pesante sarebbero stati difficili o quantomeno antieconomici da produrre con l’elettricità. In secondo luogo, i metodi standard di produzione del cemento e dell’acciaio richiedono l’utilizzo di carbonio, il che significa che l’emissione di anidride carbonica è inevitabile anche se l’elettricità pulita dovesse sostituire la combustione dei combustibili fossili.

“Oggi è difficile anticipare soluzioni”, conferma Luigi di Marco, “tuttavia le imprese di grandi dimensioni dei settori energivori hanno le loro specificità, legate anche alla posizione geografica, alla dimensione aziendale, al contesto. Però anche per loro è strategico elettrificare, perché le rinnovabili intermittenti, come fotovoltaico ed eolico – il cui contributo alla decarbonizzazione è quello maggiore – viaggiano nella rete elettrica”.

Tuttavia McKinsey prevede già che il 44% della decarbonizzazione prevista in Europa entro il 2050, se l’UE dovesse rispettare i suoi obiettivi di zero netto, proverrà dall’elettrificazione, più del doppio della quota derivante da idrogeno e CCS messi insieme.

Vediamo perché la società di consulenza appare così ottimista su una tecnologia finora poco apprezzata.

La rivalutazione dell’elettrificazione

L’elettrificazione viene improvvisamente rivalutata per diversi motivi, sostiene Jeffrey Rissman in un nuovo libro dal titolo “Industria a zero emissioni di carbonio”. Il motivo più evidente è che l’elettricità verde è diventata molto più economica e disponibile grazie al notevole calo dei costi dell’energia eolica e solare. Un altro fattore è la crescente sfiducia nella dipendenza dal gas naturale, grazie allo shock globale dei prezzi seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. In Germania, per esempio, le forniture di gas si sono ridotte a tal punto che il governo ha preso in considerazione la possibilità di razionarlo per gli utenti industriali come BASF.

Ma il motivo migliore per riconsiderare la questione è l’innovazione. Riscaldare con l’elettricità non è poi così difficile, basti pensare al bollitore elettrico. Queste tecnologie sono inoltre scalabili: se si vuole una quantità di acqua bollente dieci volte superiore, si possono prendere dieci bollitori o uno più grande. Ma se si vuole arrivare a 1.000°C invece di raggiungere ui 100°C, fino a poco tempo fa c’erano poche opzioni elettriche. Ora la situazione sta radicalmente cambiando.

La strada dell’elettrico passa dalle pompe di calore

Per temperature fino a 200°C, la tecnologia che attira maggiormente l’attenzione non è il bollitore elettrico, ma la pompa di calore industriale. Le pompe di calore, come i frigoriferi, spostano il calore da un luogo all’altro. In un frigorifero il calore viene rimosso dall’interno (mantenendo il contenuto più fresco) e scaricato all’esterno (rendendo la cucina un po’ più calda).

Le pompe di calore, sempre più diffuse per il riscaldamento domestico, prelevano il calore dall’esterno e lo spostano all’interno. Poiché la quantità di energia necessaria per spostare il calore in questo modo è inferiore a quella necessaria per riscaldare direttamente gli ambienti, si possono ottenere grandi risparmi energetici. Con il miglioramento della tecnologia e l’aumento delle vendite, i prezzi stanno scendendo.

Le tecnologie per elettrificare: la startup AtmosZero

Alcune aziende scommettono che ciò che funziona a casa può funzionare anche in fabbrica. Una di queste è AtmosZero, una startup che mira a ridurre le emissioni della New Belgium Brewing, un produttore di birra americano. AtmosZero sta installando una pompa di calore che presto sostituirà una delle caldaie a gas del birrificio di New Belgium a Fort Collins, in Colorado. Come la maggior parte delle aziende industriali degli ultimi 150 anni, New Belgium brucia combustibili fossili per produrre vapore, che nel suo caso riscalda gli ingredienti necessari per la produzione della birra.

La pompa di calore di AtmosZero consentirà di produrre quel vapore senza alcuna combustione. Poiché l’elettricità utilizzata per far funzionare la pompa sarà rinnovabile in futuro, questo elimina la maggior parte delle emissioni di gas serra del processo. Inoltre, è più efficiente e consuma meno energia in generale. E poiché la pompa di calore trasferisce il calore all’acqua, proprio come in una caldaia convenzionale, l’apparecchiatura può essere inserita nello stabilimento esistente di New Belgium, senza bisogno di una revisione completa.

Queste pompe di calore consentirebbero di elettrificare una vasta gamma di processi industriali che richiedono calore inferiore a 200°C, sostituendo essiccatori, alambicchi, forni e caldaie alimentati da combustibili fossili. L’uso dell’elettricità per far funzionare una pompa di calore può essere diverse volte più efficiente dell’uso del gas naturale per riscaldare una caldaia. L’uso dell’idrogeno, invece, è meno efficiente. Infatti la produzione di idrogeno, attraverso la scissione delle molecole d’acqua per idrolisi alimentata da elettricità verde, sebbene priva di emissioni, comporta una perdita di almeno il 20% dell’energia di partenza.

Alcune pompe di calore industriali sono in uso in Europa e in Giappone, grazie a sovvenzioni e a un rapporto relativamente alto tra il prezzo del gas e quello dell’elettricità.

I casi Kobe Steel e Heaten

Kobe Steel, una grande azienda industriale giapponese, vende pompe di calore commerciali in grado di produrre vapore ad alta pressione a 165°C in modo molto efficiente. Heaten, una startup norvegese che vanta investimenti da parte della divisione venture di Shell, un gigante petrolifero britannico, ha sviluppato una pompa di calore durevole e a bassa manutenzione che può sfruttare il calore industriale di scarto per raggiungere temperature fino a 200°C. Ciò la rende appetibile per le industrie, da quella farmaceutica a quella elettrica, fino a quelle tessili, che necessitano di un calore medio.

Le previsioni dell’AIE

Anche nei Paesi in via di sviluppo dell’Asia, l’elettrificazione di industrie relativamente poco calde sta facendo progressi, nonostante l’abbondanza di carbone a basso costo e la mancanza di sussidi, che rendono più difficile la concorrenza di pompe di calore e simili. Il think tank RMI calcola che circa quattro quinti dell’aumento dell’elettrificazione industriale a livello globale dal 2014 sia avvenuto nelle industrie leggere cinesi.

L’AIE prevede che la quota di calore utilizzato nell’industria generato con l’elettricità passerà dal 4% nel 2022 a quasi l’11% nel 2028. La Cina rappresenterà quasi la metà di questa crescita, aumentando di oltre cinque volte l’uso di elettricità rinnovabile per generare calore industriale.

Lo studio di RTC

In America, le soluzioni elettrificate si stanno facendo strada anche se il gas naturale è relativamente economico.

Uno studio pubblicato a gennaio dal Renewable Thermal Collaborative (RTC), un consorzio industriale, ha rilevato che non costa di più far funzionare una pompa di calore rispetto a una caldaia a gas quando si cerca di raggiungere temperature inferiori ai 130°C. Ciò renderebbe le pompe di calore competitive per il 29% della domanda industriale di calore, senza alcuna sovvenzione o miglioramento tecnologico. La RTC prevede che le pompe di calore per temperature fino a 200°C diventeranno competitive entro il 2030. Harald Bauer di McKinsey prevede che, in futuro, le pompe di calore saranno in grado di raggiungere temperature di 500°C.

Lo stoccaggio termico della startup Rondo Energy

Al momento le temperature più elevate richiedono una tecnologia diversa. “Atate guardando il futuro dell’infrastruttura energetica industriale”, dichiara John O’Donnell, responsabile di Rondo Energy, una startup che sviluppa lo “stoccaggio termico“. L’oggetto di tanto entusiasmo è una grande scatola di metallo che contiene principalmente mattoni. I cavi utilizzano l’elettricità per riscaldare i mattoni, come un tostapane fa con il pane, fino a temperature superiori a 1.000°C.

I mattoni, aiutati da un’estrema flessibilità, possono essere utilizzati per la produzione di energia elettrica. I mattoni, grazie a un isolamento estremamente efficace, sono in grado di trattenere il calore per giorni con perdite minime. Quando è necessario, il calore può essere rilasciato in dosi controllate a temperature variabili. L’aria viene soffiata attraverso i canali dei mattoni, trasferendo il calore.

Le batterie termiche di Rondo sono più economiche da produrre rispetto a quelle elettriche che richiedono cobalto o litio. Il calore immagazzinato è abbastanza intenso da alimentare molte industrie pesanti.

Come nel caso delle pompe di calore di AtmosZero, si inseriscono nelle fabbriche esistenti senza richiedere una riprogettazione completa. E poiché ogni batteria è così efficiente, può consumare energia elettrica per riscaldare i mattoni quando l’energia è più scarsa, ma distribuire calore in qualsiasi momento.

Meglio delle Gigafactory di Tesla

La scatola sta suscitando molto entusiasmo. Rondo ha recentemente raccolto 60 milioni di dollari di finanziamenti dal venture capital di titani aziendali come Microsoft, un colosso del software, Aramco, la compagnia petrolifera nazionale saudita, e Rio Tinto.

Tra i suoi finanziatori figurano anche diversi luminari degli investimenti tecnologici. Dopo un discorso TED molto seguito e una recente conferenza del World Economic Forum di Davos, in Svizzera, O’Donnell è conosciuto come “l’uomo dei mattoni”.

O’Donnell sta pianificando una grande espansione globale. Con il supporto del Siam Cement Group della Thailandia, un investitore con molta esperienza nella produzione di mattoni, Rondo spera di produrre ogni anno un numero di scatole sufficiente a immagazzinare 90 GWh di elettricità, il doppio della capacità della Gigafactory di batterie di Tesla in Nevada.

Lo stoccaggio con le rocce vulcaniche

Altre aziende stanno sviluppando varianti di queste “rocce in scatola”. Brenmiller, un’azienda israeliana finanziata in parte dalla Banca europea per gli investimenti, utilizza la roccia vulcanica come mezzo di stoccaggio.

Antora, una startup californiana, utilizza grandi cubi di carbonio solido per immagazzinare calore fino a 1.800°C.

Fourth Power di Boston utilizza invece stagno fuso che scorre attraverso un sistema di mattoni di grafite (e tubature di grafite) per fornire un accumulo a 2.400 °C. Poiché lo stagno si riscalda, le celle fotovoltaiche specializzate all’interno del sistema consentono di prelevare energia sotto forma di elettricità e di calore. In aree con prezzi variabili dell’energia elettrica, il sistema può funzionare in modo redditizio semplicemente immagazzinando calore quando l’energia è a buon mercato ed erogando elettricità quando il prezzo è basso.

I processi industriali meno inclini all’elettrificazione

I processi industriali più difficili da elettrificare sono quelli che richiedono un calore intenso 24 ore su 24, soprattutto se utilizzano combustibili fossili non solo per generare calore ma anche per fornire una sorta di necessità chimica, come il carbonio utilizzato nella produzione di acciaio. Questa è l’estremità più sperimentale dello spettro dell’elettrificazione dell’industria, ma anche quella potenzialmente più gratificante, dal momento che l’acciaio, i prodotti chimici e il cemento insieme rappresentano più della metà del calore industriale e quindi una percentuale simile delle emissioni industriali di gas serra.

Diverse startup ben finanziate stanno perseguendo innovazioni radicali in alcuni aspetti della produzione di acciaio, una delle industrie più inquinanti al mondo. Electra, sostenuta tra gli altri da Amazon e BHP, ha trovato un modo per produrre ferro puro in un forno senza fiamme.

In Colorado sciolgono il minerale di ferro in un cocktail chimico e lo colpiscono con l’elettricità. Questa tecnica di “elettrofiltrazione” produce lastre di ferro puro senza utilizzare carbone da coke o combustibili fossili e quindi senza emettere quasi nessun gas serra. L’azienda sta inseguendo i rivali, tra cui la svedese SSAB, che prevede di commercializzare l’acciaio verde entro il 2026.

L’elettrificazione di siderurgia e dell’industria del cemento

Un metodo più collaudato per ridurre le emissioni di anidride carbonica della produzione di acciaio sostituisce gli altiforni con forni ad arco elettrico. Questi ultimi utilizzano tipicamente l’elettricità per fondere e riciclare i rottami metallici, anziché produrre acciaio da zero utilizzando minerale di ferro e carbone da coke. In altre parole, ciò ha più senso in luoghi con un prezzo del carbonio, abbondanza di rottami e una domanda relativamente stabile per i Paesi ricchi di acciaio. A gennaio Tata Steel ha annunciato la chiusura degli altiforni e il passaggio alla produzione di acciaio elettrificato in Gran Bretagna. La società di ricerca Wood Mackenzie prevede investimenti per 130 miliardi di dollari nei forni elettrici ad arco nei prossimi anni. Ciò consentirebbe alla produzione di acciaio a basse emissioni, attualmente pari al 28% della produzione globale, di salire al 50% entro il 2050.

Il cemento è un’altra industria difficile da decarbonizzare. Come la siderurgia, le sue emissioni derivano dalle reazioni chimiche coinvolte, oltre che dalla combustione di combustibili fossili per generare calore.

Sublime Systems ha trovato un modo per ottenere le sostanze chimiche necessarie senza emissioni a temperatura ambiente. Infatti utilizza l’elettrolisi, un processo in cui le reazioni chimiche vengono stimolate facendo passare una corrente elettrica attraverso una soluzione. “In pratica stiamo sostituendo il forno”, spiega Leah Ellis, cofondatrice dell’azienda. L’anno scorso gli investitori, tra cui Siam Cement, hanno versato 40 milioni di dollari.

Il caso dell’industria chimica

La terza industria gigante e fuligginosa è quella chimica. Una forma radicale di elettrificazione prevede l’immissione di precursori chimici in un rotore superveloce, che ruota a più di 20.000 giri al minuto.

Coolbrook, un’azienda finlandese, è il pioniere di questo tipo di “reattore roto-dinamico”. È sostenuta da Braskem, un’azienda brasiliana, Cemex, messicana, e SABIC, saudita. A dicembre ha annunciato di aver utilizzato questa tecnica per crackare (scomporre) la nafta, un processo comune per l’industria.

Alcune aziende chimiche guardano anche all‘energia nucleare come fonte di elettricità e calore. L’americana Dow ha in programma di costruire quattro piccoli reattori modulari prodotti dalla startup X-energy in un impianto in Texas. Questi sostituiranno le caldaie a gas che attualmente forniscono elettricità e vapore.

Conclusioni

Anche se queste tecnologie funzionassero come promesso, l’elettrificazione dell’industria richiederà tempo. Frederic Godemel di Schneider Electric ritiene che le tecnologie esistenti possano in teoria elettrificare dal 30% al 50% dell’industria pesante. In pratica, però, il produttore francese di apparecchiature industriali ritiene che solo il 10% sia già elettrificato.

Questo succede perché, anche quando il nuovo kit elettrico è competitivo nel lungo periodo con le attrezzature esistenti, i dirigenti delle fabbriche fanno resistenza. Infatti spesso si oppongono al passaggio. Il motivo è che comporta alti costi iniziali, interruzioni di produzione, formazione sui nuovi macchinari e così via.

“Per questo motivo non si può prevedere come ogni industria deciderà di decarbonizzare”, spiega Luigi di Marco, “tuttavia entro il 2040 il taglio delle emissioni dovrà raggiungere il 90% rispetto ai livelli del 1990. La tappa è intermedia tra il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050. L’impegno è del Consiglio dell’Unione europea, quindi non una raccomandazione di un organismo in scadenza, preso alla Cop28. Inoltre questa misura è in linea con il parere del comitato consultivo scientifico europeo sui cambiamenti climatici (ESABCC). Oltreché con gli impegni che l’UE ha assunto nel quadro dell’accordo di Parigi”.

Il prezzo del carbonio o altri incentivi per ridurre le emissioni sarebbero ovviamente utili. Altrettanto utili sarebbero le tecnologie che riducono al minimo le interruzioni. AtmosZero ha spiegato che la sua azienda ha deciso esplicitamente di superare le obiezioni dei dirigenti. Sta progettando la sua caldaia elettrica in modo da inserirla facilmente nelle fabbriche esistenti e ridurre così i problemi di installazione. “Il vapore ha alimentato la prima rivoluzione industriale”, dichiara Addison Stark, amministratore delegato di AtmosZero, “e il vapore decarbonizzato alimenterà la prossima”.

A fornire un’indicazione che l’elettrificazione sia una soluzione promettente è l’interesse catalizzato dalle compagnie petrolifere e del gas.

Equinor, l’azienda petrolifera statale norvegese, sta da tempo elettrificando le sue piattaforme offshore per ridurre le emissioni legate al pompaggio del petrolio. Le sue operazioni offshore più efficienti emettono meno di 1 kg di anidride carbonica per ogni barile di petrolio prodotto (o per l equivalente di gas) rispetto a una media globale di 15 kg al barile.

Le aziende petrolifere che trivellano nel bacino americano, sotto la pressione delle autorità di regolamentazione per ridurre le emissioni, stanno investendo miliardi. L’obiettivo è quello di sostituire le attrezzature convenzionali a metano (un gas serra) con alternative elettriche.

Se persino i nemici naturali dell’elettrificazione riescono a vederne il valore, devono essere in ascesa le prospettive della decarbonizzazione attraverso l’elettrificazione dell’industria.

“Certamente, anche per fare ciò, l’Europa avrà necessità di investimenti da 500 miliardi l’anno per le transizioni, digitali e green, come ha ribadito Mario Draghi (ex governatore della Banca Centrale Europea ed ex presidente del Consiglio italiano, in occasione del vertice Ecofin informale di Gand di fronte ai ministri delle Finanze degli stati Ue, ndr)”, conclude Luigi di Marco, “ma decarbonizzare è nell’interesse di tutti, a partire dall’industria“. Ora bisogna capire come, ma nel mix di tecnologie si aggiunge anche l’elettrificazione.

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