Il 24 maggio 2024 il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato l’accordo politico sulla proposta di Direttiva sulla Due Diligence sulla Sostenibilità aziendale (CSDDD), originariamente proposta dalla Commissione nel febbraio 2022, completandone così il processo di adozione. Si attende ora solo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Da quel momento gli Stati membri avranno due anni per introdurre nei propri ordinamenti le normative e le procedure amministrative necessarie per conformarsi a questo nuovo quadro giuridico.
L’obiettivo della direttiva CSDDD
L’obiettivo della direttiva è promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile nelle operazioni delle imprese e nelle loro catene di valore globali. Le nuove regole garantiranno che le aziende interessate identifichino e affrontino gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente delle loro azioni all’interno e all’esterno dell’Europa.
Si legge nei “Considerando” della proposta: “Un elevato livello di protezione e il miglioramento qualitativo dell’ambiente e la promozione dei valori fondamentali europei si annoverano tra le priorità dell’Unione indicate nella comunicazione della Commissione dell’11 dicembre 2019 dal titolo “Il Green Deal europeo”. Tali obiettivi richiedono il coinvolgimento non solo delle autorità pubbliche, ma anche degli attori privati, in particolare delle società (…) Le norme internazionali vigenti in materia di condotta d’impresa responsabile specificano che le società dovrebbero tutelare i diritti umani e stabiliscono le modalità con cui dovrebbero inserire la protezione dell’ambiente in tutte le attività che svolgono e le catene del valore cui partecipano. (…) Le catene globali del valore, e in particolare le catene del valore delle materie prime critiche, sono colpite dagli effetti negativi dei rischi di origine naturale o umana. È probabile che in futuro aumentino la frequenza e l’impatto degli shock che comportano rischi per le catene del valore critiche. Il settore privato potrebbe svolgere un ruolo importante nella promozione di una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, evitando nel contempo la creazione di squilibri nel mercato interno. Ciò sottolinea l’importanza di rafforzare la resilienza delle società a scenari avversi connessi alle loro catene del valore, tenendo conto delle esternalità nonché dei rischi sociali, ambientali e di governance”.
Ad una prima lettura sembra quindi che la vera novità di queste norme rispetto ai precedenti atti comunitari sulla rendicontazione di sostenibilità aziendale (la CSRD, ad esempio), risieda non tanto nei riferimenti ai diritti umani e all’ambiente (già presenti in vari atti normativi), quanto piuttosto nell’estensione della proattività d’impresa alle loro “catene del valore” espandendo così i profili di responsabilità ben oltre i tradizionali confini tracciati nei principi giuridici dei singoli Stati (dell’Italia, almeno).
È lecito allora domandarsi quanto questi riferimenti siano veramente innovativi, a quali comportamenti essi dovranno esattamente corrispondere, quali soggetti coinvolgano dal lato attivo e passivo e, infine, quali conseguenze porteranno le applicazioni della CSDDD.
Le catene globali del valore secondo le teorie economiche
La catena del valore rappresenta un’impresa come un insieme interdipendente di attività generatrici di valore per i clienti. Queste attività sono connesse fra loro e contribuiscono alla formazione del margine di guadagno aziendale. In altre parole, la catena del valore mostra il valore totale generato da un’impresa e le attività di valore sono quelle fisicamente e tecnologicamente distinte che un’azienda svolge. Il margine è la differenza tra il valore totale e il costo complessivo che l’impresa sostiene per eseguire tali attività.
Il “modello Porter”
La teoria alla base del modello non è affatto nuova, è stata ipotizzata per primo da Michael Porter nel 1985 nel suo libro Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance. Secondo il modello Porter, un’organizzazione è vista come un insieme di processi, primari e di supporto. Processi primari sono: la gestione dei materiali e delle forniture; la produzione, assemblaggio e trasformazione dei materiali; la distribuzione e consegna dei prodotti finiti; la promozione e commercializzazione; l’assistenza post-vendita e il supporto ai clienti. Processi di supporto sono: la gestione generale dell’azienda; la selezione, formazione e sviluppo del personale; la ricerca, sviluppo e innovazione; l’acquisizione di risorse e materiali.
L’obiettivo finale della catena del valore
L’obiettivo finale della catena del valore dovrebbe essere creare vantaggio competitivo aumentando la produttività e contenendo i costi ma un anello difettoso potrebbe influire sulla qualità del prodotto o servizio. Ad esempio, se la produzione è difettosa, i prodotti potrebbero essere di scarsa qualità o presentare problemi; se la distribuzione non fosse ben curata, i prodotti potrebbero non arrivare ai clienti nei tempi previsti. Problemi in qualsiasi anello possono portare a insoddisfazione dei clienti. Ad esempio, se il servizio post-vendita è carente, i clienti potrebbero sentirsi trascurati. Importante sottolineare che i soggetti coinvolti in tutti gli anelli della catena sono sempre di più distinti e autonomi tra loro ma tutti legati dal raggiungimento del medesimo obiettivo imprenditoriale.
L’estensione della responsabilità civile alla responsabilità sociale d’impresa
Sembrerebbe tutto ovvio e logico se non fosse che sul piano giuridico le catene di valore implicano una serie di conseguenze sotto il profilo della “Responsabilità sociale d’Impresa” (RSI) o “Corporate Social Responsibility” (CSR).
La responsabilità sociale e la responsabilità civile: due concetti distinti
La responsabilità sociale e la responsabilità civile derivante dalle prescrizioni del nostro Codice civile nascono come due concetti distinti: la prima riguarda l’impegno di un’organizzazione o di una comunità verso l’intera società e si concentra su come un’azienda contribuisce al benessere sociale, all’ambiente e alla sostenibilità; la seconda regolamenta le ipotesi in cui si verificano le violazioni di una norma del diritto privato, che regola i rapporti tra cittadini e riguarda esclusivamente il risarcimento del danno causato dall’ inadempienza contrattuale o extracontrattuale nei confronti di un individuo. In sintesi, la responsabilità civile è incentrata sul risarcimento delle vittime, mentre la responsabilità sociale mira a promuovere comportamenti etici e sostenibili nell’interesse della società nel suo complesso.
Principio cardine perché qualcuno risulti obbligato a risarcire il danno, è che tra il fatto compiuto e il danno arrecato sussista un nesso di causalità, cioè un rapporto causa-effetto tale che il danno si possa dire provocato dal fatto in questione ed anche che il fatto sia addebitabile ad un comportamento doloso o colposo di colui che ha agito e non di altri (nella responsabilità extracontrattuale o per fatto illecito).
Il nostro ordinamento prevede già alcuni casi in cui si risponde per il “fatto altrui”. I genitori o il tutore rispondono del danno provocato dal fatto illecito compiuto dai figli minori non emancipati, o dalle persone che abitano con essi e soggette alla tutela. In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, e perciò non imputabile, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace. Il padrone o committente è considerato responsabile per il danno provocato da un dipendente, nell’esercizio delle incombenze alle quali è adibito.
Il proprietario di un’automobile è responsabile per il danno è provocato dal conducente, se è persona diversa dal proprietario che non ne ha impedito la circolazione. Esistono poi i casi di responsabilità oggettiva, per i quali si risponde del fatto che ha determinato un danno, anche se commesso senza dolo o colpa, purché esista un nesso di causalità tra il fatto e l’evento dannoso, di modo che il danno risulti conseguenza immediata e diretta del fatto stesso (alcune ipotesi non sono contenute nel nostro Codice civile ma discendono da leggi speciali: es. responsabilità del produttore per i difetti del prodotto venduto).
La novità introdotta dalla direttiva CSDDD
La novità introdotta dalla direttiva CSDDD è che ora la RSI si estenderà, nel caso della mancata “dovuta diligenza”, a qualsiasi anello di tutta la propria catena del valore in materia di diritti umani e ambiente.
L’art. 1 del testo approvato della direttiva reca: “La presente direttiva stabilisce norme in materia di obblighi rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell’ambito delle proprie attività, delle attività delle loro filiazioni e delle attività svolte dai loro partner commerciali nelle catene di attività di tali società”, gli obblighi si estendono, quindi, sino a coprire le attività della capogruppo, delle controllate e di tutti i partner coinvolti nella catena del valore.
L’art.5: “Gli Stati membri provvedono a che ciascuna società eserciti il dovere di diligenza basato sul rischio in materia di diritti umani e di ambiente (…)”, l’art.8 “Gli Stati membri provvedono a che ciascuna società adotti misure adeguate per individuare e valutare gli impatti negativi, siano essi effettivi o potenziali, causati dalle proprie attività o da quelle delle sue filiazioni e, se collegate alla propria catena di attività, da quelle dei suoi partner commerciali, (…)”, e l’art.29, significativamente intitolato “Responsabilità civile delle società e diritto al pieno risarcimento”: “Gli Stati membri provvedono a che una società possa essere ritenuta responsabile di un danno causato a una persona fisica o giuridica, a condizione che la società non abbia ottemperato, intenzionalmente o per negligenza, agli obblighi di cui agli articoli 10 e 11” (Prevenzione e Arresto degli impatti negativi sui diritti umani e sugli impatti ambientali).
Le prescrizioni relative all’accesso alla giustizia, alla sostenibilità e alla transizione
E l’estensione della CSR alla nuova forma di responsabilità civile d’impresa è completata e confermata dalle prescrizioni relative all’accesso alla giustizia, alla sostenibilità e alla transizione: “La presente direttiva mira ad assicurare che le società attive nel mercato interno contribuiscano allo sviluppo sostenibile e alla transizione economica e sociale verso la sostenibilità attraverso l’individuazione, e, ove necessario, l’attribuzione di priorità, la prevenzione, l’attenuazione, l’arresto, la minimizzazione e la riparazione degli impatti negativi, siano essi effettivi o potenziali, sui diritti umani e sull’ambiente connessi alle attività delle società stesse nonché alle attività delle loro filiazioni e dei loro partner commerciali nelle catene di attività cui le società partecipano, e garantendo che le persone colpite dal mancato rispetto di tale obbligo abbiano accesso alla giustizia e ai mezzi di ricorso” (Considerando nr.16).
Le implicazioni sulle controversie climatiche
La direttiva consente di ampliare la nozione di “impatto negativo ambientale” comprendendovi anche tutti quegli impatti negativi in termini di inquinamento atmosferico, terrestre, idrico e marino e conservazione della biodiversità, e di costituire uno strumentario di diritto ambientale dell’Unione europea che parta dai principi contenuti dall’Accordo di Parigi del 2015 sul cambiamento climatico.
Espressamente si prevede all’art.22: “Gli Stati membri provvedono a che ciascuna società …, adotti e attui un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici volto a garantire, con il massimo impegno possibile, che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 ºC in linea con l’accordo di Parigi nonché l’obiettivo di conseguire la neutralità climatica come stabilito nel regolamento (UE) 2021/1119, compresi i suoi obiettivi intermedi e di neutralità climatica al 2050, e, se del caso, l’esposizione della società ad attività connesse al carbone, al petrolio e al gas”.
Una svolta nelle climate litigation
Abbinando quest’obbligo (esteso -sempre- all’intera catena di valore dell’impresa) che determina l’insorgere della responsabilità civile, all’altrettanto affermato diritto di tutela giuridica di persone e gruppi, avremo una vera svolta nelle tante climate litigation che oggi (almeno in Italia) si infrangono sugli scogli del rapporto di causalità e dell’addebitabilità dei comportamenti lesivi.
Ma adesso la CSDDD non consente più di escludere che le imprese (comprese le loro catene del valore) siano civilmente responsabili per i danni causati dal cambiamento climatico. Con l’aggiunta dell’insorgere anche di una responsabilità civile per le violazioni dei diritti umani causate dal cambiamento climatico. Anche se rimane ancora aperto il tema della discrezionalità amministrativa nella lotta al cambiamento climatico, risolto dalla CEDU nel noto caso delle anziane ricorrenti svizzere, ma ancora considerato dalla giurisprudenza italiana presupponendo che esso investa atti politici o comunque questioni di discrezionalità pura, non sindacabili da parte dei giudici.
CSDDD: un cambio di passo sul controllo sulle catene di valore
Non pare possano sussistere dubbi sul fatto che le istituzioni europee abbiano preso atto della complessiva insufficienza delle previsioni della precedente direttiva CSRD. E, in effetti, quella rendicontazione societaria di sostenibilità era basata su di un principio di trasparenza e informazione destinato ai vari stakeholder, ma nulla di più. Adesso, con il riferimento ai diritti umani e all’Ambiente, gli obiettivi della CSR diventano più ampi ma, soprattutto, più chiari e non si limitano ad una mera narrazione dei buoni propositi nella gestione della governance societaria.
L’estensione della responsabilità alle catene di valore e l’obbligo di favorire l’accesso alla giustizia, completano il quadro. E il controllo sulle catene di valore deve essere costante, preventivo e sottoposto a verifica con l’obbligo di identificare, prevenire, mitigare e rendere conto degli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente e allineare le policy aziendali con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C, adottando e attuando piani di transizione, da aggiornare annualmente, per la mitigazione dei cambiamenti climatici.
Certo, questi effetti positivi saranno possibili solo per quelle poche aziende (con più di 1000 dipendenti e con un fatturato superiore ai 450 milioni di euro) coinvolte dalla CSDDD. Ma abbiamo già visto in questi anni, per i report di sostenibilità redatti anche da società che non sarebbero state obbligate a farlo ai sensi della DNF, che il mercato va più veloce delle norme, per cui non possiamo escludere, che la platea delle aziende che adotterà volontariamente i principi della CSDDD, si ampli nel futuro, specie se si innescheranno meccanismi di concorrenza competitiva.
Conclusioni
Tanti altri passaggi della direttiva CSDDD avrebbero meritato ulteriori approfondimenti non consentiti dagli spazi di quest’articolo che però, magari, solleciterà ulteriori interventi e interpretazioni.
Quanto le norme europee diventeranno un passaggio cruciale nel processo di responsabilizzazione delle imprese, destinatarie di obblighi sussidiari e concorrenti con quelli degli Stati, sarà da vedere. E lo si vedrà, soprattutto, nei recepimenti interni di tali obblighi, giacché sono ancora molti gli spazi lasciati aperti (e non tutti di dettaglio: ad es. l’individuazione dei soggetti legittimati ad avviare azioni dirette contro le aziende per far valere la loro responsabilità in sede civile per un risarcimento del danno; o la disciplina delle conseguenze per la violazione degli obblighi di due diligence della CSDDD), per il completamento delle previsioni negli ordinamenti giuridici nazionali.
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