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Economia dell’idrogeno: urgente definire una politica nazionale

Il tema degli impianti e delle reti di trasporto dell’idrogeno apre una questione geopolitica. È arrivato il momento che l’Italia definisca il proprio ruolo da ricoprire nel panorama europeo e mondiale, andando oltre la produzione strettamente legata al solo consumo interno. Occorre investire in ricerca e sviluppo

Pubblicato il 03 Gen 2022

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

economia idrogeno

In Italia e nel mondo si moltiplicano gli sforzi per sviluppare una vera e propria “economia dell’idrogeno”. È di qualche settimana fa, la notizia che Eni, Edison e Snam (tre nomi pesanti), in collaborazione con la Fondazione Politecnico di Milano e il Politecnico di Milano, hanno dato il via a una nuova piattaforma congiunta per la ricerca sul valore dell’idrogeno. Il progetto prende il nome di Hydrogen Joint Research Platform e rappresenta un punto di partenza per un sistema che si auspica in messa a terra già entro il 2030.

Ma ad oggi c’è un intero ecosistema ancora estremamente immaturo – pur se incredibilmente promettente – e lo sviluppo di una filiera industriale nazionale richiede di vincere diverse sfide. Nei fatti c’è un’intera filiera da progettare e un modello di business tutto da costruire.

Idrogeno verde, Italia hub di energia pulita per l’Europa? Urge una strategia

Evidentemente esiste un tempo necessario di sviluppo; non va dimenticato che anche per sviluppare la tecnologia del petrolio ci sono voluti 50 anni; dunque, ce ne potrebbero volere 50 anche per l’idrogeno pulito. Ma le potenzialità ci sono e c’è da essere ottimisti.

Perché l’idrogeno può diventare protagonista

“La via che ci porta verso un futuro pulito è fatta di idrogeno. E passa per l’Italia”. Sono le parole che ha usato settimane fa John Kerry, l’inviato speciale della Casa Bianca per il clima, partecipando a un evento organizzato da Green&Blue, hub del gruppo Gedi specializzato in ambiente e innovazione. In effetti, sebbene l’idrogeno giochi al momento un ruolo marginale nella filiera energetica (rappresenta solo il 2% del mix energetico dell’Unione europea e circa l’1% in Italia), non c’è documento della Commissione europea o del nostro Governo che non citi l’idrogeno pulito come futuro vettore energetico.

A luglio 2020, l’Unione europea ha varato la Strategia europea per l’idrogeno, con un finanziamento di 470 miliardi di euro, destinati a progetti di ricerca e di produzione di idrogeno verde.

Da allora si sono catalizzate grandissime aspettative, anche nel nostro Paese. L’idrogeno viene citato nel Piano Strategico Nazionale della Mobilità Sostenibile[1]. Viene citato nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC). Viene citato anche nel PNRR, dove gioca un ruolo da protagonista. È atteso un investimento da 3,2 miliardi complessivi, di cui 2 miliardi per la siderurgia verde[2]. Gli altri 530 milioni sono riservati al sostegno dell’idrogeno per il trasporto stradale e ferroviario; 450 milioni in capo al MiTE per la più generica voce “idrogeno” e 160 milioni per la ricerca e lo sviluppo sempre sull’idrogeno.

Finanziamenti e Politiche

Cosa ci dice la lettura integrata di questi documenti del Governo?

Ci dice che, per l’idrogeno, qualcosa si muove. Anche se la situazione ancora è in chiaroscuro, con forti impegni di spesa, ma con ancora poca chiarezza nelle regole e negli obiettivi intermedi.

Fonte: MiSE “Strategia Nazionale Idrogeno – Linee guida preliminari”

Il Ministero dello Sviluppo Economico ha attivato uno specifico tavolo sull’idrogeno, che raggruppa oltre 70 stakeholders nazionali interessati allo sviluppo e alle applicazioni di tale vettore.

È stato elaborato un primo documento preliminare che definisce la Strategia Nazionale Idrogeno. Qualche tempo fa il documento è stato messo in consultazione; tuttavia, non è stato ancora formalmente adottato. Se ne sono perse le tracce, tant’è che da più parti si alzano appelli affinché il Governo si doti di una strategia nazionale, come hanno già fatto Germania, Francia e Spagna.

Fonte: Hydrogen Innovation Report 2021 (www.energystrategy.it)

È arrivato il momento che il Governo italiano supporti concretamente lo sviluppo di un ecosistema industriale nazionale, approvando al più presto la Strategia nazionale idrogeno. Una strategia in cui sia delineato un quadro più organico e sfidante dello sviluppo dell’idrogeno verde in Italia, da coordinare anche con i prossimi impegni del PNIEC, di cui una versione aggiornata verrà rilasciata nel 2022.

Anche perché l’Italia ha il potenziale per posizionarsi strategicamente in tutti i settori di riferimento della filiera idrogeno: produzione, logistica e trasporto, industria, mobilità, residenziale.

Il nostro Paese ha grandi capacità tecnologiche e di progettazione. Abbiamo grandi operatori e aziende determinanti nell’apertura del mercato. Molte nostre piccole aziende sono tra i maggiori leader mondiali in componenti per soluzioni di stoccaggio dell’idrogeno. Start-up innovative potrebbero trovare nuova linfa da collaborazioni con Università e Centri di ricerca.

Sviluppo di un ecosistema nazionale

È vero che adottare l’idrogeno verde su larga scala comporta benefici a livello ambientale e che parlare di idrogeno e di un suo utilizzo su vasta scala vuol dire proiettarsi nel futuro, ma ciò comporta dover affrontare diverse sfide.

Oggi, la quasi totalità di idrogeno prodotto, quello marrone e grigio, ha un impatto molto forte e negativo sull’ambiente. D’altra parte, però, i suoi costi di produzione sono mediamente bassi. Il tema della produzione di idrogeno pulito, quello verde, sta tutto qui. È una tecnologia molto preziosa, ma al momento molto energivora, quindi da maneggiare con cura. La sfida principale sta tutta nel come produrla a costi competitivi con gli attuali, ma senza emissioni di CO2 in atmosfera. E per vincere questa sfida, ci sono anche elementi economici, politici, tecnologici, e di sicurezza che devono essere considerati per lo sviluppo di un ecosistema industriale nazionale per l’idrogeno.

Di conseguenza il tema dovrà essere visto da diverse prospettive, perché il raggiungimento degli obiettivi che l’Italia si è posta al 2030 dipenderà fortemente da alcuni fattori, endogeni ed esogeni.

Fattori endogeni

  • Avere maggiori capacità energetica disponibile da fonti rinnovabili;
  • Avere un quadro giuridico-normativo e standard di sicurezza ad hoc;
  • Stabilire meccanismi di incentivazione (comprese misure per gli oneri di rete);
  • Dotarsi gradualmente di una rete di distribuzione;
  • Finanziare iniziative di ricerca e sviluppo.

Fattori esogeni

  • I prezzi delle materie prime[3];
  • L’evoluzione della regolamentazione in materia di emissioni.

Sono i fattori endogeni quelli che richiedono maggiormente l’attenzione del Governo e del Parlamento.

Aumento delle fonti energetiche rinnovabili

Come primo fattore endogeno, occorre avere a disposizione una maggiore capacità energetica disponibile da fonti rinnovabili. Per come stanno le cose oggi, l’idrogeno verde è una prospettiva importante, ma per il 2030 il suo contributo sarà vicino allo zero.

La produzione di idrogeno è energivora, andrebbe utilizzata solo in specifici settori. È una risorsa che richiede un aumento imponente della capacità elettrica rinnovabile. L’idrogeno, in altre parole, pone un dilemma per il futuro del sistema energetico, in Italia come in altri Paesi. Finché non avremo grandi surplus di elettricità rinnovabile, cosa che non avverrà prima del 2030, usare l’elettricità per alimentare idrogeno e poi utilizzarlo per alimentare le auto o riscaldare gli edifici è in netto contrasto con l’obiettivo di aumentare l’efficienza energetica entro il 2030.

Se da un lato la ricerca sull’idrogeno e la diffusione delle rinnovabili devono continuare, dall’altro è arrivato il momento – non solo per l’Italia ma per tutta l’Unione Europea – di prendere decisioni politiche sulle priorità, e si deve fare una scelta chiara tra puntare sull’elettrificazione diretta o sull’idrogeno.

Qualunque strada sarà scelta, bisogna avere la consapevolezza che questa transizione non sarà gratis e che occorrerà un imponente aumento della elettricità rinnovabile, in termini di reti e capacità di stoccaggio.

Definire un quadro normativo nazionale

È necessario costruire un quadro regolatorio. Un quadro normativo che parta da una definizione univoca di idrogeno verde, che a oggi non risulta essere completamente chiara e definita. Peraltro, in Italia manca una base legale – legge o regolamento – che regoli l’accesso dell’idrogeno alle reti del gas. L’assenza di un quadro giuridico rappresenta il principale limite alla realizzazione di una completa decarbonizzazione del riscaldamento domestico.

Gli enti normatori e i regolatori europei dell’energia (ACER e CEER) hanno un ruolo chiave nel definire il quadro normativo e hanno pubblicato una serie di raccomandazioni su quando e come regolare l’infrastruttura dedicata all’idrogeno. Il Governo dovrebbe presidiare di più questi tavoli di lavoro, perché è lì che si decidono le misure in termini di regolamentazione, di esenzioni per l’utilizzo di infrastrutture; è lì che si prevedono sovvenzioni per il riutilizzo delle reti del gas per trasportare idrogeno.

Insomma, è importante esserci, perché è stando a quei tavoli che possiamo favorire una normazione comunitaria funzionale agli interessi nazionali.

La geopolitica dell’idrogeno rinnovabile

Il tema degli impianti e delle reti di trasporto apre una questione geopolitica. È arrivato il momento che l’Italia definisca il proprio ruolo da ricoprire nel panorama europeo e mondiale.

Se l’Italia vuole giocare un ruolo da protagonista, che veda il Paese andare oltre la produzione di idrogeno strettamente legato al solo consumo interno, deve pensare e agire da operatore internazionale che si muove nel mercato globale, come fanno oggi Francia e Germania.

Potenzialmente l’Italia si trova in posizione geografica vantaggiosa per divenire un naturale collegamento infrastrutturale con il Nord Africa, in particolare col Marocco, da cui l’Europa potrebbe importare idrogeno prodotto da energia rinnovabile[4].

Se l’Africa del Nord è un mercato destinato a crescere, viceversa l’area del Medio Oriente, rispetto al ruolo attuale nel settore dei combustibili fossili, rivestirà sicuramente un ruolo meno importante nei futuri mercati dell’idrogeno rinnovabile. Ma anche guardando al Medio Oriente, l’Italia potrebbe diventare un punto di distribuzione europeo importante, qualora decidesse di abbracciare il progetto saudita di produrre idrogeno verde, che potrebbe poi transitare dalla Grecia e arrivare nel nostro Paese. È una opzione sul tavolo, anche se farebbe sorgere interrogativi sull’opportunità di alleanze con i sauditi e dubbi sulla volontà di continuare a perpetuare un modello di dipendenza energetica cronica.

L’opzione Cina

Poi c’è l’opzione Cina. Sebbene la Cina resti il principale Paese responsabile delle emissioni globali, rimane il principale produttore mondiale di energie rinnovabili e tecnologie energetiche pulite, tant’è che in meno di due anni è stato il Paese con la più imponente diffusione di impianti fotovoltaici, divenendo leader mondiale nella produzione di moduli fotovoltaici.

Forse la strada verso una società dell’idrogeno è ancora lunga, ma se la Cina dovesse replicare il successo raggiunto con il solare fotovoltaico, da una prospettiva geopolitica, il Paese potrebbe imporsi come superpotenza dell’idrogeno.

D’altronde la Cina sta investendo ingenti risorse in ricerca, soprattutto per il risolvere il problema della scarsità d’acqua dolce. A Shenzhen è stato istituito il “National Ocean Technology Centre”, dove è in fase di sviluppo il progetto di cooperazione Cina-Europa per la generazione di energia e produzione di idrogeno dalle onde marine[5].

Oggi sono disponibili moderni strumenti, tutt’altro che invasivi, per estrarre energia elettrica dal mare. C’è il “pinguino”, uno strumento prodotto in Italia, che collocato a 50 metri di profondità produce energia elettrica senza alcun danno per la flora e la fauna marine. Un altro sistema è Iswec[6], un convertitore di energia dalle onde marine, sviluppato da Eni insieme a una società spin-off del Politecnico di Torino.

Con questi strumenti e con gli altri che la scienza e la tecnologia svilupperanno nei prossimi anni, sarà possibile aprire la strada a un’applicazione dalla potenzialità illimitate: l’uso dell’acqua salata per alimentare le celle elettrolitiche, fino a poco tempo fa impossibile per problemi di corrosione degli impianti. Si tratta di progetti concreti nei quali, grazie alla creatività italiana, si dovrà continuare a investire e a lavorare. Progetti che appaiono in linea con quelli previsti sia a livello europeo che a quello italiano dal PNRR.

Impatto economico e investimenti in ricerca

Se l’idrogeno verde è una grande opportunità, da non sprecare, occorre investire fortemente in ricerca e sviluppo. Secondo uno studio pubblicato da ENEA, ci sono oltre 130 attori della Ricerca e Sviluppo in Italia – comprese le università – attive nello sviluppo e implementazione delle tecnologie legate all’idrogeno.

Ci sono grandi player della manifattura e dell’energia, che in collegamento con gli enti di ricerca, possono giocare un ruolo da protagonista nel consolidamento della filiera dell’idrogeno. I numeri riportati nel report “H2 Italy 20250” ci dicono che l’industria italiana è leader manifatturiero nell’ambito della produzione di tecnologie termiche potenzialmente connesse all’idrogeno. Siamo il secondo produttore di tecnologie meccaniche utilizzate lungo la filiera dell’idrogeno. Possediamo la leadership in Europa su particolari tecnologie, per lo più componenti, come le valvole, per la gestione di gas in alta pressione. In questi settori, attraverso percorsi di riconversione e investimenti a supporto, potremmo ambire ad avere un ruolo da leader anche per altre applicazioni collegate all’idrogeno.

L’industria italiana pesa per circa un quarto del mercato europeo anche nella produzione di impianti e componenti potenzialmente adattabili alla produzione futura di idrogeno verde e blu. Siamo secondi solo alla Germania, anche se la produzione, in questi due comparti, è focalizzata ora su impianti di scala molto ridotta, con un livello tecnologico ancora poco sviluppato, rispetto alle reali necessità della filiera dell’idrogeno.

In questi settori, quindi, è necessario spingere su un’azione di scale-up produttivo facendo leva su politiche di trasferimento tecnologico[7].

Dobbiamo colmare una carenza di ecosistema dell’innovazione sull’idrogeno. Per questo è importante favorire collaborazioni tra Università, Enti di Ricerca e imprese per fare massa critica e catalizzare fondi europei e nazionali. Per questo è importante che il Governo si impegni nell’istituzione e coordinamento di Tavoli di Lavoro e di dialogo periodici, per definire meglio gli impatti economici di obiettivi di medio termine e come allocare efficientemente le risorse.

Dottorati industriali sull’idrogeno

L’evoluzione del settore richiederà anche figure professionali specializzate, in possesso di elevate conoscenze tecniche. Figure che si possono creare investendo sull’educazione, dalle scuole superiori fino a quella universitaria. Ci vuole un solido sistema di formazione professionale pubblico e gratuito. Si potrebbe pensare anche a protocolli tra università, enti di ricerca e rappresentanti delle imprese, per formare figure di alta qualificazione professionale, dei dottorati industriali in gestione di sistemi energetici sostenibili focalizzati sullo sviluppo di competenze economiche, gestionali e tecniche per gli specialisti dell’energia di domani.

Idrogeno da sviluppare (e comunicare) in sicurezza

Una sfida da non sottovalutare è il coinvolgimento dei cittadini. L’accettazione da parte dell’opinione pubblica sarà fondamentale per il successo della creazione di un’economia dell’idrogeno.

Per questo lo sviluppo della filiera deve essere accompagnato da campagne informative e progetti educativi sulle tecnologie dell’idrogeno e sulle procedure di sicurezza applicate. Una strategia multilivello di comunicazione e sensibilizzazione, sia verso l’opinione pubblica, sia verso le aziende, per veicolare i benefici derivanti dallo sviluppo di una filiera nazionale dell’idrogeno in Italia.

Il Parlamento, inoltre, dovrebbe farsi promotore di iniziative per produrre e acquisire dati sulle possibili ripercussioni, opportunità e sfide associate alla trasformazione dell’industria, dei trasporti e dell’energia, in relazione a un maggiore utilizzo dell’idrogeno.

Conclusioni

Lo sviluppo dell’idrogeno pulito costituisce un’occasione unica per accelerare la transizione globale verso un’economia a basse emissioni di carbonio e una grande potenzialità per il sistema industriale italiano. Ma lo sviluppo su ampia scala presenta importanti criticità.

Decisori politici, investitori e gli altri attori coinvolti devono sapersi muovere tra le sfide e le opportunità di un’economia a basse emissioni carboniche, senza cadere nelle trappole e nelle inefficienze del passato. Gli stakeholders non soltanto devono valutare attentamente le conseguenze economiche, geopolitiche e ambientali dell’idrogeno verde, sviluppare strategie che ne tengano conto e definire piani di implementazione a lungo termine, ma è necessario lo facciano ora.

È arrivato il momento delle scelte, partendo dall’approvazione definitiva della Strategia Nazionale elaborata dal MiSE.

Note

  1. Nell’ambito del Piano Strategico, la Conferenza Unificata ha dato parere favorevole al decreto direttoriale sull’erogazione, la rendicontazione e il monitoraggio di complessivi 1,3 miliardi di euro destinati alle Città Metropolitane e ai Comuni sopra i 100.000 abitanti per il rinnovo del parco autobus e l’acquisto di nuovi messi su gomma green, ad alimentazione elettrica, a idrogeno o metano e il potenziamento delle relative infrastrutture.
  2. Il ministro Cingolani ha detto che sull’ILVA di Taranto, per esempio, al ministero stanno valutando il passaggio dal carbone all’elettrico: inizialmente si farà col gas, ma bisogna subito predisporre il passaggio all’idrogeno, che deve essere verde, ha specificato, aggiungendo che non si fa certo in un anno.
  3. Si pensi che per alcuni elettrolizzatori – settore dove l’Italia dispone di elevate competenze nella produzione e vanta enormi capacità tecnologiche e di ricerca – sono necessarie materie prime molto costose, come platino e iridio. Elementi che servono a proteggere i materiali dal forte ambiente acido che si sviluppa nelle celle. L’iridio, in particolare, si teme possa diventare un collo di bottiglia dell’intera tecnologia. Oggi il suo costo è salito del 400% rispetto alla media degli ultimi 5 anni, in virtù proprio della sua importanza nella produzione di idrogeno.
  4. Pensando all’enorme rete di cui già dispone Snam, il Politecnico di Milano è arrivato a ipotizzare la realizzazione di una spina dorsale europea dell’idrogeno, lunga circa 6.800 km, che attraversa diversi Paesi (Germania, Francia, Italia, Spagna, Olanda, Belgio, Repubblica ceca, Danimarca, Svezia e Svizzera), composta in parte da gasdotti esistenti riconvertiti e in parte da reti di nuova costruzione.
  5. Secondo l’Hydrogen Council, un’associazione che raccoglie oltre 100 imprese di tutto il mondo, in futuro Europa e Cina giocheranno un ruolo centrale e dovranno cooperare nella produzione di energia dal mare e nella correlata produzione di idrogeno verde.
  6. Occupando una sezione di mare di soli 150 metri quadri, produce 250 Megawatt di elettricità in un anno consentendo, da sola, di tagliare l’emissione nell’atmosfera di 68 tonnellate di CO2.
  7. Da questo punto di vista è da valutare positivamente la nascita di Tech4Planet (https://www.cdpventurecapital.it/cdp-venture-capital/it/dettaglio_comunicato.page?contentId=COM2073), il secondo Polo Nazionale di Trasferimento Tecnologico di CDP Venture Capital Sgr, che intende favorire, con un primo fondo da 55 milioni di euro, l’accesso al mercato e la crescita di nuove imprese concepite all’interno dei laboratori di ricerca e dedicate alla sostenibilità ambientale.

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