Transizione energetica

Energia marina: le tecnologie più vantaggiose e i prototipi in Italia

L’energia marina si ricava dal moto ondoso, dalle correnti, dalle maree: come funzionano le principali tecnologie, potenzialità e ostacoli allo sviluppo, esempi in Italia e in UE

Pubblicato il 08 Apr 2022

Egle Conisti

Ricercatrice presso il CNR IIA - Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR

energia marina

Il Working Group Ocean Energy del SET Plan europeo ha messo a punto una roadmap per lo sviluppo dell’energia marina.

Il gruppo di lavoro, presieduto dal 2021 dall’ENEA – Ente Nazionale per l’Energia e l’Ambiente, ha stabilito che entro il 2025 saranno sviluppati dispositivi operativi che abbiano superato la fase di dimostrazione tecnica e finanziaria ed entro il 2030 saranno installati su larga scala, con costi vicini a quelli commerciali.

Tramite l’impiego di particolari impianti e tecnologie si può riuscire a ricavare energia meccanica dal movimento dell’acqua che viene poi convertita in energia elettrica.

L’energia marina comprende l’energia dal moto ondoso, dalle correnti marine, dalle escursioni di marea. Ma quali sono le tecnologie più vantaggiose e come funzionano?

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Energia marina: la posizione dell’Italia in Europa e il progetto PEWEC

L’Italia è una delle nazioni più attive sul fronte dell’energia marina: è tra i sei Paesi UE ad aver adottato politiche specifiche per lo sfruttamento di questa risorsa e i prototipi italiani con un “Livello di Maturità Tecnologica” pari o superiore a 7 (TRL7+) su una scala da 1 a 9 sono ben cinque, quattro per le onde e uno per le maree.

I dati arrivano dal primo “Rapporto per il Piano strategico per le tecnologie energetiche dell’UE” pubblicati dal progetto europeo OceanSET 2020 a maggio 2020.

Il prototipo di più recente sperimentazione è il Pewec – Pendulum Wave Energy Converter, progetto congiunto di ENEA e del Politecnico di Torino.

Questo sistema low-cost di produzione di energia dal mare risulta particolarmente interessante per le tante piccole isole italiane non autosufficienti energeticamente, dove la fornitura di elettricità è garantita da costose e inquinanti centrali a gasolio.

Il nuovo sistema galleggiante, simile a uno scafo di forma semicircolare da posizionare in mare aperto, è in grado di produrre energia elettrica sfruttando l’oscillazione per effetto delle onde.

Il dispositivo da 525 kW sarà lungo 15 metri, largo 23 e alto 7,5 per un peso comprensivo di zavorra di oltre 1.000 tonnellate.

Il team di ricercatori sta studiando l’adozione di materiali a basso costo e l’integrazione di pannelli fotovoltaici: ciò garantirà al dispositivo una maggiore capacità competitiva rispetto alle altre tecnologie rinnovabili più mature.

Il moto ondoso è causato dall’azione di pressione e attrito esercitata dal vento: l’altezza delle onde dipende infatti dall’intensità del vento, dalla sua durata e dall’estensione della superficie marina che ne ha subito l’azione.

La lunghezza d’onda è la distanza tra due creste o due avvallamenti successivi: quando si avvicina alla costa, diminuisce sempre di più, fin quando lo spessore dell’acqua diventa minore della sua metà e si fa sentire l’attrito del fondo.

Il fondale frena l’onda: le orbite circolari di superficie delle particelle d’acqua si deformano in ellissi che diventano sempre più schiacciate. La base rallenta rispetto alla cresta, che procede con velocità invariata fin quando, superato il limite di stabilità, si rovescia e precipita.

L’impiego degli impianti Pewec potrebbe contribuire a contrastare il fenomeno dell’erosione ambientale. Nel nostro Paese si contano più di 50 isole minori con una popolazione media di circa 2.500 abitanti, un consumo medio pro-capite di 6 kWh/g e un costo dell’energia molto elevato.

Una decina di questi dispositivi potrebbero produrre energia elettrica per un paese di 3.000 abitanti, contribuendo in modo significativo a contrastare i fenomeni di inquinamento e di erosione attraverso la riduzione dell’energia delle onde che si infrangono sulla costa, senza impattare in maniera significativa su flora e fauna marine.

Energia marina: come funzionano le centrali mareomotrici

Le centrali mareomotrici sono in grado di sfruttare l’alternarsi delle maree attraverso turbine reversibili, soprattutto nelle zone del pianeta in cui i dislivelli tra bassa e alta marea sono estremamente elevati.

Durante l’alta marea, l’acqua defluisce verso un bacino di accumulo di alcuni chilometri quadrati, passa attraverso una serie di condotti e fa girare delle turbine collegate a generatori. Durante la bassa marea, defluisce verso il mare aperto mettendo nuovamente in rotazione le turbine.

Un esempio di centrale mareomotrice si trova in Francia, sull’estuario del ­fiume Rance in Bretagna, entrata in funzione nel 2010. I tre anni impiegati per la costruzione della centrale hanno però compromesso i normali cicli di marea e devastato l’ecosistema di La Rance, uccidendo quasi tutta la flora e fauna marina; solo recentemente si è notata una ripresa del capitale naturale del luogo.

Nonostante il tragico danno che avrebbe dovuto disincentivare la costruzione di tali impianti, negli ultimi dieci anni ulteriori installazioni sono in fase di sviluppo in diversi luoghi del pianeta, tra cui Corea del Sud, Regno Unito e Cina.

Energia marina: come funzionano i sistemi a turbina e dove sono in Italia

I sistemi a turbina orizzontale e/o verticale sfruttano invece le correnti: la velocità della corrente fa girare il rotore della turbina che a sua volta è collegato ad un generatore elettrico.

Le turbine ad asse orizzontale sono più adatte alle correnti marine costanti, come quelle presenti nel Mediterraneo, le turbine ad asse verticale alle correnti di marea, che cambiano direzione di circa 180° più volte nell’arco della giornata.

L’acqua ha una maggiore densità rispetto all’aria: a parità di potenza e con lo stesso procedimento, questo consente di costruire turbine subacquee molto più piccole di quelle eoliche.

Ad oggi, esistono pochissime turbine subacquee effettivamente in funzione, perlopiù studi su prototipi.

Si segnalano inoltre i cosiddetti dispositivi ad effetto Venturi: una condotta sommersa, che riduce la sua sezione e convoglia il flusso della corrente marina, aumentandone la velocità. Il flusso d’acqua passa attraverso una turbina installata al suo interno, oppure la differenza di pressione generata dal sistema attiva una turbina ad aria fuori della condotta.

Il Mediterraneo è un bacino quasi chiuso, con scarso sviluppo di correnti, ma dotato di un numero limitato di siti con un notevole potenziale energetico. In Italia, le tecnologie arrivate alla fase di sperimentazione con prototipi di grandi dimensioni sono due: KOBOLD, nello Stretto di Messina, e GEM, nella laguna veneta.

KOBOLD, installata nello Stretto di Messina nel 2001, è una turbina marina ad asse verticale, con pale diritte e parzialmente libere di oscillare. È stata sviluppata dalla società Ponte di Archimede S.p.A., proprietaria del brevetto internazionale, in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Industriale – Sezione Aerospaziale dell’Università “Federico II” di Napoli. La turbina, connessa alla rete elettrica nazionale per molti anni, di recente è stata disattivata.

Il prototipo è stato esportato nel sud-est asiatico, per un progetto con la Indonesian Walinusa Energy Corporation, nell’ambito di un cofinanziamento da parte dell’UNIDO (United Nations Industrial Development Organization), un’agenzia dell’ONU per la promozione dello sviluppo nei paesi ad economia emergente. Il progetto prevede la messa in opera di turbine da 120-150 kW per alimentare comunità più remote.

Il prototipo GEM, l’aquilone del mare, è invece un sistema di conversione dell’energia delle correnti marine che utilizza due turbine intubate ad asse orizzontale, montate ai lati di una struttura di supporto immersa ad una predefi­nita distanza dal pelo libero dell’acqua.

Il sistema è stato sviluppato a partire dal 2005 in seguito ad un progetto di ricerca in collaborazione con l’ing. Nicola Morrone, autore del brevetto, insieme al prof. Domenico Coiro, dell’università degli studi di Napoli “Federico II”.

Un prototipo di capacità produttiva di 200 kW è stato provato in mare nella laguna veneta nell’ambito di un progetto regionale ma, ad oggi, non esiste uno studio specifi­co di calcolo delle emissioni di CO2/MWh prodotto dal sistema GEM.

Esistono delle stime su tecnologie del tutto simili che sfruttano, come il GEM, le correnti di marea per la produzione di energia elettrica.

Da tali studi si evince che, durante il Life Cycle Assessment[1], si producono da un minimo di 18 ad un massimo di 35 kgCO2/MWh. Confrontando le emissioni medie di CO2 /MWh della tecnologia GEM con quelle che si produrrebbero utilizzando una fonte energetica non rinnovabile come il petrolio, ne risulta un risparmio di circa 315 kg CO2/ MWh.

Energia marina: l’impatto ambientale e gli ostacoli allo sviluppo delle turbine

Occorre intraprendere studi più approfonditi sulla valutazione di impatto ambientale della tecnologia sulla fauna e sulla flora dell’ecosistema marino.

Ad oggi, le strutture non sembrano provocare danni alle attività umane (industria della pesca, trasporti, turismo) ma l’ancoraggio sul fondale marino deve tener conto dell’eventuale impatto sulle specie vegetali.

Inoltre, risulta necessaria l’installazione di opportuni dissuasori che prevengano il possibile urto della fauna marina con le macchine.

Eventuali impatti di emissioni elettromagnetiche sono ridotti dall’utilizzo di una opportuna schermatura.

Discorso a parte merita il rumore sottomarino che la messa in esercizio delle turbine può provocare e che creerebbe problemi ad alcune specie marine, come i cetacei, che utilizzano i suoni per comunicare.

La scarsa conoscenza degli impatti ambientali e l’incertezza sulla corretta applicazione della normativa ambientale possono ulteriormente prolungare i processi di autorizzazione degli impianti.

Ma gli impedimenti maggiori allo sviluppo di queste tecnologie sono i costi elevati e il difficile accesso ai finanziamenti.

La dimostrazione dei dispositivi in mare è rischiosa e le imprese coinvolte spesso non hanno le risorse necessarie per installare i propri prototipi: ciò si traduce in ritardi nello sviluppo tecnologico e nella dimostrazione di affidabilità della tecnologia.

Mancano poi la disponibilità di navi specializzate per la manutenzione e l’installazione delle strutture e una rete potenziata di trasporto dell’energia dal mare alla terraferma.

Energia marina: i principali benefici indiretti e la sinergia con l’eolico offshore

Le tecnologie per lo sfruttamento delle correnti marine possono influire positivamente su settori non specifi­catamente energetici: industria manifatturiera/produzione (costruzioni navali, lavorazioni meccaniche, apparecchiature elettriche/elettroniche), edilizia civile (scavo e posa in opera di cavi per l’allaccio alla rete di terra), sociale (autosostentamento delle Amministrazioni di piccole isole), distribuzione commerciale, telecomunicazioni.

Aspetti di particolare importanza in regioni insulari come la Sardegna e la Sicilia, con ricadute positive in termini occupazionali e di crescita dell’economia locale in tutte le aree rilevanti per la filiera di produzione, installazione e impiego dei dispositivi in mare.

Di particolare attenzione è la possibile sinergia con l’energia eolica offshore, con cui la tecnologia condivide elementi di sviluppo tecnologico (ad esempio i componenti), le infrastrutture, la catena di approvvigionamento e le politiche di incentivazione nonché autorizzative.

L’energia oceanica e l’energia eolica offshore, utilizzando comuni piattaforme o sistemi ibridi di correnti di marea/eolico, possono quindi offrire utili possibilità di co-locazione di tecnologie.

La condivisione dei processi, delle infrastrutture, degli approvvigionamenti possono essere di grande benefi­cio per la futura espansione non solo dei dispositivi che sfruttano l’energia oceanica ma anche di tutti gli altri settori ad essa connessi.

Le tecnologie sul potenziale termico-chimico delle masse d’acqua

Le tecnologie più di avanguardia sfruttano invece il potenziale termico o chimico delle masse d’acqua.

Nel primo caso, si utilizza l’energia termica che si genera dalla differenza di temperatura tra la superficie e le profondità oceaniche. Questa differenza di temperatura tra l’acqua più profonda, più fredda, e l’acqua superficiale, più calda, viene utilizzata per alimentare un motore a energia termica e produrre così elettricità.

Maggiore è il differenziale di temperatura, maggiore è l’efficienza del motore termico: di conseguenza, questa tecnologia è ritenuta più efficace ai tropici, dove è più alto il differenziale.

OTEC – Ocean Thermal Energy Conversion ha il potenziale per produrre energia da 10 a 100 volte più efficiente dell’energia delle onde.

I due principali impedimenti all’impiego di questa tecnologia sono: i costi molto elevati per la costruzione e la manutenzione della piattaforma e il fatto che una struttura stazionaria di superficie sia considerata un’isola artificiale.

Di conseguenza, la posizione esatta della piattaforma influisce sullo status giuridico, ai sensi della convenzione delle Nazioni Unite sul trattato sul diritto del mare (UNCLOS).

Le tecnologie che sfruttano il potenziale chimico si basano invece sull’osmosi tra le membrane permeoselettive che separano l’acqua dolce da quella marina. Il sistema è completamente sostenibile e ha come unico prodotto di scarto l’acqua salmastra.

Per adesso però anche questa tecnologia risulta poco applicabile, poiché produce piccolissime quantità di energia: per generare 25 MWh di elettricità (in grado di alimentare circa 30.000 famiglie) sarebbero necessari addirittura 5 milioni di metri quadrati di membrana.

Diversi Paesi stanno tuttavia concentrando le proprie ricerche su questo tema, dal momento che l’energia osmotica, oltre ad essere sostenibile dal punto di vista ecologico, risulta molto più affidabile delle altre fonti rinnovabili: è infatti costantemente disponibile in tutte le stagioni e in qualsiasi condizione climatica.

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Bibliografia

Di Stefano D., 2022, “Come funziona il Pewec, prototipo italiano per sfruttare l’energia delle onde”, La Repubblica, 3 febbraio, testo accessibile al sito, www.repubblica.it/green-and-blue/2022/02/03/news/energia_onde_mare_marea-336025194

Salvatore F., Sannino G., Carillo A., Peviani M., Serri L., 2021, “Energia dalle correnti marine”, testo accessibile al sito: pdc.mite.gov.it/sites/default/files/progetti/energia_dalle_ correnti_marine.pdf EnergoClub, 2021,

“Energia dal mare”, 2021, testo accessibile al sito www.energoclub.org/page/energia-dal-mare

“Energia Marina: Cos’è, Come Funziona e Come si Produce”, 2021, www. testo accessibile al sito: www.scienzaverde.it/energia-marina/

“Energia dal mare in Italia e UE, tra prototipi e investimenti”, 2020, Rinnovabili.it testo accessibile al sito https://www.rinnovabili.it/energia/moto-marino/energia-dal-mare-italia/+&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=it

Note

  1. Il LCA è una metodologia analitica e sistematica che valuta l’impronta ambientale di un prodotto o di un servizio lungo il suo intero ciclo di vita. Tiene quindi conto del trasporto, della costruzione, dell’installazione, della gestione, della manutenzione, della dismissione e del riciclaggio della macchina

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