Nel silenzio più assordante abbiamo perso le prime e fondamentali battaglie sul clima.
Per 12 mesi consecutivi la terra è stata più calda di 1,5° (ciao ciao accordi di Parigi) ma soprattutto ed è molto più grave, abbiamo superato le 425ppm di CO2, che è purtroppo uno dei primi grossi punti di non ritorno.
Con questo livello di CO2 azzerando le emissioni oggi, siamo già proiettati nel range +2,5/4°C che vuol dire innalzamento del livello dei mari di una quindicina di metri e distruzione di un 35% degli ecosistemi. L’unico fatto certo è che nel tentare di salvare il pianeta nei prossimi 40 anni bruceremo più idrocarburi e carbone che nella storia dell’umanità. Cosa sta succedendo per la sola componente energia è il rebus che cerchiamo di affrontare in questo articolo.
La Ue, il più grande laboratorio al mondo di politiche energetiche
Oggi la UE rappresenta il più grande laboratorio in scala continentale al mondo di politiche energetiche. Con una quantità di dati su campioni così significativi, così granulari, con scenari così diversi che in teoria permette già oggi di avere informazioni utili sulle politiche da intraprendere.
Facciamo ordine. Gli Stati membri e la commissione hanno messo sul piatto risorse senza precedenti che però si sono tradotte (come tradizione in Europa) in 27 politiche ambientali divergenti ed in concorrenza tra loro. Con 27 politiche energetiche.
La frammentazione delle politiche energetiche europee
Possiamo però dividere in 4 gruppi:
Gli antinuclearisti
Gli antinuclearisti, guidati dalla Germania. Germania che per anni ha provato con sui think tank a convincere il mondo intero che il nucleare fosse il male assoluto. Guarda caso la fonte di riferimento del suo competitor vicino francese. Forte di gas pagato a prezzi ancora oggi ignoti all’amica Russia. Che, mentre investiva sulle rinnovabili, in realtà ha basato il grosso della riduzione di emissioni con il passaggio da centrali a carbone a gas.
I nuclearisti
I nuclearisti guidati dalla Francia, al cui interno la stessa Francia si vede come la centrale elettrica d’Europa con il conseguente peso geopolitico. Attrattore di imprese energivore ed esportatore di surplus elettrico. Cosa che si scontra con gli intessi dei vicini.
I “non-urgentisti”
I paesi che della transizione energetica non ne vedono l’urgenza vedi Polonia. Che sostengono che per raggiungere gli standard economici centroeuropei devono poter ancora bruciare carbone.
Gli indecisi
Gli indecisi, l’Italia, che applicano politiche energetiche simil tedesche, vorrebbero avere il nucleare come la Francia ma non ci riescono e devono ancora dotarsi di un piano strategico chiaro.
Le mancate promesse delle rinnovabili
Facciamo un poco di algebra e partiamo dal primo Gruppo. Che potrebbe intitolarsi anche “Le mancate promesse delle rinnovabili”
In un anno di sono 8760 ore che naturalmente con livelli diversi di assorbimento devono essere coperti dai sistemi elettrici nazionali.
L’eolico nel nord Europa molto spannometricamente produce per circa 3000 ore all’anno, il fotovoltaico in Italia tra le 1400 e le 1700 ore.
Le rinnovabili in Italia
Se guardiamo ancora oggi le rinnovabili in Italia, nonostante gli investimenti in eolico e fotovoltaico significativi degli ultimi anni la metà della loro produzione deriva da 2 vecchie fonti rinnovabili storiche: geotermico ed idroelettrico.
Dietro continui proclami dal tono: “la produzione di rinnovabili supera la domanda”, “record per le rinnovabili” “le rinnovabili hanno raggiunto un prezzo negativo” I dati ci mostrano uno soluzione di difficile gestione.
Il costo delle politiche energetiche tedesche
Oggi la Germania oggi paga la bolletta energetica più salata d’Europa con performance sull’abbattimento delle emissioni più dovuto al calo della produzione industriale che agli effetti benefici delle rinnovabili. Ha investito 350 miliardi di euro in rinnovabili una cifra che è pari al doppio di quanto investito in Francia sul nucleare.
A dirlo è Agora Energiewende, secondo cui la prima economia europea ha prodotto 673 milioni di tonnellate di CO2 nell’ultimo anno, 73 milioni di tonnellate in meno rispetto al 2022 e il 46% in meno rispetto al 1990. Era dagli anni ’50 che i valori non erano così bassi, decisamente inferiori persino all’obiettivo che il governo si era posto di restare entro i 722 milioni di tonnellate. A contribuire alle buone performance energetiche il calo dell’11% delle emissioni dell’industria, vedi deindustrializzazione, ed il collo del carbone a livelli antecedenti agli anni 60 che però sono stati in gran parte sostituiti con il gas.
Rinnovabili e prezzi dell’energia in Germania
Perché la Germania si è infilata in un vicolo molto pericoloso per le finanze pubbliche lo vediamo da un esempio. Nel mese di maggio in Germania i prezzi dell’energia elettrica sono stati negativi tra il 9 e il 16 maggio. Questo significa che i produttori di elettricità hanno dovuto pagare per immettere la loro energia sulla rete, invece di ricevere un compenso. La causa di questo fenomeno è stata l’eccesso di produzione da fonti rinnovabili, soprattutto eolico e solare. Questi otto giorni di prezzi negativi sono costati allo Stato federale tedesco circa un miliardo di euro, in quanto il governo ha l’obbligo di acquistare l’energia prodotta dalle rinnovabili, altrimenti nessuno investirebbe, a un prezzo fisso, indipendentemente dal mercato. Questo meccanismo, chiamato Einspeisevergütung, è stato introdotto per incentivare lo sviluppo delle fonti verdi. Per avere un metro, con 5 miliardi di euro circa un mese e mezzo di prezzi negativi la Germania potrebbe finanziare la costruzione di una centrale nucleare, che garantirebbe una fornitura stabile e a basse emissioni di elettricità per almeno 50 anni.
In secondo luogo, nonostante l’abbondanza di energia eolica e solare, le emissioni di CO2 per la produzione di elettricità in Germania non sono state affatto basse in quei giorni. Per tutti e otto i giorni, le emissioni sono state superiori a 220 grammi di CO2 per kWh, 5 volte più di quelle francesi, che si basano principalmente sul nucleare.
Il motivo è che le fonti rinnovabili sono intermittenti e variabili, e richiedono quindi l’integrazione di altre fonti più flessibili e affidabili, come il gas naturale, il carbone o il lignite, che sono però altamente inquinanti.
Il problema è che la sola capacità solare totale della Germania ha raggiunto 81,7 GW alla fine del 2023, superando di quasi 30 GW la domanda media di 52,2 GW. Sommando l’eolico si superano i 120 GW superiore all’assorbimento di picco che è poco più di 80 GW. Quindi già oggi durante le ore di picco delle rinnovabili la Germania superano di gran lunga il suo consumo. Ogni kw aggiuntivo da un pezzo non è in grado di togliere un watt dalle centrali termiche. E come avere acqua quando piove, non costa nulla ma ogni litro aggiuntivo se non lo accumuli finisce a valle senza beneficio.
Il dilemma dell’idrogeno verde
La risposta data dal governo ad oggi è: si tratta di una soluzione temporanea in quanto in futuro grazie all’idrogeno verde, ottenuto dall’elettrolisi dell’acqua, avremo la possibilità di accumulo delle rinnovabili. Vediamo se è vero.
Le ore in cui hai eccesso di produzione rinnovabile sono poche, l’idea di fare impianti che lavorano poche ore e sempre stato costoso ed inefficiente. Facciamo sempre un poco di algebra ipersemplificando, mi scuso in anticipo. Se abbiamo un eccesso di produzione durante 500 ore. Per usare queste 500 ore per coprire I fabbisogni di 1Kw durante 7000 dovremmo accumulare durante le 500 ore 7000kwh, abbiamo bisogno di una Potenza di elettrolizzazione di 14 kw . Ma attenzione parliamo di un processo quello dell’energia elettrica ottenuta da idrogeno verde a sua volta ottenuto dall’acqua che ha un’efficienza del 30% scarso.
L’efficienza e la fattibilità dell’idrogeno
Quindi per accumulare l’energia necessaria in quelle 500 ore avremmo bisogno di una Potenza di 45kw per avere una potenza disponibile di un solo 1kw durante le restanti 7000 ore.
Nella realtà i conti sono un poco più favorevoli ma serve per capire che avremo capex molto poco utilizzati e molto sovradimensionati. Un poco di conti li ha fatti quest’anno il governo olandese con uno studio molto dettagliato con il contributo di da aziende sviluppatrici, tra cui Shell, Uniper, BP, Orsted, RWE, Vattenfall ed Engie. Ad oggi, il costo livellato di produzione dell’idrogeno Verde in Olanda sarebbe di circa 13,7 €/kg contro ad esempio 1,5€kg dell’idrogeno ottenuto dal gas metano tramite lo steam reforming. Olanda che ha la fortuna di un eolico da 3000 ore all’anno.
Il ruolo delle lobby del gas
Con un kg di idrogeno in una pila a combustibile (il sistema più efficiente) otteniamo in rete circa 14 kwh, quindi senza neanche considerare I capex abbiamo costi ad un ordine di grandezza di distanza da quanto l’elettricità e competitiva. Perché allora si parla molto di Idrogeno? Perché le lobby del gas sono il suo principale sponsor, per 3 motivi.
- Ad oggi il 99% dell’idrogeno in circolazione si ottiene tramite steam refoarmig dal gas naturale, venduto dagli stessi, ad un decimo dei costi dell’idrogeno verde.
- L’idea che in futuro I tubi stesi, al costo di decine di miliardi, per portare il gas domani possano servire a trasportare l’idrogeno permette, banalmente, di non svalutare gli asset.
- Permette di continuare ad investire, con tanto di bollini ESG, nel gas e nella posa di nuovi tubi, nuove turbine, nuove centrali spacciandoli per investimenti green tanto domani potrebbero servire per l’idrogeno green.
Il pragmatismo cinese e il nucleare
L’idrogeno ad oggi sembra credibile solo per le industrie con processi hard-to-abate, e l’idea di utilizzarlo per produrre elettricità non è credibile, sia per i livelli di inefficienza, sia per perché è un vettore energetico tutt’altro che semplice da gestire. Il pragmatismo cinese in questo caso ci viene in aiuto. Con I reattori VHTR sarà possibile produrre idrogeno direttamente da processi termici nel nucleare, il cui output e 3 volte quello termico, esistono già dei prototipi (ad esempio quelli di Shidao Bay in Cina), sono pensati per decarbonizzare proprio I processi che oggi non sono e non potranno essere elettrici.
La supremazia energetica della Francia
Il secondo grande laboratorio è la Francia. La Francia già oggi produce l’energia elettrica più verde tra i paesi industrializzati, circa 60g/kwh con una copertura da nucleare stabilmente sopra il 70%, in questo momento sta giocando una partita che sembra essere più di supremazia geopolitica che solamente energetica. Infatti, grazie alle sue politiche aggressive sul nucleare si candida da un lato ad essere il fornitore della sicurezza energetica europea, e quindi avere perso politico corrispondente, dall’altro ad essere l’attrattore delle imprese energivore europee.
Gli investimenti francesi nel nucleare
Gli investimenti annunciati in tal senso cubano già decine di miliardi ed hanno tutti come comune unico denominatore, energia a prezzi bassi e la sicurezza energetica. Acciaio Arcelor Mittal, datacenter Microsoft ed Amazon, fertilizzanti FertigHy e molti altri. Già lo scorso anno il governo ha confermato di avviare la realizzazione entro il 2026 di 9,9 GW di nuova potenza con 6 reattori EPR, più altri 13 GW dopo quella data. Totale 14 reattori in più rispetto agli attuali, che funzioneranno per più di 8700 ore in un anno. Totale 174 TWh di energia nucleare in più in all’anno. Pari da soli a circa il 60% del fabbisogno energetico italiano ad esempio.
Il costo e l’affidabilità del nucleare
Sulla rischiosità nel nucleare ci sono molte opinioni contrastanti ma I fatti vogliono che escludiamo le tecnologie degli anni 60 il livello di affidabilità dell’energia nucleare e invidiabile ed i costi, escluso il caso disastroso di Olkiluoto con i sui 11 miliardi, vede il prezzo medio mondiale degli attuali 54 reattori in realizzazione sta sui 5 miliardi, con tempi di realizzazione 5-7 anni.
La resistenza dei paesi dell’Est Europa
Il terzo Gruppo è quello dell’est Europa capeggiato da Polonia che con I suoi 690 g CO2eq/kWh fa impallidire la Cina. Vedremo nei prossimi mesi se il cambio di colore politico farà cambiare il verso alla politica energetica. Ma di fatto il ragionamento semplice è: l’Europa da sola non è significative nelle emissioni globali. I livelli di PIL pro-capite dell’est Europa non sono quelli dell’Europa centro occidentale. Dobbiamo avere una sicurezza energetica e far crescere l’economia, l’unica fonte economica e locale che abbiamo è il carbone. Quindi Europa dacci I soldi per qualche investimento di transizione ma non ti aspettare grandi risultati visto che il gas dai russi non lo possiamo comprare e le rinnovabili non le possiamo iper sovvenzionare.
L’Italia: una politica energetica confusa
Il quarto gruppo vede l’Italia giocare una partita solitaria e confusa. Nel periodo 2009-2022 abbiamo erogato fonte Arera e GSE 72 miliardi di euro come contributi dalle nostre bollette (componente tariffaria Asos) a fronte di questo contributo abbiamo ricevuto 241 TWh. Impianti questi hanno una vita media su una trentina di anni.
Nello stesso periodo, la stessa energia poteva essere fornita da una sola centrale da circa 2 GW nucleare, lavorando al 90%. Nel frattempo, negli ultimi 5 anni abbiamo autorizzato la costruzione di 48 centrali a gas che raccontiamo che un giorno andranno ad idrogeno.
Le scelte energetiche italiane
Storicamente siamo il paese più dipendente dall’estero per la le forniture energetiche, non faremo il nucleare e non abbiamo gli spazi fiscali della Germania per agevolare le rinnovabili. Per cui abbiamo deciso di far pagare questi contributi solo in bolletta ai consumatori.
Con quanto abbiamo già speso per le rinnovabili avremmo potuto istallare 14 centrali nucleari da 1,4 GW, con disponibilità di energia esattamente 9 volte superiore a quella attuale, risolvendo gran parte dei problemi energetici in Italia, ed avendo costi per KWh come la vicina Francia.
L’inadeguatezza del mercato energetico europeo
Ultima nota. Il mercato europeo dell’energia, come in parte quello californiano, mostrano l’inadeguatezza del mercato dell’energia attuale e il quasi fanatismo del mercato libero come fonte di efficienza, semplicemente non funziona, ad oggi non riesce a dare sicurezza energetica e geostrategica. Di fatto nel mese di giugno ci siamo trovati ovunque con prezzi dell’energia negativi, con costi per i produttori coperti dal pubblico e vantaggi per gli utenti finali marginali se non nulli.
La CECA la comunità economica del carbone e dell’acciaio, embrione dell’unione europea, fu fondata nel 1951 e la successiva EURATOM del 1957 la comunità europea dell’energia atomica con lo scopo di integrare le economie europee, affrontare tematiche energetiche e di materiali con un’ottica geostrategica e gestire I fenomeni.
L’Europa delle bande rivali
Oggi l’Europa sembra essere quella delle bande rivali, di una rivalità Franco- Tedesca ai massimi, al netto delle conferenze stampa. Con una serie di piccole rendite da feudo che impedisce di fare un salto serio verso l’integrazione dei mercati dell’energia. Di creare un mercato unico dell’energia non se ne parla, con framework di regole comuni, best practice implementate da tutti ed affrontare quella che è una delle grandi sfide europee, decarbonizzare assicurando allo stesso tempo sicurezza energetica. Invece l’approccio sembra essere solo quello dell regolamentazione e dell’aiuto di stato con la prospettiva molto concreta che gli obbiettivi di neutralità climatica per il 2050 non verranno raggiunti. Nonostante il green deal europeo, il Fit to 55 etc. ad oggi il maggiore contributo alla decarbonizzazione lo sta dando la deindustrializzazione.