Il mercato delle proteine alternative, a livello globale, registra investimenti governativi pari a un miliardo di dollari nella carne coltivata e nuovi metodi di fermentazione. Riguarda polli (da non uccidere) cresciuti in bioreattori, hamburger vegetali e alimenti frutto di un metodo di conservazione degli alimenti molto antico e radicato in molte culture.
Ma in Italia la carne coltivata è ostaggio della demagogia. Sarebbe dunque una nuova occasione persa per l’Italia non salire su questo treno, rischiando di assistere all’ennesima fuga di ricercatori, “un grande classico”, sottolinea Marco Cattaneo, direttore de Le Scienze, “in cui abbiamo una notevolissima esperienza in materia, avendo fatto del nostro meglio per non avere una ricerca all’avanguardia”. Ecco le le due nuove tecniche per simulare la carne.
Un’occasione che l’Italia non può perdere
Nel caso della carne coltivata “c’è un classico dell’assurdo delle politiche nazionali, per una serie di ragioni: come si fa ad affermare che esistono pericoli per la salute quando in realtà, prima della messa sul mercato di qualsiasi prodotto, viene sottoposto a lunghe e accurate verifiche della sperimentazione; ma il rischio è di fare con la carne coltivata la stessa fine degli Ogm, dove si vietano ricerca e produzione in Italia, ma poi importiamo i prodotti, appena ammessi dalle autorità europee, comprando dagli altri senza produrli e fare Pil”.
La carne coltivata
Il mercato della carne coltivata, originata in vitro dalle cellule staminali in laboratorio, e dei vari sostituti di origine vegetale, è destinato a valere 1,1 trilioni di dollari entro il 2050 (contro gli 897,5 miliardi di dollari dell’industria della carne nel 2022), secondo il Good Food Institute. Si stimano 9,8 milioni di posti di lavoro nel settore. Il mercato delle proteine alternative ha superato la doglia del miliardo di investimenti, ma, per raggiungere un’economia di scala, i finanziamenti devono salire a quota 10.1 miliardi di dollari nel complesso.
Una fabbrica su larga scala costa circa 60 milioni di dollari. Nel 2022 si contavano 156 aziende di carne coltivata, ma l’industria dell’agrifood cellulare necessita di bioreattori, terreno di coltura, cellule e impalcature.
Anche questa volta l’Italia rischia di perdere il treno: “Il suicidio di un Paese che vuole mantenere rendite di posizione (gli allevatori tradizionali, ndr)”, mette in guardia Cattaneo, “ma non riesce a immaginare il progresso attirando capitali, premettendo che la storia dell’umanità è una storia di progressi e non c’è alcuna accezione – né positiva nè negativa – in questo termina, dal momento che il progtresso è solo il cambiamento delle nostre abitudini. E auto-costringersi a mantenere la tradizione è inquitante perché poi ci superano tutti, ma ci lamentiamo se il Pil ristagna, l’innovazione manca e non c’è competitività”.
Inoltre “il divieto preventivo italiano”, mette in evidenza il direttore de Le Scienze, “è dunque privo di senso. Prima di prendere decisioni, in genere, si dovrebbe anche avere come riferimento la comunità scientifica. E questo è un problema politico nazionale, bipartisan. In realtà la comunità scientifica viene tirata in ballo solo raramente, e solo consultando persone specifiche che si sa già che sostengono una certa tesi a sostegno della propria fazione politica. Invece servirebbero tavoli di persone competenti su diversi punti di vista, al fine di conoscere i pro e contro di ogni tema scientifico, senza pregiudizi e senza essere proni ai diktat di redite di posizione (come Coldiretti, la primissima a opporsi agli Ogm e ora alla carne coltivata)”.
“Il Paese invece compete se è capace ad andare dietro all’innovazione”, conclude Marco Cattaneo, “perché non saremo noi a fermarla, tanto più che l’Italia dovrebbe usare l’innovazione per rafforzare il suo sistema agroalimentare, basato sulla trasformazione e lavorazione di materie prime, da esportare. Mussolini perse la battaglia del grano cent’anni fa, la forza del nostro agroalimentare è l’export di pasta e di cibi, in un Paese con una sola grande pianura dove coltivare le commodities e andrebbe fatto con il minor impatto possibile e con le rendite più alte possibili. Serve razionalità”. Metodo scientifico, non bias cognitivi e fake news.
Fermentazione e sicurezza alimentare
Gustosi e noti per i loro benefici per la salute, kimchi, kombucha e kefir provengono da vari angoli del mondo. E derivano tutti dalla fermentazione.
La fermentazione ne prolunga la durata di conservazione, conferendo a questi alimenti un profilo di sapore unico, migliorandone al contempo il valore nutrizionale.
Ora, questo processo accompagna e favorisce la sicurezza alimentare. Infatti trasforma gli scarti alimentari, altrimenti non commestibili, in una fonte alimentare sana e nutriente, come le proteine alternative. In uno scenario in cui cresce la popolazione (siamo 8 miliardi e viaggiamo verso i 10,9 miliardi nel 2100, secondo l’Onu) mentre sono in via di esaurimento le risorse, la fermentazione è sugli scudi come metodo sostenibile per sfamare più bocche e rafforzare la sicurezza alimentare globale. In pandemia abbiamo avuto un assaggio delle paure legate all’interruzione delle filiere alimentari, e dunque alle difficoltà di soddisfare il fabbisogno energetico di cui l’organismo umano ha necessità per sopravvivere e vivere, nelle opportune condizioni igieniche. La siccità ha dimostrato come siano sempre più insostenibili i grandi allevamenti intensivi, dove il consumo d’acqua è enorme.
Poiché la fermentazione sfrutta un insieme di microrganismi come batteri e funghi per incrementare la biodisponibilità dei nutrienti e la digeribilità delle proteine, questo processo rappresenta un’alternativa a molte tecniche comuni di produzione di alimenti e ingredienti. Sicuramente un’innovazione per offrire un’alternativa alla carne coltivata.
I tre tipi di fermentazione: un’alternativa alla carne coltivata
Esistono tre categorie di fermentazione da utilizzare per ottenere proteine alternative: la fermentazione tradizionale, la fermentazione da biomassa e la fermentazione di precisione.
La fermentazione tradizionale utilizza microrganismi vivi per alterare il sapore e la consistenza e migliorare il profilo proteico degli alimenti. La fermentazione da biomassa utilizza microrganismi a crescita rapida e ad alto contenuto proteico per generare biomassa proteica in bioreattori. Il tempo necessario per la crescita di questi microrganismi può essere di una manciata di ore, invece la produzione di carne convenzionale richiede tempi molto più lunghi. Nella fermentazione di precisione, la produzione di ingredienti funzionali specifici avviene ad opera di microrganismi con geni modificati attraverso varie tecniche di ingegneria genetica come CRISPR per trasformarli in “fabbriche di cellule“.
La fermentazione può utilizzare due tecniche diverse: quella allo stato solido e la fermentazione sommersa. La fermentazione allo stato solido consuma molta meno acqua rispetto alla fermentazione sommersa. La prima ha un costo operativo e un fabbisogno energetico inferiori, oltre a essere meno esposta alla contaminazione. D’altra parte, la fermentazione sommersa ha un ciclo di produzione più breve e consente un migliore monitoraggio dei parametri di processo, il che rende il metodo più adatto e coerente per l’applicazione su larga scala.
In linea con il piano “30 by 30” di Singapore, che prevede di produrre localmente il 30% del fabbisogno nutrizionale della città-stato entro il 2030, e con la crescente consapevolezza dei consumatori per i prodotti alimentari più sani, la fermentazione potrebbe catalizzare una rivoluzione su come produrre e consumare cibo.
“Anche la carne coltivata avrebbe diversi aspetti positivi: ancora mancano dati solidi sulla decarbonizzazione e sulle emissioni, ma sappiamo che gli allevamenti bovini sono grandi consumatori di risorse, di acqua e del territorio”, sottolinea Marco Cattaneo: “Oggi quasi la metà delle terre emerse è occupata o da agricoltura per l’uomo o per nutrire gli animali da allevamenti o da pascoli. Tutto ciò ha un impatto impressionante su ecosistemi e biodiversità”.
Aumentare l’attrattività dei cibi: la lezione di Singapore
La soia, alimento di base nella maggior parte dei Paesi asiatici, svolge un ruolo importante nelle diete asiatiche ed è l’ingrediente principale di molti piatti deliziosi, dalla zuppa di fagioli al tofu saltato in padella. La lavorazione della soia produce anche l’okara, un sottoprodotto spesso trascurato.
A Singapore, ogni giorno si producono più di 30 tonnellate di okara, che vengono scartate come rifiuti alimentari o utilizzate come mangime per animali. Pur essendo ricco di sostanze nutritive, contiene un’elevata quantità di fibre indigeribili ed è sgradevole al palato, il che lo rende poco popolare sulle tavole dei consumatori.
Una tecnica di fermentazione economicamente vantaggiosa modifica la composizione fibrosa dell’okara preservandone i nutrienti. Di conseguenza, questo ingrediente funzionale di origine vegetale, derivato dagli scarti della soia, può essere incorporato in altri prodotti alimentari come il pane e il formaggio di soia per migliorarne il contenuto nutrizionale e di fibre, permettendo di soddisfare il palato dei consumatori.
Uno dei tratti distintivi degli alimenti fermentati è la promozione di un microbioma intestinale più sano e diversificato, in grado di migliorare le difese contro le malattie. I ricercatori di Singapore hanno anche introdotto una bevanda probiotica senza latticini con proprietà bioattive, ideale per chi è intollerante al lattosio ma vuole godere dei benefici di un intestino più sano. Durante il processo di fermentazione, le materie prime di origine vegetale rilasciano composti bioattivi, fornendo alti livelli di probiotici efficaci che hanno dimostrato di sopravvivere a una conservazione prolungata.
Trasformare gli scarti in cibo
Secondo i report, circa un terzo del cibo viene sprecato nel passaggio dalla fattoria alla tavola, invece di sfamare oltre un miliardo di persone affamate ogni anno. Infatti la ricerca delle proteine alternative ha fondamenta etiche, ma risponde anche a esigenze economiche e geopolitiche: stabilizzare i prezzi, troppo esposti all’inflazione e frenare tensioni e pressioni di natura geopolitica, come Israele e Singapore dove l’agricoltura deve resistere a guerre, cambiamenti climatici e messe al bando o guerre dei dazi. Singapore ha per esempio iniziato a investire in questo campo dopo lo stop della Malesia all’esportazione di polli vivi. Lo Stato insulare, disposto su 58 isole, punta alla propria sovranità alimentare, producendo sul proprio suolo il 30% del proprio cibo, mentre oggi importa il 90% degli alimenti consumati.
Per affrontare lo spreco alimentare, i ricercatori di Singapore hanno sviluppato un metodo efficiente e sostenibile che consiste nella conversione dei rifiuti agricoli in cibo commestibile.
Ricchi di cellulosa, i rifiuti agroalimentari vengono immessi nel sistema di fermentazione della biomassa, come materia prima per la rapida crescita di microrganismi che sfornano proteine unicellulari ad alto valore nutrizionale. Ricchi di proteine, grassi, carboidrati e alcuni aminoacidi essenziali, questi prodotti possono costituire i mattoni di proteine alternative, ideali per il consumo umano o animale.
L’upcycling degli scarti agricoli non solo crea proteine a valore aggiunto, ma risolve anche una miriade di sfide poste da vari flussi di rifiuti industriali, ottimizzando così il percorso virtuoso verso un’economia circolare nei settori coinvolti.
Le applicazioni della fermentazione
Oltre a creare alimenti che abbracciano un ampio spettro nutrizionale, la fermentazione serve anche a produrre ingredienti specifici con uno scopo preciso. Per esempio, la fermentazione di precisione basata sui funghi permette la produzione di coloranti alimentari sostenibili di nuova generazione. Il colorante che ne deriva ha una capacità di colorare più potente ed efficace rispetto ai coloranti naturali, che lo rende più conveniente dal momento che basta una dosaggio a concentrazione inferiore per ottenere una colorazione simile. Il processo ha anche un’inferiore impronta di carbonio, poiché l’uso di acqua e terra è minore rispetto ai metodi tradizionali di sintesi dei coloranti alimentari.
Oltre ad aggiungere colori accattivanti agli alimenti, una startup con sede in Israele sfrutta la fermentazione di precisione per produrre proteine che possono agire come efficaci agenti antimicotici e antimicrobici ecologici per alimenti e bevande facilmente deteriorabili. Biodegradabili, non tossiche e facilmente digeribili, le proteine sono molto versatili: possono assumere la consistenza di polvere o liquido, vantando così un’ampia gamma di applicazioni. Infatti spaziano dalla conservazione di alternative di carne a base vegetale al rivestimento di colture post-raccolta e al mantenimento della freschezza di frutta e verdura per un periodo più lungo.
Ecologica ed economica, la fermentazione è vantaggiosa per il benessere umano, l’ambiente e la sicurezza alimentare, tutti elementi essenziali per creare un futuro più sostenibile. Gli innovatori del settore sono molto impegnati e svolgono un ruolo attivo nella sostenibilità alimentare, proprio sfruttando il potere poliedrico della fermentazione.
Conclusioni
Dalla carne coltivata alle nuove tipologie di fermentazione, si moltiplicano le tecniche per simulare la carne ed offrire all’umanità proteine alternative per sfamare tutti. Si tratta di un grande mercato, oltre ad essere una grande questione etica, permettere a ogni essere umano la possibilità di vivere degnamente. E dare una risposta concreta al tema della fame nel mondo.
Per l’Italia la carne coltivata rappresenta una nuova finestra di opportunità da cogliere per entrare in nuovi mercati, essere competitivi nelle filiere dell’agroalimentare e aumentare il Pil, puntando su un capitale umano competente e innovativo.
“Invece di difendere la carne italiana (definita falsamente ‘non cangerona’, in contrapposizione ai dati dell’Oms)”, sottolinea Marco Cattaneo, “spesso le sigle (che fanno crociate contro le novità scientifiche, ndr) sono incoerenti e fanno disinformazione scientifica, arrivando a nascondere aspetti rilevanti (come le sostanze potenzialmente cancerogene delle carni rosse, ndr) e raccontando le cose in maniera non razionale, come se il cittadino fosse un bambino di cinque anni. Ma questo atteggiamento fa del male ai consumatori (come nel racconto della farina dei grilli), scatena solo la difesa di piccole realtà come avviene coi tassisti e i balneari, o posizioni arcaiche, mentre il mondo là fuori va avanti senza di noi“.
“Da ‘onnivoro consapevole’, che cioè conosce i problemi relativi agli allevamenti intensivi odierni (senza arrivare alle mostruosità dei tredici piani di allevamenti cinesi di maiali) e alla necessità di nutrire 8 miliardi di persone sul pianeta che tendono a consumare più carne (e non meno)”, conclude Marco Cattaneo, “essendo economie in via di sviluppo come lo eravamo noi agli albori del boom economico degli anni ’60, esiste un aspetto etico rilevante. Mi piacerebbe rinunciare alla carne (e lo faccio ogni qualvolta è possibile), ma se ci fosse un’opzione che non comporta sofferenza animale ed altre questioni etiche, per un ‘onnivoro incerto’ la carne coltivata sarebbe la soluzione ideale anche in merito ai dubbi sul consumo di carne”. Serve più razionalità, più fiducia nel metodo scientifico.