Comunque sia, si parla sempre e ancora di città.
Smart-city, creative-city, slow-city non sono altro che l’idea di città, sempre in cammino; città che consapevolmente ha deciso di muoversi, di andare incontro a un nuovi orizzonti accorgendosi che i modelli tradizionali non sono idonei per governare le metamorfosi in corso. Metamorfosi e non semplicemente trasformazione: il termine rimanda a un organismo vivente, biologico. Non pura materia, ma organismo vivo.
Perché le città come tutti gli organismi si trasformano, subiscono metamorfosi. Un destino ineluttabile in quanto le città non possono restare indietro rispetto a ciò che contengono: una vita sempre più competente, sofisticata, che esprime talenti e formula di continuo nuove domande e che non pensa di non avere bisogno di intermediari per esprimersi.
Le città si costruiscono e modificano intorno alla vita che le animano. Come un tempo resta la città il luogo dove le persone si costruiscono la propria felicità.
Una felicità possibile solo se in connessione con il tutto, solo se intrecciata, collegata, connessa al tutto che gli fa da sfondo e che nello stesso tempo lo compone. Il progetto più importante oggi per ciascuno di noi è il progetto della felicità. Questa crisi ha scardinato le basi per raggiungerla e offre nuove visioni.
In questo periodo, in Emilia Romagna, a distanza di pochi chilometri e di pochi giorni ci sono stati due eventi importanti intorno al futuro delle città: dal 19 al 22 ottobre è stata ospitata tra Reggio Emilia e Novellara una serie di incontri in occasione del festival delle SlowCity.
Il circuito ha il compito di “promuovere e diffondere la cultura del buon vivere attraverso la ricerca, la sperimentazione e l’applicazione di soluzioni per l’organizzazione della città”.
Di segno apparentemente opposto l’incontro sul tema delle SmartCity alla fiera di Bologna, avvenuto negli ultimi tre giorni di ottobre dove le diverse città pilota studiano le “molteplici modalità di comunicazione locale e globale, l’innesto di moderne tecnologie nell’agire quotidiano, la presenza di una strategia condivisa e partecipata”. La metamorfosi riconosciuta all’interno dell’incontro delle SmartCity riguarda quei territori dove il più semplice agglomerato di cose e persone si sta trasformando in “smart community efficienti e socialmente innovative”, dove ogni euro investito in tecnologie mira a incidere direttamente sulla qualità della vita dei cittadini”.
Dal dopoguerra a oggi, le città sono cresciute, si sono costruite e si sono prodotte come corpi imperfetti, inarticolati più interessati a premiare la trasformazione edilizia che lo sviluppo di una qualità dell’abitare, la più umana delle qualità. La trasformazione è stata governata con il metodo del “piano regolatore”- oggi sostituito dal “piani strutturali comunali”- uno strumento che l’obiettivo del controllo e della programmazione dell’organizzazione della trasformazione fisica del territorio.
Il piano regolatore ha per anni ragionato con la logica della zonizzazione individuando aree di riposo e rigenerazione e aree di produzione. Ma oggi la città vive diversamente i suoi spazi. Gli spazi di produzione e del riposo sono confusi. La città ha altri bisogni. Piuttosto ora ha bisogno di darsi un sistema nervoso capace di entrare in contatto con chi vive e usa la città: un sistema nervoso di natura tecnologica che si identifica con la città intesa come l’apparato radicale di un organismo: cervello, apparato digerente e riproduttivo. Non basta più essere vivi. Occorre sentire di esserlo e averne la prova attraverso lo sguardo altrui. Sentire e essere sentiti: la base di qualsiasi felicità. Questo è il reale obiettivo che deve darsi oggi una città.
Il sistema nervoso del quale ha bisogno è un reticolo attraverso il quale trasmettere energia e informazione ma che anche attraverso la sua messa in esercizio elabora pensiero, sviluppa una consapevolezza di se. La città ha sempre più una dimensione “responsive”. Dà corpo alla sempre più spesso citata intelligenza collettiva che si già si esprime con le reti sociali in rete modificando gli immaginari che influenzano gli usi stessi della città. Le nuove tecnologie hanno permesso agli abitanti della città di trasformare se non ancora la parte fisica, sicuramente le immagini che la città offre di sé attraverso l’uso delle tecnologie partecipative: le app come foursquare o altre meno conosciute ma che permettono di collegare l’esperienza ai luoghi della città.
Che siano Smart o che siano Slow le città ricercano le loro reti e le nuove governance che gli permettono non tanto di crescere quanto di accompagnare le metamorfosi in corso.
La domanda più interessante non è quanto sale oggi la città, non è osservare l’altezza dei nuovi grattacieli, ma come nell’insieme chi amministra un territorio sia capace di accompagnare le metamorfosi della vita che si sviluppa al suo interno, alla base e nell’intorno di quei grattacieli. Per avere traccia di questo basta un qualsiasi strumento di connessione e la capacità di leggere i fenomeni.
Un aspetto interessante delle nuove tecnologie è che hanno riattivato memorie, abitudini consuetudini e in alcuni casi valorizzato gli scarti del passato (in questo senso vedi Instagram).
Solo pochi anni fa immaginando la potenza delle nuove tecnologie, del telelavoro, della comunicazione diffusa e della video-presenza sembrava si stesse abbandonando per sempre la forma città. Si parlava di dissoluzione della forma urbana. Invece più che mai resta al centro dei nostri pensieri e non solo. Se si osserva il valore di mercato degli immobili il riscontro è immediato. I differenti stati di connessione possibili altro non fanno che porre al centro l’interesse per la città e ancora di più tematizza dove e come noi abitiamo il nostro mondo e come lo usiamo. La presunta virtualizzazione della nostra vita invece di minare il nostro rapporto con il luogo dove abitiamo lo esalta all’interno di momenti di profonda rivelazione.
Smart City, Slow City, Città creative, città dei talenti e delle competenze: tutte formule che costruiscono intorno alla città cappotti concettuali ma che alla fine altro non fanno che riconoscere continuamente un aspetto fisico del nostro vivere che ha carattere urbano: la città.
Le nuove tecnologie che usiamo altro non fanno che potenziare questa adesione, questa aderenza.
Quello che possiamo osservare invece è come siamo cambiato il modo di abitarle. La gente ha cominciato a usarle in modo molto differente.
Le nuove tecnologie non sono semplicemente delle opportunità per fare qualcosa di natura pragmatica. Le nuove tecnologie ci hanno mostrato dei livelli differenti del nostro stare e usare la città. Le più giovani generazioni hanno così compiuto un salto evolutivo grazie al training dato dalla tecnologia. Le ore che si passano con questi strumenti non aumentano semplicemente la nostra comunicazione, non ci offrono semplicemente un modo per aumentare le nostre facoltà. Ci portano anche fuori da noi stessi, mettendoci a contatto con gli altri. In questo senso mai come ora la città immersa nella tecnologia la viviamo all’interno di una dimensione sciamanica. Le città intelligenti è la forma che la tecnologia assume una volta che ha preso coscienza di sé. Le nostre sensibilità messe in relazione le une con le altre si comportano analogamente alle tecniche di meditazione che offrono alla nostra mente di poterci immaginare differenti. Le tecnologie fanno questo: simulano la medesima adesione a un appartenenza a un tutto.
Quello che si sta chiedendo alle città è di compiere il “salto evolutivo” che ormai si è compiuto a livello dei singoli individui, dei singoli nuclei famigliari, all’interno di molti luoghi di lavoro. Si chiede alle città di partecipare a questa visione e lo si chiede per aumentare le sue potenzialità, le sue capacità. Non è solo una questione di pura tecnologia ma un primo passo attraverso la tecnologia per scoprire che altri mondi possibili sono realmente possibili. Tutti questi modelli di città, infine, sono propedeutici a qualcosa ancora a venire.
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