Il dottor Annthok Mabiis, nell’anno 2333, ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grand Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia totale, dalla Sindrome della Noia Assoluta”, perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, con la base di copertura su un ricostruito antico bus rosso a due piani, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
Le porgeva il braccio con innamorato gesto. La madonna appoggiava le dita con delicata apprensione. L’incavo accoglieva con nobile distanza. I passi lievi sotto il colonnato. Dopo tramonto irrorato dalla luna. Tonda. Gigante. Da copione. Le statue appagate. Le ombre sbiancate. Il bus rosso a due piani si annullava. Contro il muro di pietre.
Gosteo: “Per me lei è sublime… ne sono innamorato pazzo…”
Anziab: “Non farti sentire… stupido…”
Gosteo: “Simonetta… Simonetta…” la chiamava in silenzio. Che è sempre il più loquace.
Anziab: “Ma è una fiction… è tutto inventato… è anche pasticciato… un gran pasticcio… ma, lo so, lo so… sono tre secoli che funziona…”
Gosteo: “Ma lui chi è?… chi è?”
La città era perfetta. Con l’illuminazione-riverbero-solare niente più i vecchi pali della luce. I fanali a lanterna e le fiaccole a vento riportavano al Cinquecento. Niente insegne elettriche alle botteghe. Ciascun passante vedeva la sua. Niente antenne sui tetti. Nessun manifesto o pubblicità. Non ce n’era più bisogno. Auto assenti da tempo. Moto estinte. Biciclette vietate in centro. Ciascuno si autotrasportava secondo le proprie strade. Nessuna scenografia da costruire. Nessuna realtà virtuale da inserire. Una Firenze di totale Rinascimento. Reale. D’incanto. Gli spettatori si tenevano a distanza. Gli attori si muovevano senza intralcio.
La coppia avanzava. Con bisbigli e rossori. Con risa minute. Con velati ancheggi. Con innocui dileggi. Lo stropiccio dei calzari. Le voci dalle finestre aperte. Brindavano. Cantavano. Trattavano. Insultavano. Declamavano. Russavano. Ansimavano. Spadellavano. Duellavano. Inferocivano. Amoreggiavano. Gettavano.
Dietro s’immetteva un’ombra. Felpava alle spalle. Davanti sbucava una coppia vociante. Simonetta e Giuliano camminavano lenti. Senza tormenti. Suadenti. Innocenti. Da destra s’affiancava una donna velata. Con una mano celata. Da sinistra un uomo. Tarchiato. Il gruppetto si mischiava. La strada si affollava. Il pubblico si addensava.
“È senza la cotta di maglia” sibilò il tarchiato.
Uno stiletto brandito. Simonetta piegata. Persa. I fendenti pazzi. Lo squarciavano.
Gosteo: “Chi… chi hanno accoltellato?…” balbuziava. Schizzato di sangue.
Anziab: “Giuliano… Giuliano de’ Medici…”
(140 – continua la serie. Episodio “chiuso”)
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