Neutralità climatica

Il mondo passerà all’elettrico, ecco i rischi geopolitici e sociali

La transizione energetica all’elettrico promette la liberazione dalla dipendenza fossile verso despoti e cleptocrazie oligarchiche legate al petrolio. Ma il processo presenta pro e contro. Il rischio è che si ripresenteranno gli stessi vecchi problemi

Pubblicato il 08 Apr 2022

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info

Energia eolica in mare: la sfida dell'eolico offshore

La transizione energetica permetterà al mondo, all’Europa, di liberarsi dalla dipendenza dal petrolio e dal gas, che tanti problemi geopolitici continua a causare, come dimostrato dalla guerra in Ucraina. Tutto questo oltre agli ormai ovvi vantaggi per il clima.

Tuttavia ridisegnare la geopolitica energetica è un processo complesso e difficile, in cui è elevato il rischio di generare contraccolpi sociali e perfino di ricreare lo schema di dipendenza energetica verso le autocrazie. Oltre a concentrare di nuovo enormi ricchezze in poche mani, creando nuove pericolose oligarchie.

Ma se questi sono i rischi, esistono anche opportunità da cogliere.

L’obiettivo è fare bene la transizione energetica e non replicare gli errori commessi nell’era petrolifera. Vediamo dunque come cambia la geopolitica energetica e soprattutto come risolvere le criticità della transizione ecologica.

L’odierna geopolitica dell’energia, il ruolo della Russia

Oggi la Russia fornisce il 10-25 per cento dell’export di petrolio, gas e carbone verso l’Europa (la dipendenza italiana dalla Russia è circa del 40%).

L’invasione russa dell’Ucraina rappresenta dunque uno shock per Paesi che importano tante fonti fossili da un unico Paese, oltretutto guidato da un autocrate con mire espansionistiche.

Infatti, secondo l’Economist che in questi giorni ha dedicato al tema un ampio servizio, quattro trilioni di dollari di export di idrocarburi in due decenni hanno di fatto armato l’esercito di Putin. Hanno foraggiato quelle truppe con cui sta massacrando gli ucraini, usando metodi atroci già collaudati in Cecenia (a Grozny) e in Siria (ad Homs e ad Aleppo).

Ma i guadagni provenienti dalle risorse naturali non alimentano solo terribili guerre, ma hanno generato anche un regime cleptocratico. Infatti hanno arricchito un’élite di “rent seeking”: quegli oligarchi che si sono comportati da rentier delle risorse energetiche e che alimentano le disuguaglianze sociali nel mondo.

Occorre fare bene la transizione energetica, sia dal punto di vista geopolitico che sociale, per non replicare gli errori che abbiamo commesso con i “padroni degli idrocarburi”, le autocrazie del petrolio e del gas.

Terre rare, lo sporco segreto della transizione energetica-ecologica

La decarbonizzazione rimescola le carte della geopolitica dell’energia

Gli sconvolgimenti che stiamo vivendo nei mercati delle materie prime post-pandemia, compreso il decoupling delle economie occidentali con la Russia (via sanzioni), in seguito all’invasione dell’Ucraina, mettono a soqquadro la geopolitica dell’energia.

Ciò produce dunque due conseguenze:

  • da un lato, la Russia inizia a dirottare le sue forniture energetiche fossili verso Cina ed India;
  • dall’altro, Mosca cerca di reinventarsi un ruolo strategico nella transizione energetica.

Infatti, l’Europa, che ha come obiettivo la Net neutrality dal 2050, sta attuando una transizione energetica attraverso la decarbonizzazione che ha, fra i suoi effetti più dirompenti:

  • l’abbandono della dipendenza fossile;
  • dunque, produce uno sconquasso della geopolitica dell’energia.

Ma nell’abbandonare gas e petrolio, i maggiori gas climalteranti, l’Europa, con il suo peso economico, genera innanzitutto problemi al suo maggior fornitore, la Russia, una terra che è tanto ricca di materie prime quanto lo è povera l’Eurozona (e l’Ucraina ha i maggiori giacimenti di gas non ancora sfruttati).

La decarbonizzazione, inoltre, costringe la Russia ad intensificare l’attività mineraria legata alle tecnologie della Green economy che servono per attuare la transizione ecologica.

Le coordinate geopolitiche del decoupling con la Russia

Partiamo dagli effetti delle sanzioni, la cacciata della Russia dal sistema bancario Swift. “L’Eni versa a Gazprom Bank i corrispettivi nella solita valuta – euro o dollaro -, mentre Gazprom Bank li cambia in rubli e li mette su un conto aperto, formalmente intestato ad Eni, ma dedicato unicamente ai pagamenti verso Gazprom. Dopodiché, su istruzioni irrevocabili, versa questi rubli su un conto di Gazprom”, che quindi, attraverso un gioco delle tre carte, può dire di aver ricevuto formalmente il pagamento del gas in rubli, aiutando così il tasso di cambio a reagire alle sanzioni”, commenta Massimo Nicolazzi, 35 anni di esperienza nel settore degli idrocarburi (con Agip/Eni e Lukoil), avendo sviluppato e gestito progetti energetici in Europa Centrale e Orientale, Kazakistan, Libia e altri paesi del Mediterraneo, anche autore di “L’elogio del petrolio” e di articoli per la rivista italiana di geopolitica, Limes.

Ma come cambia la geopolitica dell’energia? “Forse è presto per dirlo, ma quello che si è messo in moto, in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, è fondamentalmente un tentativo – via sanzioni economiche – di fare un recinto intorno alla Russia ed escluderla da quella che una volta chiamavamo globalizzazione dei mercati: un decoupling con la Russia.

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, si sarebbero potute verificare tre reazioni:

  • scendere in campo e andare in guerra, come dopo l’invasione di Hitler della Polonia nel ’39;
  • reagire puramente sul piano economico senza toccare le armi;
  • lasciar fare e basta.

Noi europei abbiamo preso, con qualche esitazione, la seconda strada. Con esitazione, perché ci siamo subito resi conto che fare a meno della fornitura di gas dall’indomani, era socialmente insostenibile per noi, da ogni punto di vista.

Quindi, stiamo cercando di arrivarci progressivamente. Inoltre, dobbiamo sapere che abbiamo chiuso il recinto da una parte sola, perché verso la Cina il recinto è apertissimo”, sottolinea Nicolazzi.

Il nemico della Russia è la decarbonizzazione

Guardando alle condizioni della Russia di oggi, è una media potenza che rischia di diventare un Paese in via di in-viluppo, invece che in via di sviluppo, perché non riesce ad emanciparsi da un modello di rendita di esportazione di risorse. Un modello di rentier”, continua il professor Nicolazzi.

Questo significa che l’invasione dell’Ucraina può avere un perché, ma l’attrazione verso la Cina è insostituibile: il nemico della Russia sono i processi di decarbonizzazione. Invece, la transizione energetica cinese ha tempi molto diversi dai nostri, dunque la Russia ha ancora 15 anni di rendita in più, grazie ai ritardi di Cina” (ed India).

“Noi europei continuiamo a dire ai russi che non vediamo loro di non essere più loro clienti, ma questo strano marketing ha degli effetti. L’anno scorso i russi hanno immesso nei tubi 170 miliardi di metri cubi di gas, in Cina ne hanno inviati solo 16.

Verso la Cina i russi hanno in agenda un gasdotto che andrà a regime in due/tre anni, mentre del secondo devono ancora posare la prima pietra. Ma, se li combinerà insieme, Mosca esporterà in Cina 70 miliardi di metri cubi di gas verso il 2032 (contro i 170 miliardi che esporta da noi, in cambio del pagamento di un miliardo di euro al giorno).

La sostituzione del cliente europeo col cliente cinese richiede tempi più lunghi che medio-lunghi.

Se l’Occidente, in qualche modo, vuole riportare la Russia nella propria orbita o almeno diventare un partner attrattivo in un processo di trasformazione del sistema produttivo russo (non solo energivoro), dobbiamo pensare se vogliamo investire per fare ciò”.

Il caso Italia

Inoltre, in tema di geopolitica dell’energia, “l’Italia ha ancora strutture per la ri-gassificazione. La ridondanza significa fare magazzino e dunque la ridondanza costa e questi costi finiscono nelle bollette dei cittadini”.

“Il nostro Paese deve sopperire ai problemi di approvvigionamento di gas, più che realizzare nuovi rigassificatori: prima di costruirne di nuovi, dobbiamo essere sicuri di avere il gas da metterci dentro.

Inoltre, qualche rigassificatore in più non farà male, anzi, in termini di ridondanza, servirà. Però ora dobbiamo dare la priorità all’approvvigionamento energetico”.

Infatti, secondo l’Ispi, abbiamo solo dieci mesi di scorte ad ogni approvvigionamento. Per affrontare il prossimo inverno, il momento di agire è adesso, non solo cambiando la geopolitica energetica, ma anche raddoppiando le rinnovabili e differenziando con tutte le fonti energetiche possibili. L’obiettivo è quello di non rischiare il razionamento, già paventato dal presidente del Consiglio Mario Draghi, in caso di war economy.

La transizione energetica non può prescindere dalla Russia

Per ridisegnare la geopolitica dell’energia, la via maestra è la transizione energetica.

Secondo Leonardo Becchetti, ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, bisogna effettuare:

  • “semplificazioni nell’installazione degli impianti;
  • agevolazioni con credito d’imposta per le aziende”;
  • mettere “i pannelli sui capannoni” delle aziende “per salvare la propria posizione competitiva”;
  • adottare “un sistema incentivante pari o superiore a quello esistente per la nascita di comunità energetiche”.

Tuttavia la strada sembra costellata di problematiche ulteriori. “Per fare la transizione energetica serve una serie di minerali che per definizione sono fossili”, sottolinea Mario Seminerio, operatore della finanza, giornalista pubblicista e autore del blog e Podcast su Phastidio.net, “Nichel, litio, palladio, tutti elementi chimici di cui la Russia è ricca. Ma è ricca anche dell’Uranio richiesto dal nucleare, mentre l’Europa dipenderà dai Paesi africani.

Dunque, resta un contesto di fondo in cui noi siamo convinti di dirigerci verso un futuro meraviglioso fatto di cieli azzurri e campi verdi (la transizione energetica, ndr), dove però la componente di dipendenza estrattiva, dunque non rinnovabile, rimane al momento ineliminabile, anche se si spera che possa essere minore rispetto al passato, ma al momento è impossibile fare a meno di litio, nichel e terre rare, oltre all’uso elevato del rame”, già protagonista delle Tlc, ma ora anche dell’eolico e delle grid energetiche”. Insomma, gli elementi chimici sono tutti componenti non rinnovabili.

Rischiamo di generare nuove forme di dipendenza, dal momento che sul suolo europeo tutti questi elementi chimici mancano. E l’economia circolare non sarà in grado di surrogare l’approvvigionamento diretto”.

Il ruolo ambiguo della finanza

“La finanza si è impegnata molto nel fare del marketing con la tassonomia ESG“, continua Seminerio, “ma sembra solo una strategia di marketing perfino imbarazzante e forse un boomerang per le potenze finanziarie che l’hanno promossa. E soprattutto ogni tassonomia rischia di inserire elementi di rigidità: i produttori della difesa, per non perdere il finanziamento delle banche (pericolo che non rischiavano), hanno chiesto l’etichetta ESG nell’industria delle armi a difesa (che poi sono anche di offesa), un aneddoto che dà la misura del ‘primum vivere, deinde philosophari’, rischia di segare dalle fondamenta i discorsi di marketing che fa dell’ESG un modo per mettere in portafoglio clienti col bollino verde”.

“La finanza è molto liquida e si adatta, nel bene ma spesso anche nel male: il fatto che molti operatori e grandi case finanziarie stiano spingendo in questa direzione, lo vedo come un tentativo di rifarsi una verginità, qualcosa di non particolarmente genuino. Il rischio di green-washing si sta trasformando in realtà. La transizione energetica non è mai indolore e non lo sarà: ci saranno gli sconfitti, in determinati settori, e la riconversione di tutti i lavoratori tramite formazione permanente è una fiaba“. Secondo Seminerio, serve un discorso di verità, per non fomentare illusioni pericolose.

Con la Russia dovremo fare comunque i conti

Insomma, Seminerio ci avverte che dovremmo fare tutti un bagno di “realismo”, ponendo seria “attenzione ai facili entusiasmi che hanno dietro potenti interessi commerciali”.

Infatti “la transizione energetica non sarà affatto semplice, ma costosissima e perfino paradossale (come dimostra “il ritorno del carbone”). Infine, “una Russia che è demograficamente morente, pur con un carico atomico che la rende pericolosa, resta benedetta dal punto di vista delle risorse.

Dunque, con la Russia dovremo fare comunque i conti: anche se imponessimo loro la carbon tax, la pagherebbero i poveri, ma la Russia delenda est è impossibile perché rimarrà un partner imprescindibile per tutte le risorse minerarie della transizione ecologica che ha nel suo ricchissimo sottosuolo. Del resto, la Russia è un Paese intrinsecamente autocratico” dai tempi degli zar, passando per lo stalinismo e poi Putin, e “non è possibile prescindere da un Paese che si estende per undici fusi orari”.

Inoltre, “la Russia è un Paese destinato a collassare, a quel punto la Siberia orientale potrebbe diventare parte della Cina, mentre le repubbliche caucasiche potrebbero trasformarsi in emirati islamisti con forte spinta demografica.

Invece la ‘Russia bianca’, quella più vicina a noi, si trova in una traiettoria di lungo termine di estinzione, cosa che la rende più pericolosa nella logica dei blocchi.

Infatti, la logica dei blocchi non significa solo puntare missili balistici o ipersonici intercontinentali, ma anche la Cina che fa incetta di risorse minerali e agricole, sottraendole al resto del mondo”, conclude Seminerio.

In questo modo, Putin ci tiene in ostaggio su due fronti: con il ricatto del Nord Africa che potrebbe ridursi alla fame a causa della crisi del grano e del mais (creando nuove ondate migratorie nel Mediterraneo, con tutte le conseguenze socio-politiche che già conosciamo); e con il ricatto del gas (fra rincaro delle bollette e costosa e complessa transizione energetica da portare a termine).

Le soluzioni al caos nel mercato energetico

L’indipendenza energetica dalla Russia e l’addio ai despoti potrà avvenire dal 2030:

  • in parte attingendo a nuovi approvvigionamenti energetici;
  • grazie alla transizione energetica mediante rinnovabili (al raddoppio);
  • tramite il ritorno all’energia nucleare (la Francia punta all’indipendenza energetica totale, con le sei nuove centrali nucleari in costruzione);
  • la Gran Bretagna ha annunciato una nuova generazione di reattori lo scorso 21 marzo.

Ma intanto, mentre l’Occidente cerca di fare la transizione energetica anche per liberarsi dalle dipendenze da Paesi autocratici, osserviamo fenomeni contrapposti.

Incoraggiato dall’Occidente, Saudi Aramco, il più grande gigante petrolifero a livello globale, sta alzando gli investimenti a 40-50 miliardi di dollari all’anno.

L’amministrazione Biden ha inoltre bussato le porte del dittatore del Venezuela come Nicolás Maduro, per ottenere più petrolio da un Paese che nel 2005 forniva il 4% delle forniture globali.

Vogliamo abbandonare la dipendenza dalle dittature, ma intanto otteniamo l’eterogenesi dei fini, legandoci a nuovi autocrati con cui poi in futuro dovremo trattare.

Le difficoltà da superare

La spesa nelle dieci principali risorse naturali (dal rame al litio) calerà dal 5.8% del Pil al 3.4% entro il 2040. Le autocrazie mettono le mani su metà di questa spesa, ma, secondo alcune simulazioni dell’Economist, la percentuale salirebbe al 75%.

Inoltre, secondo le stime, Opec più Russia passeranno dal 45% al 57% di market share entro il 2040.

Infine, l’incremento del 64% nel prezzo dei metalli usati nella transizione verde sta gettando alcune aziende minerarie nel caos.

La nuova geopolitica energetica apre nuove opportunità

Gli ostacoli sulla transizione energetica non mancano. Tuttavia si stanno intravedendo anche nuove opportunità. Per esempio, è proprio dai minatori che giungono nuove prospettive, grazie ad accordi dal basso, per rendere le miniere protagoniste della transizione energetica e liberare l’Occidente dal giogo di mantenere i despoti nel mondo.

A fare da apripista sono il Perù e il Cile, anche con il ritorno della nazionalizzazione.

Il motivo è semplice: le sanzioni alla Russia spalancano le porte a nuove opportunità proprio ai minatori di miniere che in passato sono finite fuori mercato.

Infatti, con l’aumento dei prezzi dei minerali che servono alla transizione verde, le miniere, che venivano abbandonate ante-guerra, tornano a fruttare.

Inoltre, la nazionalizzazione delle materie prime torna a riempire i programmi politici di sinistra. Infatti, per tagliare le emissioni di CO2, bisogna estrarre ciò che serve per agevolare ad ogni modo la transizione ecologica tramite fotovoltaico ed eolico, tecnologie che hanno fame di metalli e terre rare del sottosuolo.

Intanto la Tesla, che sfrutta i minerali per realizzare le sue auto elettriche, sta ridisegnando le batterie.

Inoltre, con un accordo di fornitura con la Nuova Caledonia, nell’Oceano Pacifico, ottiene l’accesso a un decimo delle riserve mondiali di Nichel.

Infine, Barrick, azienda canadese, decide di investire in una miniera di rame in Pakistan. Tuttavia, anche l’estrazione nom è un pranzo di gala. Infatti, oggi si usa 16 volte più energia per estrarre la stessa quantità di rame che si ricavava cento anni fa.

Nuove opportunità giungono dall’energia eolica che arriverà a valere un trilione di dollari all’anno dal 2040. Inoltre l’Australia, una democrazia occidentale, diventerà fra i maggiori beneficiari del passaggio alle rinnovabili, grazie ai parchi fotovoltaici eccetera.

Dunque la nuoca geopolitica green crea nuove potenze. Entro il 2040 il club delle “superpotenze delle green-commodity ” è destinata a valere 1,2 trilioni di dollari di fatturato annuo dai metalli che servano alla transizione energetica.

Quali prospettive per il mondo

Le autocrazie petrolifere sono proliferate grazie alle economie energivore occidentali, i cui il market share degli idrocarburi nella fornitura energetica è salito dal 26% del 1940 al 70% nel 1970.

Nelle autocrazie petrolifere i villaggi dei beduini hanno lasciato posto a città moderne, dominate da oligarchie, che hanno sostituito le barche da pesca con lussuosi yacht.

In questi emirati, la guerra in Ucraina e il decoupling con la Russia, dunque, sono visti solo come un’opportunità per il rincaro del prezzo di gas e petrolio.

Ma il caro energia morde i consumi in Europa e, già in questo primo semestre, porterà l’Italia in recessione tecnica. Infatti, la bolletta energetica delle imprese passerà da 8 a 68 miliardi, aumentando di oltre otto volte, secondo recenti report di Confindustria.

In questo scenario, l’aumento impressionante dell’inflazione, causato dall’aumento del prezzo delle materie prime (sia agricole che energetiche), potrebbe far riesplodere il populismo in Europa. Il rischio è una nuova ondata di destabilizzazione nelle nostre democrazie, già messe a dura prova da due anni di pandemia.

Infatti, la guerra per il grano e il mais (Ucraina e Russia detengono il 40% del grano mondiale: Mosca potrebbe dirottare l’esportazioni alimentari verso altri Paesi), potrebbe scatenare un ritorno massiccio del fenomeno migratorio, unito all’incremento della propaganda associato ai migranti economici.

Anche negli USA lo scenario è fosco. Gli Stati Uniti andranno alle elezioni di mid-term, con il prezzo del petrolio a Los Angeles oltre i 6 dollari a gallone, per la prima volta nella storia americana. Intanto il diesel potrebbe perfino mancare in Europa. Germania e Italia, infatti, si stanno preparando a razionare il gas naturale nel corso del prossimo inverno. Perfino il Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ha già messo in guardia: la prospettiva di un’economia di guerra non è peregrina.

La geopolitica dell’energia sta cambiando sotto ai nostri occhi, ma dobbiamo evitare che si riproducano schemi obsoleti di cui ci stiamo spogliando perché sono destabilizzanti. Sono a rischio la pace nel mondo, l’ordine mondiale, la giustizia sociale, un aumento delle disuguaglianze, e la stabilità finanziaria.

Dunque è urgente costruire il giusto mix energetico. Solo così la nuova Europa che sta emergendo dalla doppia crisi (prima quella pandemica, poi quella energetica) potrà trovare il suo posto nel mondo: all’insegna della sovranità energetica europea e della neutralità climatica.

Gli obiettivi reali

Occorre però ridisegnare prima una geopolitica dell’energia con la decarbonizzazione. Grazie alle rinnovabili, potremo abbandonare il risiko globale dove oggi dominano despoti e autocrazie, anche se la transizione può comportare rischi.

L’obiettivo non è dunque l’autosufficienza (un miraggio per l’Europa), bensì la differenziazione delle fonti energetiche. Inoltre, bisogna costruire nuovi modelli di contratto per un’equa ripartizione dei ricavi, creando nuovi fondi sovrani e rendersi indipendenti da Putin e dagli altri autocrati che avvelenano le democrazia con la propaganda e ostacolano la pace nel mondo.

Non sarà una passeggiata, come ci hanno raccontato gli esperti di energia e finanza. Anzi, sarà un percorso complesso e costoso, ma ne varrà la pena. Anche per abbattere le disuguaglianze nel mondo e disinnescare i pericoli sulla strada per la pace, la diffusione della libertà e il rafforzamento delle democrazie e per approdare a una maggiore stabilità economico-finanziaria che sostenga anche le istanze sociali.

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