Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta un’opportunità straordinaria per lo sviluppo dell’economia italiana, grazie alle risorse e agli investimenti sviluppati intorno ai tre assi strategici di digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale. Per la sua piena attuazione le regioni, gli enti locali e le altre istituzioni territoriali ricoprono un ruolo fondamentale, in particolare per quanto riguarda le Missioni 1, 2, 3 e 6, una parte prevalente del PNRR in termini di risorse ed attività.
PNRR, un ruolo forte a imprese e territori per una crescita davvero inclusiva: ecco come
Per questo l’Istituto per la Competitività (I-Com), all’interno del progetto Next REG promosso insieme a Nomos e Open Gate Italia, si è voluto occupare di analizzare lo stato dell’arte dei settori interessati dagli investimenti e dalle riforme del PNRR a livello territoriale e disaggregato. I divari tra i territori (e a volte all’interno dei territori stessi), insieme agli eventuali ostacoli burocratici, sono determinanti per il rispetto dei tempi progettuali e la capacità degli investimenti di raggiungere gli impatti sperati sul sistema. Per questo è utile tracciare la cornice del contesto attuale, utile a monitorare e accompagnare l’implementazione del PNRR nei prossimi anni.
Lo studio I-Com “Il PNRR alla prova dei territori. Gli scenari di investimento in digitale, sostenibilità e salute”, presentato in occasione dell’omonimo convegno che si è tenuto a Roma lo scorso 28 marzo, si occupa di trasformazione digitale, transizione energetica e rafforzamento del Sistema Sanitario Nazionale in prospettiva regionale e con un approfondimento sul Centro Italia. Questa analisi rappresenta la prima parte di un progetto che vedrà successivi approfondimenti sul posizionamento delle regioni del Nord e del Sud d’Italia.
La trasformazione digitale italiana
Nel complesso si evince come il percorso che sta compiendo l’Italia sul fronte della digitalizzazione sia differenziato, in particolare per quanto riguarda gli aspetti relativi alle reti di telecomunicazione, al grado di interazione di cittadini e imprese con la PA, alla transizione nel settore privato e alla diffusione delle competenze. Tutti fattori abilitanti per il successo della trasformazione digitale italiana, per la quale il PNRR ha stanziato, nella Missione 1, 40,29 miliardi di euro.
Proprio nell’ottica del PNRR uno dei dati più interessanti riguarda la percentuale di civici che ricadono sotto il cappello del programma “Italia a 1 Giga” che, insieme a “Italia 5G” inciderà maggiormente sulla trasformazione dell’ecosistema delle infrastrutture di rete nazionali. Secondo le proiezioni fornite da Infratel Italia, i civici che nel 2026 saranno ancora nella soglia 30-300 Mbps, e che quindi avranno bisogno dell’intervento pubblico, saranno il 20,9% a livello nazionale. A livello territoriale, invece, la regione che nelle proiezioni presenta la maggiore percentuale di civici nel range 30-300 Mbps, e che quindi sarà la maggiore destinataria dei sussidi, è la Sardegna (52,3%) mentre quella che presenta la percentuale più bassa di civici in questa fascia è il Trentino (9,3%). Sulle reti mobili, i dati al 2021 mostrano come sia stato coperto con la rete di quinta generazione solo il 7,3% del territorio nazionale, in un contesto dove a spiccare sono l’Emilia-Romagna (14,9%) e il Lazio (14,7%). Fortunatamente, gli stessi dati mostrano come oltre il 95% del territorio verrà coperto dagli operatori entro il 2026 senza sussidi pubblici.
Quanto al livello di digitalizzazione della PA, prima importante componente della Missione 1, le differenze sono ancora rilevanti e confermano la necessità di intervenire prioritariamente in ottica di equità e garanzia della fruibilità dei servizi da parte dei cittadini. Il maggior numero di servizi pubblici completamente digitalizzati si concentra attualmente in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana, mentre Abruzzo, Basilicata, Sardegna e Molise sono le Regioni con il minor numero di servizi della PA che si concludono online.
Ma, soprattutto, si osserva in generale un pesante ritardo degli enti pubblici italiani rispetto ad altri indicatori: è il caso dell’utilizzo di servizi di cloud computing, e di tecnologie digitali e applicazioni mobili per favorire l’interazione con gli utenti. In ultimo, ma non meno importante, sono le competenze il fattore abilitante principale per quanto riguarda la trasformazione digitale della PA.
Dagli ultimi dati resi disponibili dall’Istat, si evidenzia la persistente carenza del livello di formazione digitale delle amministrazioni pubbliche: nessuna regione italiana raggiunge infatti la quota del 50% di amministrazioni che al proprio interno ha offerto corsi di formazione ai propri dipendenti.
L’analisi della performance delle regioni del Centro, a cui lo studio annette anche l’Abruzzo, permettendosi così di uscire dalla classificazione dell’Istat, si focalizza in particolare sul Piano Italia a 1 Giga, sulla connettività mobile 5G, sull’interazione tra imprese e PA e sulla diffusione delle competenze digitali, sottolineando alcuni risultati incoraggianti. Al Lazio e alla Toscana il Piano Italia a 1 Giga ha infatti assegnato due lotti specifici, rispettivamente per 242,7 e 255,6 milioni di euro. Il Lazio, questa volta insieme alle Marche ricopre posizioni ben al di sopra della media nazionale per quanto riguarda la copertura del territorio tramite il 5G, mentre la digitalizzazione della PA corre più veloce in Toscana, con 106 servizi offerti in modalità completamente digitalizzata dai propri capoluoghi di provincia. I risultati sono positivi anche per quanto riguarda l’interazione digitale tra imprese e PA e la diffusione delle competenze digitali di base presso le imprese.
La sfida della sostenibilità
Le sfide davanti alle quali sono poste le regioni italiane riguardano anche la sostenibilità e trovano riscontro nelle riforme e negli investimenti contenuti nelle Missioni 2 e 3 del PNRR. Gli ambiti capaci di fornire un quadro dello stato dell’arte su cui si innestano tali interventi sono cinque:
- la diffusione di impianti di energia rinnovabili sul territorio italiano;
- le politiche di decarbonizzazione del settore legate alla mobilità elettrica;
- le politiche e gli indicatori di efficienza energetica;
- le infrastrutture elettriche e per il gas naturale;
- la gestione dei rifiuti.
Tutti questi ambiti sono fortemente interconnessi per la loro capacità di generare esternalità positive sulla sostenibilità del sistema, spesso interagendo tra loro. Anche in questo caso esistono ancora divari nelle regioni italiane.
Sul fronte della potenza rinnovabile installata, i dati al mese di gennaio 2023 mostrano la Lombardia capofila con 9.673 MW, e la Liguria ben distante, con una capacità di soli 395 MW. È però interessante osservare un altro aspetto dello sviluppo delle rinnovabili, dato dalle richieste di connessione alla rete di nuovi impianti. Nel complesso Terna ha infatti censito 4.401 pratiche in corso per una potenza totale prevista di 303,3 GW. La maggior parte (il 60,4%) dovrebbe arrivare dall’energia eolica, mentre il restante dal solare.
A livello territoriale la regione che presenta sia il maggior numero di richieste aperte e anche la maggior potenza prevista è la Puglia, seguita dalla Sicilia. Sul fronte dei consumi finali, tema estremamente attuale alla luce della crisi internazionale ancora in corso con impatto significativo sul fronte degli approvvigionamenti, vediamo che l’Italia ha registrato una riduzione tra il 2012 e il 2019 del 5%, a fronte di un aumento del PIL del 3% circa.
Questo dato cela tuttavia una grande disomogeneità nelle performance locali, che spaziano tra contesti come la Valle d’Aosta, che ha ridotto di un quarto i propri consumi finali, e aree a variazione positiva come Campania, le Province Autonome di Trento e Bolzano, Veneto e Liguria. Allo stesso tempo i consumi residenziali hanno visto aumentare la propria incidenza, arrivando a vale il 29,7% del totale nel 2020. Sull’efficientamento residenziale è però intervenuto il Superbonus 110%, con un investimento medio in valore particolarmente elevato in Valle d’Aosta, Basilicata e Campania.
Sul fronte dei trasporti rileva ricordare come il MASE abbia messo recentemente a disposizione 713 milioni di euro del PNRR per installare entro il 2025 almeno 7.500 infrastrutture di ricarica super-rapida sulle strade extraurbane e 13.755 infrastrutture di ricarica veloci nelle città, e le regioni che ne beneficeranno in misura maggiore (Lombardia, Campania e Lazio) sono alcune di quelle che attualmente risultano più impattate dai trasporti: in Lombardia le emissioni di gas a effetto serra sono le più alte (17,7 MCO2), seguita dal Lazio (10,6 MCO2).
Rispetto alle dimensioni considerate le regioni del Centro Italia presentano un quadro in chiaroscuro e, in particolare, non si distinguono per sviluppo di impianti di energia rinnovabile (tenendo tuttavia conto di potenzialità inferiori quantomeno rispetto al Sud Italia). Inoltre, ad eccezione dell’Umbria, mostrano livelli di intensità energetica inferiori alla media nazionale. Pesanti deficit si riscontrano nell’ambito della gestione dei rifiuti, legati in particolare a carenze impiantistiche, che si ripercuotono in maggiori costi per l’utenza. Si nota infatti come le regioni del Centro e del Sud presentino in generale percentuali di smaltimento in discarica maggiori rispetto alle regioni del Nord, anche se possono notarsi alcune eccezioni: è il caso della Campania, regioni italiana in cui la percentuale di rifiuti che arrivano in discarica è minore. Tuttavia questo avviene in virtù del fatto che smaltisce fuori regione una quota considerevole dei propri rifiuti.
Gli investimenti nella salute
Tutto ciò, sebbene non sempre visibile a prima vista, è strettamente collegato al tema della salute. La salute, infatti, non è solo sanità, bensì un concetto che la contiene ed è correlato in modo inscindibile con il contesto in cui vivono i cittadini. La sostenibilità dell’ambiente, unita al fattore abilitante della digitalizzazione dei servizi per l’equità dell’accesso al Servizio Sanitario Nazionale, sono infatti determinanti per la salute e il benessere della popolazione nel lungo periodo.
La Missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si occupa proprio di Salute, e non solo di sanità, promuovendo un maggior investimento nell’assistenza territoriale, e puntando sulla digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale e della sua programmazione in ottica One Health per la presa in carico dei pazienti. Alcuni dati relativi al SSN sottolineano le differenze che negli anni si sono acuite a causa di noti colli di bottiglia nel sistema e sulle quali è oggi prioritario agire, anche alla luce delle risorse stanziate dal PNRR. In generale si nota che tra il 2015 e il 2020 sono stati chiusi 37 istituti pubblici di cura con una riduzione costante dei posti letto per 1.000 abitanti, che si osserva in ben 14 regioni. Nello stesso periodo di tempo il personale del SSN ha subito un importante taglio. È significativa l’approssimazione fornita dal numero di medici di medicina generale (MMG) e pediatri di libera scelta ogni 1.000 abitanti, due figure fondamentali per l’assistenza territoriale. In Calabria il numero pro-capite di MMG si è ridotto del 30% in cinque anni e quello dei pediatri di libera scelta del 21%. Si tratta della variazione più pesante tra le regioni italiane. Per quanto riguarda i MMG la riduzione percentuale è compresa tra il 5% e il 15% nella maggior parte delle regioni, mentre è inferiore al 5% solo in Umbria, Molise, Abruzzo, Sicilia, Puglia e Toscana.
L’unica a segnare un aumento dell’indicatore è la Provincia Autonoma di Bolzano. Contestualmente negli anni, indipendentemente dalla griglia utilizzata, l’area Distrettuale e quella della Prevenzione sono state quelle in cui un numero maggiore di regioni ha segnato un punteggio insufficiente (in più macro – aree) per quanto riguarda la garanzia nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza. Nel 2020 tutte le regioni del Centro Italia, alcune del Nord e solo la Puglia, tra le regioni del Sud, hanno registrato un punteggio superiore alla sufficienza sia nell’area Prevenzione, sia nell’area Distrettuale sia in quella Ospedaliera, mentre le restanti presentano un punteggio insufficiente (inferiore a 60) in una o più macro-aree.
Sul fronte della digitalizzazione, è interessante utilizzare come proxy l’implementazione dello strumento del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), oggi voluto come uno degli strumenti indispensabili per la raccolta sistematica dei dati dei pazienti, per l’implementazione di servizi sanitari innovativi e per lo sviluppo della connected care. La seconda fase del progetto Fascicolo Sanitario Elettronico è entrata nel vivo il 12 ottobre 2022, con la presentazione in Conferenza Stato – Regioni unificata dei risultati dei progetti pilota condotti da sei regioni (Basilicata, Campania e Piemonte per l’incremento dell’alimentazione, Emilia-Romagna, Lombardia e Puglia per la trasferibilità automatica). Per quanto riguarda l’alimentazione, in sette mesi la Basilicata è passata dal 27% dei documenti disponibili sull’FSE al 95%, la Campania dal 1,5% al 53% e il Piemonte dal 50% al 80%. Sulla portabilità interregionale, la percentuale di successo nella migrazione dei documenti tra le Regioni pilota è passata dal 14% al 93% nel periodo ottobre 2021-giugno 2022 e allo stesso tempo si è registrata una riduzione degli errori rispetto alla migrazione: questi ultimi sono passati dal 5% allo 0,60% dei documenti interessati nello stesso periodo.
Ad oggi, nonostante i dati mostrino una piena attuazione dello strumento nella maggior parte delle regioni italiane, l’indicatore di utilizzo da parte dei cittadini rileva il più alto tasso in Emilia-Romagna (81%), mentre tutte le altre regioni registrano valori inferiori al 50% o ben al di sotto. Basti pensare che in Abruzzo nessun cittadino e nessuna azienda sanitaria risulta fare uso del FSE (contro il 22% dei medici), mentre nel Lazio ne ricorrono il 38% dei cittadini, il 34% dei medici e il 35% delle aziende sanitarie. In Toscana, invece, lo utilizzano il 30% dei cittadini, il 12% dei medici e la totalità delle aziende sanitare.
In generale le regioni del Centro presentano delle ottime performance in tutte e tre le macro-aree di assistenza secondo i LEA. In evidenza la Toscana e il Lazio, malgrado anche queste due regioni abbiano subito ingenti tagli che si sono rispecchiati nella diminuzione del numero di istituti di cura, di posti letto, di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta.