Corporate Sustainability Due Diligence: la direttiva volta a promuovere un comportamento sostenibile e responsabile nelle operazioni delle aziende e lungo le loro catene del valore globali, è stata pubblicata lo scorso 5 luglio ed entro venti giorni dalla pubblicazione diverrà efficace.
Gli Stati Membri dell’Unione Europea dovranno dare attuazione alla direttiva entro il 26 luglio 2026 emanando le norme e i provvedimenti necessari. Con tale direttiva (CS3D) l’Unione Europea di fatto dà ulteriore consistenza al quadro regolatorio che trova al centro gli ESG (Enviroment, Social, Governance) per la protezione dell’ambiente e dei diritti umani.
Che cosa è la Direttiva CSDDD e a chi si applica
La direttiva si applica a tutte le imprese che hanno più di mille dipendenti e un fatturato superiore ai 450 milioni di euro. Sono previsti però tempi di adeguamento diversi: a partire dal 26 luglio 2027, per le imprese con oltre 5.000 dipendenti e un fatturato superiore ai 1.500 milioni di euro; dal 26 luglio 2028 per le imprese con più di 3.000 dipendenti e fatturato superiore ai 900 milioni di euro; dal 26 luglio 2029 tutte le altre ( i dati di rilievo saranno dedotti dal precedente esercizio finanziario). A certe condizioni, la normativa obbligherà anche le società di franchising e le società estere che generano attività nella UE.
Gli obblighi delle imprese secondo la Direttiva CSDDD
La direttiva pone alle imprese obbligate una serie di impegni e verifiche sulle filiere produttive con lo scopo di evitare che lungo le stesse siano perpetrate violazioni dell’ambiente e dei diritti umani, prevedendo la sorveglianza di organi nazionali di controllo specificamente designati e aventi poteri sanzionatori.
In particolare, le aziende dovranno identificare e valutare gli impatti negativi sui diritti umani e ambiente generati dalla propria attività, intesa non solo quale quella svolta dalle aziende stesse o dai propri gruppi di appartenenza, ma anche dai partner commerciali utilizzati nel processo produttivo.
Non solo, attraverso la valutazione delle proprie attività, le imprese dovranno cercare di prevenire i potenziali impatti negativi delle attività stesse, evitarli e quando ciò non sia immediatamente possibile mitigarli.
Ciò ovviamente comporterà una continua revisione dei processi produttivi ed anche una verifica di quello che lo stato dell’arte consente in termini di minimizzazione, considerato che i continui progressi della tecnica possono consentire nell’immediato domani, quello che non è possibile oggi. Tant’è che a tendere tale impatti negativi dovranno essere eliminati e dovranno essere anche identificati adeguati rimedi sino a quando ciò non sia possibile.
L’importanza della compliance e del whistleblowing nella CSDDD
È chiaro che un sistema tale, trova un suo pilastro nelle procedure compliance interne e nei sistemi di comunicazione (leggi anche whistleblowing) che le imprese saranno obbligate ad adottare.
A corollario di tali azioni, in coerenza con il quadro giuridico più ampio, la direttiva prevede inoltre l’obbligo per le aziende di instaurare un sistema di adeguate informazioni con i propri stakeholders (inclusi potenziali danneggiati).
Di fatto con tale direttiva si cerca di estendere la protezione dell’ambiente e dei diritti umani oltre i confini dell’Unione, imponendo l’esclusione tra i partner commerciali di coloro che agiscono in contrasto con tali precetti.
Responsabilità estesa delle aziende: impatti legali e finanziari
Da notarsi è che il quadro regolamentare poggia la sua capacità di deterrenza non solo su un sistema sanzionatorio (legato ad una percentuale del fatturato del gruppo di appartenenza della società oggetto di procedimento di contestazione) ma anche attraverso l’introduzione di una forma di responsabilità extracontrattuale obbligatoria cui andranno incontro le imprese laddove esse in maniera intenzionale o per negligenza non abbiano rispettato gli obblighi loro imposti e ciò abbia comportato un danno. Per tale forma di responsabilità la normativa prevede quali legittimati attivi a pretendere la tutela non solo le persone fisiche, ma anche quelle giuridiche.
In quali termini sarà determinata in concreto tale forma di responsabilità è un tema che credo occuperà gran parte del dibattito sulla direttiva sia in fase di provvedimenti di attuazione sia in termini di applicazione giudiziaria con effetti non facili da prevedere per le imprese, sebbene sia stato comunque escluso che siano previsti risarcimenti di carattere punitivo come spesso invece avviene dall’altra parte dell’Oceano Atlantico.
Cosa cambia per i paesi del Sud del Mondo
Sulla scia di molti entusiasmi, alcuni europei plaudono alla direttiva quale un’occasione per dare un impulso alla protezione dell’ambiente e alla protezione dei diritti umani oltre i confini europei, quasi un’opportunità per le aziende virtuose dei paesi meno sviluppati, che avranno modo di accedere così al mercato unico in condizioni di trasparenza e correttezza.
Se da un lato queste considerazioni possono essere corrette, visto che la normativa dovrebbe creare un processo di adeguamento alle migliori prassi, molti – nel Sud del Mondo – temono un effetto di esclusione dal mercato stesso, per la impossibilità di assicurare il livello di trasparenza richiesto.
È un tema che si pone spesso nelle aree grigie di applicazione dei principi.
Per averne un’idea basti pensare all’applicazione delle normative antiriciclaggio nei paesi considerati ad alto rischio: sebbene sorrette da ottime motivazioni tali norme spesso portano all’esclusione degli stati interessati e soprattutto dei loro cittadini più emarginati dalle movimentazioni finanziarie, anche quando si tratta di piccoli trasferimenti che difficilmente possono indurre a pensare che si stia riciclando denaro sporco o finanziando il terrorismo.
Le possibili ricadute della direttiva sull’economia dei paesi fragili
È così ragionevole ipotizzare che almeno nell’immediato saranno esclusi dalle filiere delle aziende interessate quei produttori che non possono assicurare un adeguato e verificabile assetto che escluda violazioni dei diritti umani e dell’ambiente al fine di evitare sanzioni a livello europeo o richieste di risarcimento dei danni. Le ricadute su economie fragili quali quelle di molti stati africani e del sud est asiatico saranno pesanti, anche in termini di occupazione e umani. Ed è questo il timore che appare nei vari contributi scritti nella rubrica Non Occidente.
Ciò non toglie che proprio queste preoccupazioni possano spingere a uno sviluppo più rispettoso di uomini e ambiente.
Tante però sono le condizioni da verificarsi.
La trasparenza richiede infatti un quadro ambientale che si costruisce negli anni e che facilmente può essere compromesso. Si pensi ad esempio alla corsa all’industrializzazione che sta compiendo l’Etiopia e al solo settore della moda: basta andare in rete per vedere i compound dove gli operai sono costretti a lavorare, le condizioni in cui sono costretti a vivere dopo il lavoro e lo stato ambientale dei fiumi usati quali discariche, mentre il governo mette al bando i sindacati e ong in un paese che non ha mai brillato per la libertà di stampa.
Le sfide dell’attuazione della Direttiva CSDDD
Se non si assicurano questi presidi (stato di diritto, libertà di stampa e liberta di organizzazione sindacale, presenza di organizzazioni non governative), è difficile pensare che sarà possibile eseguire delle adeguate verifiche volte ad assicurare il rispetto dei diritti fondamentali.
Come si orienteranno allora le scelte delle industrie che utilizzano i relativi prodotti? E quale potrà essere il livello dei controlli?
Basti pensare ai recenti fatti rilevati dalle cronache per i lavoratori della moda in Lombardia o quanto è accaduto nell’agro pontino, dove si è negato addirittura il diritto di sopravvivere, per capire che l’attuazione concreta della direttiva e delle relative legislazioni nazionali sarà una sfida dall’esito incerto al di là delle tante certificazioni di organi terzi ai quali probabilmente ci si affiderà.