A seguito delle prime risorse stanziate dal Consiglio Europeo per promuovere le energie rinnovabili, la mobilità sostenibile e la transizione digitale attraverso il Next Generation EU, la guerra in Ucraina – scatenata dall’invasione delle Federazione Russa – ha spinto l’Italia a lavorare alacremente per migliorare gli sforzi verso una transizione energetica sostenibile ma inevitabile.
Le sanzioni economiche e finanziarie che l’Occidente ha imposto contro la Russia hanno prodotto una crisi delle materie prime senza precedenti. La necessità di recidere i legami con Mosca – da cui importavamo gas a basso prezzo – ha imposto all’Italia di rivedere la propria strategia di approvvigionamento delle risorse. Diversificando le fonti di energia, aumentando la cooperazione tra i paesi dell’Unione Europea e investendo in fonti energetiche innovative. Fine ultimo: correggere l’eccessiva dipendenza del nostro Paese da un’unica potenza straniera. Con il Pnrr che prevede quasi 6 miliardi di investimenti nelle energie rinnovabili.
Tra decarbonizzazione e transizione energetica
Decarbonizzazione e transizione energetica vanno di pari passo. Senza l’una non esiste l’altra. Oltre che a livello economico e climatico, agiscono e impattano a livello strategico, politico e sociale. Per ridurre – con l’obiettivo di eliminare – le emissioni di gas a effetto serra si deve gradualmente diminuire l’uso dei combustibili fossili. Quindi, passare a fonti di energia rinnovabile.
Un ruolo determinante nel processo di decarbonizzazione dell’economia lo svolge la digitalizzazione: se da un lato essa ha un impatto importante sulle emissioni, dall’altro lato i processi digitali possono migliorare l’efficienza energetica delle fabbriche e la decarbonizzazione della filiera automotive. Inoltre, per accelerare il processo di decarbonizzazione dell’Italia, la classe politica deve investire nell’elettrificazione. In particolare, bisogna aumentare la quantità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili in modo tale da ridurre le emissioni di Co2.
Il ruolo dell’idrogeno (blu e verde)
Materia prima e vettore energetico: l’idrogeno può svolgere un ruolo molto importante nella transizione energetica dell’Italia. La combustione dell’idrogeno non emette anidride carbonica ed esso può essere utilizzato nelle celle a combustibile per generare energia elettrica. Anche se l’idrogeno non esiste allo stato puro sul nostro pianeta può essere ottenuto scindendo altre molecole come l’acqua o lo stesso gas naturale. Riconosciuto dalla Commissione Europea come uno degli elementi fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione all’anno 2050, l’idrogeno ha fatto molti passi in avanti negli ultimi anni, anche perché conosciuto non più solo agli addetti ai lavori. Un aiuto importante è arrivato dal Pnrr, che per quanto riguarda l’idrogeno ha dato una spinta significativa in numerosi progetti.
Può considerarsi un vettore pulito, una delle leve per decarbonizzare la filiera industriale e ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Su questo tema – così come su tutto il filone della transizione ecologica – bisogna però essere molto chiari. L’idrogeno non è intrinsecamente senza emissioni. In un rapporto presentato dall’Istituto Affari Internazionali (IAI) in collaborazione con Environmental Defense Fund Europe (EDFE) si mostra come l’idrogeno ha un impatto rilevante sul clima, quando viene immesso nell’atmosfera.
Nei primi 20 anni dal suo rilascio, il ruolo dell’idrogeno nel riscaldamento climatico è maggiore di quello svolto dall’anidride carbonica. L’ultimo pacchetto dell’UE in questo senso è importante perché va a definire in che misura l’idrogeno aiuterà l’Europa a raggiungere gli obiettivi climatici, riconoscendo anche i problemi che possono arrivare dall’idrogeno. Altro problema che sorge quando si parla di idrogeno riguarda i costi. L’obiettivo dei prossimi anni potrebbe essere quello di importarlo a costi competitivi attraverso pipeline dal Golfo Persico – regione dove si produce a costi bassissimi, circa un centesimo a kWh. Oppure produrlo attraverso il nucleare. Il costo potrebbe diventare quello di 3 euro al chilo nel 2030 e forse scendere negli anni successivi. È chiaro che, attraverso il nucleare, la capacità di produrre idrogeno pulito aumenta.
Cresce la domanda di energia elettrica
Dai dati pubblicati da Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, nel 2022 il consumo di energia elettrica è stato di 297 TWh. La produzione nazionale, al lordo delle perdite, è stata pari a 286 TWh, mentre le importazioni sono state pari a 9,6 TWh. Apparentemente, la dipendenza dell’Italia dagli altri paesi sembra limitata.
Il punto è che la dipendenza è legata a doppio filo al modo in cui si produce l’energia elettrica. La fonte principale da cui deriva la produzione di energia elettrica è infatti il gas naturale. Per diversi motivi. Anzitutto, esso è considerato uno dei combustibili fossili più puliti: la combustione di gas naturale per produrre energia comporta minori emissioni di quasi tutti i tipi di inquinanti atmosferici e di anidride carbonica rispetto alla combustione di carbone o prodotti petroliferi per produrre la stessa quantità di energia. Inoltre, il gas naturale è considerato più profittevole in termini economici. Anche per questo l’Italia fa molto affidamento sul gas naturale per la produzione di energia elettrica.
Nel 2022, esso contribuiva per il 48% alla produzione di energia elettrica. Mentre se si considerano altri fonti fossili come carbone e derivati del petrolio, la percentuale sale al 64%. Le fonti rinnovabili contribuiscono per il 34%; fotovoltaico ed idroelettrico per quasi il 10% ciascuno; l’eolico per il 7%, mentre i rifiuti e le biomasse per il 6%. Le fonti geotermiche svolgono un ruolo marginale. Il punto è che mentre le fonti rinnovabili sono nazionali, diverso è il caso del gas naturale. Il consumo nazionale nel 2022 è stato pari a 51 GSmc e di questi il 23% è stato utilizzato per produrre energia elettrica, mentre il resto per i consumi domestici ed industriali. La produzione nazionale si attesta a 3 GSmc: solo un 5% se rapportato ai consumi. La produzione nazionale pochi anni fa aveva raggiunto i 18 GSmc, ma il disimpegno delle aziende nella esplorazione e produzioni di gas naturale su base nazionale ha abbassato radicalmente i valori.
Come rendere l’Italia più green ed indipendente
Guerra in Ucraina e transizione energetica sono solo due elementi che spingono l’Italia verso la ricerca di una maggiore indipendenza dal punto di vista energetico. Ma non solo. Si deve tenere in considerazione anche che la domanda di energia elettrica nel nostro Paese crescerà inesorabilmente nei prossimi anni. E, quindi, la politica dovrà fare i conti con la necessità di installare nuova potenza energetica disponibile.
Se la curva dell’elettrificazione dei consumi è destinata ad aumentare, dovrà conseguentemente aumentare anche l’offerta, ovvero la produzione di energia. Due fattori in questo caso possono contribuire positivamente a migliorare la capacità dell’Italia di produzione di energia elettrica. Anzitutto, risulta inderogabile far cadere un tabù e puntare sull’energia nucleare – oltre che sulle fonti rinnovabili. L’obiettivo dell’Italia, dopo attenti studi e produzione di dossier su questo tipo di energia, dovrebbe essere quello di intraprendere un percorso pedagogico e formativo sull’enorme apporto qualitativo del nucleare al nostro Paese.
Vanno costruiti i reattori di ultima generazione, capaci di produrre energia pulitissima e in grande quantità. Certo, uno dei limiti dell’energia nucleare è che una fonte in grado di produrre una quantità sì costante di energia, ma poco modulabile. Ed è un limite che va di pari passo con quello, ad esempio, dell’energia fotovoltaica, che è poco costante e non programmabile.
Per questo motivo – nell’ottica di intraprendere un discorso pubblico necessariamente meno ideologico – va detto che l’energia derivante dalla produzione di gas naturale non può essere azzerata. Perché è l’unica fonte di energia altamente programmabile, dove Terna (la società che gestisce la rete elettrica nazionale) può decidere quanta produrne a seconda delle necessità.
Conclusioni
Nucleare, fotovoltaico e, in misura minore, gas naturale possono insieme già essere una buona base sulla quale costruire una strategia di indipendenza energetica nazionale. Ogni sforzo però può risultare vano se lo Stato non interviene su un altro problema che affligge da troppi anni questo Paese: la burocrazia. Oltre i pochi incentivi esistenti, gli operatori del settore devono affrontare anche le lungaggini e gli impedimenti burocratici che costituiscono uno dei più importanti disincentivi a investire.
Esistono tanti casi per cui, ad esempio, imprenditori vengono bloccati nella costruzione di impianti fotovoltaici – magari vicino a impianti già esistenti – per la presenza, a chilometri di distanza, di beni culturali (come chiese, castelli o monumenti) con la motivazione della tutela del paesaggio. In media, ci vogliono quattro, cinque anni per autorizzare un parco fotovoltaico in Italia, con tutti i rischi legati all’aumento dei costi. Sono lungaggini che fanno perdere dei mesi e concorrono a rallentare il processo di transizione energetica sempre più urgente. Una semplificazione burocratica risulta perciò sempre più necessaria.