Un sistema di allerta uniforme su base nazionale, con sms agli utenti, che va a sostituire i diversi sistemi utilizzati dalle diverse strutture di protezione civile.
Si tratta di It Alert, gestito dal Dipartimento nazionale della protezione civile e nato per essere usato quando i cittadini si trovano in aree a rischio o nelle situazioni che possano mettere a repentaglio la vita dell’individuo, come i fenomeni meteorologici estremi, le alluvioni e gli attacchi terroristici.
Il decreto che regola “Modalità e criteri di attivazione e gestione del servizio It- Alert sul sistema nazionale” è stato pubblicato il 19 giugno scorso.
Le novità del sistema
Il sistema, che utilizza il cell broadcast (servizio uno-a-molti di messaggistica con targeting geografico e geo-recintato) presenta importanti elementi di novità, non tanto per la tecnologia utilizzata (il cell broacast è stato dimostrato per la prima volta nel 1997 ed è disponibile dal 2G in poi), o per il suo utilizzo (già avviato in una ventina di Paesi), ma perché permette di sostituire ed uniformare i sistemi di allerta sul territorio nazionale.
Al momento, per allertare la popolazione in mancanza di uno standard uniforme sono usati modi estremamente diversificati (emittenti radio locali, social network e app) che, fondamentalmente, non possono garantire contemporaneamente i requisiti di immediatezza, geo-localizzazione e universalità dei destinatari che il cell broadcast possiede. Ovviamente, con questo sistema si apre nell’allerta al pubblico il problema che attualmente il digital divide comporta in tanti aspetti, ma ciò non toglie che il passo avanti è di estrema rilevanza.
L’adozione del protocollo CAP
L’uniformità dello strumento di allerta sul territorio nazionale, realizzato con la tecnologia più adatta, però, non è l’unico aspetto notevole che il sistema introduce. Finalmente, è stato introdotto nel sistema di protezione civile uno standard di interoperabilità per lo scambio dati. Questo dato è di natura più tecnica, ma è rilevante per elevare la qualità complessiva del sistema di risposta alle situazioni di crisi. Anche se non è possibile dilungarsi sull’importanza di adottare soluzioni interoperabili nel mondo del soccorso, è bene richiamare il fatto che il decreto, nello stabilire che i messaggi devono rispettare uno standard, ha adottato quello denominato CAP (Common Alerting Protocol), che rappresenta nell’ambito delle organizzazioni di soccorso e di protezione civile il protocollo più diffuso al mondo. Di conseguenza, sembra logico affermare che questa decisione abbia posto le basi per un futuro nel quale le diverse componenti del sistema nazionale di protezione civile possano scambiare i dati tra di loro in modo automatico. Le specifiche caratteristiche del CAP, peraltro, permettono alle singole organizzazioni di mantenere i propri sistemi di gestione dei dati e di scambiare con tutti gli altri componenti del sistema nazionale di protezione civile le informazioni necessarie nei momenti di crisi.
Le caratteristiche di immediatezza dei messaggi e di localizzazione dei destinatari del nuovo sistema di allerta rendono necessaria una riflessione sugli effetti che, probabilmente, la sua disponibilità determinerà sulle pianificazioni di emergenza. È difficile ritenere, infatti, che non seguano altri passi nel miglioramento di questo settore, perché è immediatamente evidente che la tecnologia adottata, risolvendo il problema del come comunicare, sposta la riflessione su cosa comunicare.
In sostanza, la sfida ora si sposta sulla capacità di dare in modo tempestivo e chiaro indicazioni basate sull’analisi dei dati disponibili. In alcuni casi, raggiungere questo obiettivo è più semplice. Ad esempio, in caso di piogge molto intense, di nevicate particolarmente abbondanti o di possibili allagamenti, allertare in anticipo la popolazione permetterà di evitare situazioni di pericolo adottando regole di buon senso. In altri casi, invece, insieme alla segnalazione di un rischio dovrà essere indicato cosa fare.
Gestione degli incendi
Un caso emblematico è quello degli incendi boschivi di particolare intensità, nei quali non è infrequente che, pensando di mettersi in salvo, si scelga di andare in zone che si rivelano essere a rischio maggiore. In questi casi, quindi, il contenuto dei messaggi non può ridursi ad un’informazione predefinita. Le cronache che descrivono gli incendi che, tra il 2017 ed 2019, hanno funestato con diverse decine di morti la California, l’Australia e alcuni Paesi europei descrivono la grande varietà di situazioni a cui si deve dare risposta.
In Australia, ad esempio, a seguito degli incendi si è sviluppato un dibattito sull’opportunità di ordinare se rimanere sul posto o evacuare immediatamente un’area: ognuna delle scelte comporta dei rischi, difficilmente valutabili sul momento senza strumenti idonei. In situazioni analoghe, in Europa il problema è stato l’allarme tardivo oppure la mancata informazione sul percorso da prendere per fuggire. L’incendio di Pedrograo Grande (Portogallo, 2017) è divenuto famoso per la difficoltà di gestire lo spegnimento e la sicurezza dei cittadini rispetto ad incendi di vegetazione sempre più violenti. Vi si trovano storie di persone che, fuggendo in auto, sono rimaste bloccate da incidenti causati dal fumo, senza nessuna possibilità di tornare indietro. Forse, se avessero preso un’altra strada, si sarebbero salvate. In altri casi la morte ha raggiunto le persone che erano rimaste a casa e ci si chiede perché non siano fuggite in tempo. La stampa non approfondisce questo tema, forse per un senso di ineluttabilità del rischio. La funzione di allerta pubblica, però, porta in primo piano il ruolo dell’informazione durante l’emergenza, enfatizzando la responsabilità attribuita alle autorità che devono gestirla.
Uno spiraglio che illumina questa situazione di oggettiva difficoltà può essere intravisto nell’uso innovativo di strumenti già disponibili: modelli che descrivono l’evoluzione di un incendio sulla base dei parametri ambientali, dell’orografia e delle caratteristiche della biomassa sono stati sviluppati e testati nel corso degli ultimi anni. Pur nella necessità di affinarne la precisione, che necessita di dati ambientali puntuali ed aggiornati, in molti casi si è in grado di prevedere con approssimazione adeguata in che direzione e con quale velocità avanzerà un fronte di fiamma di un incendio di vegetazione. Analogamente, per avere un’indicazione sul tempo necessario a raggiungere un luogo sicuro, servono dei dati sulla presenza della popolazione in un dato territorio, problema che al momento è risolvibile con l’uso di modelli di simulazione del comportamento umano ma che, per i dati di input (l’acquisizione del numero e della localizzazione delle persone da evacuare), ha bisogno di qualche approfondimento normativo.
Privacy e progetto GeoSafe
In sostanza, utilizzando le informazioni disponibili sull’incendio per simulare sul momento le possibilità di evoluzione (direzione e velocità del fronte di fiamma) e incrociando questo risultato con i tempi di percorrenza delle persone che fuggono dall’area a rischio, ci si avvicinerebbe ulteriormente alla disponibilità di una informazione da usare in modo efficace per l’allerta pubblico.
Questa soluzione, tra le altre cose, porrebbe nuovi problemi di privacy. Per dare la possibilità alla pubblica amministrazione di accedere alla posizione in tempo reale delle persone presenti in una data area, si aprirebbe il problema dell’accesso a tali dati, analogamente a quanto avvenuto per l’avvio del sistema 112 – Numero Unico di Soccorso che, come noto, permette all’organo che riceve la chiamata di localizzare il chiamante nel rispetto delle norme sulla riservatezza dei dati personali.
L’ipotesi illustrata ha raggiunto un discreto grado di completamento. Il progetto di ricerca Geo Safe (finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Marie Skłodowska-Curie), avendo già dato luogo all’avvio delle prime applicazioni sperimentali in alcuni Paesi europei, contempla un cambio di paradigma nella gestione delle emergenze. L’approccio descritto prescinde in una certa misura dall’attuazione dei piani di emergenza a cui siamo abituati, che di solito sono costituiti da documenti in cui sono elencati organi da contattare, aree di assembramento e liste di azioni da mettere in atto.
Oltre alla designazione dei luoghi sicuri, dei locali per le strutture di coordinamento e delle aree di assistenza alla popolazione, si dovrà tenere conto delle informazioni che permetteranno di comunicare ai cittadini cosa fare e dove andare in relazione all’evoluzione degli eventi.
Questa comunicazione avverrà attraverso strumenti come It Alert, ma proprio le caratteristiche di tempestività e localizzazione delle persone raggiunte porterà i cittadini ad attendere una maggiore specificità del messaggio. La valutazione sulla base della situazione reale, in molti casi, dovrà quindi soppiantare la semplice comunicazione di quanto ipotizzato a tavolino e questa è forse la sfida più importante che It Alert ha lanciato.
*L’autore scrive a titolo personale