Uno dei prototipi più promettenti di “Driverless Car” è tutto italiano. Si chiama “BRAiVE”, è il frutto di un lungo lavoro di ricerca condotto dal VisLab dell’Università di Parma, ed è stato presentato nel corso dell’evento di chiusura di Working Capital (il programma di sviluppo di startup innovative di Telecom Italia) lo scorso novembre a Milano.
“Già nel 2010 – racconta il Prof. Alberto Broggi, coordinatore del progetto – quattro nostri “Autonomous vans” hanno viaggiato da Parma all’Expo di Shanghai, un viaggio di 3 mesi e 13mila chilometri, senza guidatore e soprattutto senza il minimo rischio di un incidente, sui tracciati stradali e nelle condizioni di guida più varie. La sfida tecnologica di BRAiVE oggi ormai non è più “far funzionare” una driverless car ma trovare le componenti a più basso costo e i partner più efficienti in modo da trasformare un prototipo di laboratorio in una produzione di scala”.
Non si tratta, evidentemente, solo di un problema di costi, ma anche di prezzo al pubblico. “Per funzionare a pieno regime – continua Broggi – un progetto di questo tipo deve inizialmente essere abbastanza laico rispetto alle logiche commerciali. A un certo punto, però, si pongono anche problemi nuovi, solo apparentemente banali, come quello del prezzo di mercato. Ed è evidente che un laboratorio di ricerca non può risolverlo da solo”. Per questo motivo il VisLab sta cercando proprio in questi mesi i partner (Finanziatori, Analisti di Mercato, esperti di Business Plan) in grado di far compiere a BRAiVE e ai suoi fratelli maggiori (come alcuni prototipi di macchine agricole e veicoli industriali già realizzati) il grande salto verso la produzione in scala.
“Anche se i maggiori progressi sono nel software – continua Broggi- , stiamo lavorando da anni alla realizzazione di sistemi hardware a più basso costo possibile per la percezione dell’ambiente in ambito tridimensionale, con applicazioni che vanno ben oltre il mercato dell’automotive. E’ molto probabile che la driverless car finisca per essere solo il prodotto più “visibile”, in grado di attrarre investimenti in molti altri settori industriali interessati alle tecnologie di riconoscimento dello spazio in tempo reale”.
Tornando a BRAiVE, Broggi non ha dubbi: “Una rete stradale in cui nessuno guiderà più il proprio veicolo e in cui saremo tutti passeggeri sarà infinitamente più sicura. Mi rendo conto che si tratta di una affermazione forte, in un paese dove la motorizzazione ha avuto una straordinaria forza simbolica a partire dagli anni ’50, nel senso del benessere e dell’emancipazione dell’individuo. Ma anche il contesto e la consapevolezza sul tema della sicurezza sono molto cambiati rispetto ad allora”.
Una buona metafora per descrivere questo passaggio può essere quella del fumo: la svolta nella consapevolezza dei rischi c’è stata quando i non fumatori hanno capito che anche loro potevano subire dei danni dal fumo degli altri. Ebbene, è ragionevole prevedere che quando gli automobilisti prudenti – che sono la maggioranza – capiranno che il problema è l’imprevedibilità di quella fetta di automobilisti che si mettono al volante in stato di ebbrezza o con poche ore di sonno alle spalle, si giungerà alla conclusione che l’unico modo per eliminare del tutto questa variabile è proprio un’auto senza pilota.
E una volta raggiunto quello che Malcolm Gladwell definirebbe “un punto critico” di ecosistema, a quel punto sarà interessante capire se i vari costruttori saranno ancora ostinati nel loro tentativo di imporre sistemi proprietari, con gran parte dell’intelligenza confinata all’interno dell’abitacolo, oppure disposti ad appoggiarsi su soluzioni di rete. Ma su questo Broggi è stato molto netto: “L’evoluzione della connected car sfrutta la crescente disponibilità di sensoristica e dataset pubblici che si trovano in rete, ma un tema come quello della sicurezza non ci permette di affidarci a sistemi che, per quanto diffusi, si fondano ancora sul concetto di “best effort”.
Per decenni l’idea di poter circolare su strade e autostrade senza l’onere della guida è stata associata da un lato al tema della comodità, dall’altro al vincolo tecnologico di strade “attrezzate” dal punto di vista dell’intelligenza e della sensoristica. Oggi una statistica impietosa ci racconta che il 93% degli incidenti stradali sono causati da errori umani. Di conseguenza la principale leva di questo traguardo non è più il “relax”, quanto piuttosto la sicurezza. La buona notizia è che gli sviluppi tecnologici delle componenti hardware e software a bordo dei veicoli hanno già permesso di realizzare prototipi di “auto a guida autonoma” in grado di funzionare su strade “stupide”, e quindi di interagire con ostacoli, automobili e pedoni di tipo – per così dire – “tradizionale”.