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La disinformazione sul clima inquina il Cop28, il ruolo di Russia e Cina



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Un rapporto, pubblicato proprio in vista della COP28 dalla Climate Action Against Disinformation (CAAD), denuncia il boom di post e utenti dedicati alla disinformazione sul clima, con negazionismo e bufale. C’è anche un fattore geopolitico in gioco

Pubblicato il 4 dic 2023

Antonino Mallamaci

avvocato, Co.re.com. Calabria



disinformazione cop28 clima

Dal 30 novembre al 12 dicembre si tiene a Dubai COP28, la Conferenza annuale promossa dall’ONU per discutere sui cambiamenti climatici (versione edulcorata della dizione “riscaldamento globale”) e su come farvi fronte.

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All’appuntamento si sono preparati bene, oltre a coloro che studiano il fenomeno e i rimedi per fermarlo o almeno attenuarlo, anche i soggetti che sul tema diffondono a piene mani disinformazione online: influencer attratti da lauti guadagni, aziende che prosperano grazie ai combustibili fossili, persino Paesi che prendono parte alla Conferenza.

La disinformazione sull’ambiente nel Cop28

Le falsità e il negazionismo sul riscaldamento globale rappresentano in effetti una sfida nella sfida per chiunque abbia a cuore le sorti dell’Umanità. Già nel 2012 uno dei maggiori esponenti della corrente negazionista, che ha fatto tanti proseliti negli ultimi tempi, scriveva sull’allora Twitter, oggi X: “Il concetto di Global warming è stato inventato dai e per i Cinesi per rendere non competitiva l’industria degli Stati Uniti”. Donald Trump, l’autore, dal 2012 ha mantenuto, con qualche sporadica titubanza, questa posizione.

Lo hanno seguito, in quasi 12 anni, i leader della destra sovranista e populista di ogni angolo del globo terrestre. I protagonisti di questa enorme ondata disinformativa diffondono varie falsità, in gran parte  già smentite: gli esseri umani non sono responsabili del cambiamento climatico; i recenti, vastissimi incendi in tutto il mondo sono dolosi, non provocati da condizioni più calde e secche; il mondo si sta raffreddando; i giganti del petrolio e del gas stanno guidando la corsa verso la neutralità del carbone. Gli allarmi sull’ambiente, ne consegue, sarebbero solo un pretesto per le élite autoritarie per destabilizzare i Paesi in via di sviluppo e costringere tutti al lockdown e a una dieta a base di insetti e cibo coltivato in laboratorio. I danni provocati dalla disinformazione sono evidenti a livello di opinione pubblica e di volontà politica di tanti Stati di fare la loro parte in questa guerra dai possibili effetti esiziali per il genere umano.

Il rapporto sulla disinformazione

Un rapporto, pubblicato proprio in vista della COP28 dalla Climate Action Against Disinformation (CAAD), coalizione internazionale di oltre 50 gruppi di difesa ambientale, offre un quadro della situazione. Esso svela l’impatto della cattiva informazione e della disinformazione sul clima, facendo luce sul ruolo svolto dalla lobby dei combustibili fossili, da alcuni Stati e dall’“economia dell’indignazione” online, presentando quattro casi di studio che forniscono un’istantanea del mondo online e su cosa ci dice sul web, sulle narrazioni e le tattiche utilizzate. Mostra la complessità di un ambiente in cui lobbisti professionisti, con miliardi di dollari a loro disposizione, siedono accanto a leoni da tastiera in cerca di notorietà e attori statali che giocano a scacchi geopolitici.

Dal rapporto risulta che #ClimateScam, un hashtag spesso utilizzato per promuovere contenuti negazionisti e cospiratori, è diventato più importante su X da quando CAAD ha studiato per l’ultima volta la tendenza in prossimità della COP27 del 2022; oltre 150 scambi di annunci consentono la monetizzazione della cattiva informazione e della disinformazione sul clima su 15 siti Web chiave; i resoconti dei media statali russi – che pubblicano in inglese, francese, tedesco e spagnolo – non trasmettono messaggi coerenti sulla scienza del clima, sull’azione per il clima o sull’approvvigionamento energetico; dal 1° gennaio al 31 ottobre 2023, appena 13 aziende produttrici di combustibili fossili hanno pubblicato ben 2.562 annunci su Facebook, secondo la Ad Library di Meta.

Le fake news hanno aumentato teorie del complotto, divisioni sociali, minacce e molestie. È stato registrato un  incitamento allarmante alla violenza contro coloro che sono impegnati sul tema del cambiamento climatico. Ad esempio, alcuni meteorologi spagnoli, che hanno riferito in primavera di condizioni meteorologiche estreme, hanno dovuto affrontare minacce  e accuse di essere “assassini”.

Ad avviso della CAAD, la campagna contro azioni significative per ridurre le emissioni è alimentata da un ecosistema con “strane alleanze informali e sovrapposizioni” tra paesi, aziende e persone, tutti con programmi e motivazioni disparate ma uniti nel desiderio di screditare la minaccia del cambiamento climatico: “Si tratta in realtà della normalizzazione della disinformazione, piuttosto che del semplice suo aumento di volume.

Questo è ciò che preoccupa di più: quanto alto interesse suscita e quanto emotivamente risonante sembra essere questo tipo di contenuto”. Disinformazione e descrizioni fuorvianti sugli obiettivi del vertice sono aumentate esponenzialmente all’approssimarsi del 30 novembre e anche dopo. Sui social media sono circolate teorie cospirative secondo le quali i governi stanno usando il cambiamento climatico come pretesto per confiscare la terra agli agricoltori e causare carenza di cibo. Gli Emirati Arabi Uniti sono uno dei principali esportatori di petrolio , conosciuti più per il vorace consumo di risorse di Dubai che per il loro impegno per il clima. 

Quest’estate, un esperto di disinformazione in Qatar ha scoperto almeno 100 account falsi sui social media che difendevano il luogo del vertice e il suo presidente (e dirigente petrolifero di Stato). Un documento interno ha rivelato che gli Emirati intendono utilizzare il proprio ruolo di hosting per perseguire accordi su petrolio e gas in tutto il mondo. I contenuti dei social media che promuovono la totale negazione del riscaldamento globale erano già aumentati prima del vertice dello scorso anno in Egitto. Tali post hanno continuato quest’anno a raccogliere opinioni e citazioni da parte di politici ed esperti di spicco. 

La reazione dei negazionisti è stata violenta e diffusa, stando a  un rapporto del gruppo Global Witness: il 73% degli scienziati del clima regolarmente presenti nei media ha subito molestie o abusi online. Greta Thunberg è stata presa di mira dai media statali cinesi, che l’hanno accusata di aver chiesto la fine dell’uso delle bacchette usate per cibarsi e derisa quale “principessa svedese” quando ha preso posizione per ulteriori riduzioni delle emissioni da parte della Cina. Russia Today a marzo ha definito la Thunberg “Dr. Climate Gollum” (Gollum è un personaggio malvagio presente nei racconti di Tolkien) dopo aver ricevuto un dottorato onorario dall’Università di Helsinki. EU Disinfo Lab, organizzazione no-profit indipendente che raccoglie conoscenze e competenze sulla disinformazione in Europa, ha dichiarato in un rapporto di aver trovato dozzine di siti web attivi in ​​Europa e negli Stati Uniti che si concentrano esclusivamente sulla disinformazione climatica – una “sorprendente” deviazione dalla maggior parte degli altri siti web di disinformazione, che tendono a compilare un miscuglio di argomenti discutibili.

La CAAD ha scoperto che, ogni mese a partire dalla COP27, l’hashtag #climatescam ha generato più retweet e Mi piace di #climatecrisis e #climateemergency su X. L’hashtag è apparso in post ampiamente diffusi in cui si accusavano i migranti di incendi dolosi e le emittenti televisive di manipolare le mappe meteorologiche. Un account, che denuncia tra l’altro la continuità ideologica tra il fronte anti-vaccini (era attivo su Telegram in questo campo) e quello sul negazionismo climatico, aveva su X poche centinaia di follower quando ha condiviso il suo primo post #climatescam a marzo. Ora ne ha più di 250.000!

Secondo il rapporto, i mercati, che utilizzano in gran parte aste automatizzate per acquistare e vendere annunci online, hanno inserito annunci su almeno 15 siti Web che ospitano frequentemente contenuti negazionisti sul cambiamento climatico. Annunci pubblicitari di McDonald’s e LL Bean sono apparsi accanto a post nei quali  si descriveva “un’agenda prepotente di ‘cambiamento climatico'” come “implementazione del socialismo con il pretesto di salvare il pianeta” da parte di ” tirannici pianificatori centrali in tutto il mondo”.

Il ruolo di Russia e Cina

Parte della disinformazione climatica è stata diffusa da paesi come Russia e Cina, che spesso indirizzano tali contenuti verso parti del mondo per aizzarli contro l’Occidente. I media statali russi hanno presentato i piani di riduzione delle emissioni come una forma di “imperialismo occidentale” architettato per minare lo sviluppo del cosiddetto Sud globale.

Il Dipartimento di Stato americano ha reso noto che in Brasile la disinformazione climatica figura in una campagna che promuove le opinioni di Aleksandr Dugin, ideologo del neo imperialismo russo. In Cina, la disinformazione in quest’ambito ha una lunga storia, secondo uno studio  dell’Università di Hong Kong. Per anni, gli appelli a combattere il cambiamento climatico sono stati descritti come uno strumento utilizzato dall’Occidente per arrestare la crescita economica del Paese.

Anche dopo che la Cina ha condiviso l’idea della necessità di un’azione internazionale alla COP15 di Copenaghen nel 2009, la disinformazione sulla questione è rimasta diffusa nei media cinesi, tanto che il gigante petrolifero statale cinese, la China National Petroleum Corporation, è tra le società energetiche internazionali che fanno affermazioni fuorvianti sulle loro pratiche ambientali. Una strategia di comunicazione/marketing (“greenwashing”) finalizzata a fare apparire l’attività di grandi aziende o altri soggetti ecosostenibile, occultandone l’impatto ambientale negativo.

Ma, al di là della disinformazione diffusa in rete, come stanno realmente le cose? Qual è l’oggetto della COP28? Giusto per capire l’enorme danno che la campagna rischia di fare al genere umano. Secondo un recente studio di Climate Central, la Terra ha appena vissuto i 12 mesi più caldi dell’era moderna, probabilmente i più caldi degli ultimi 125.000 anni. Quasi 3 persone su 4 hanno sperimentato più di un mese di caldo così estremo che sarebbe stato insolito in passato, ma divenuto almeno tre volte più probabile a causa del cambiamento climatico causato dall’uomo.

Il pianeta si trova quindi vicino più che mai a uno stadio di riscaldamento globale che, secondo gli scienziati, potrebbe danneggiare irreversibilmente, se non distruggere, interi ecosistemi: 1,5 gradi Celsius sopra la temperatura media preindustriale. Miliardi di persone in tutto il mondo hanno recentemente sperimentato ondate di calore estreme che probabilmente non sarebbero state così intense o durature se le emissioni di combustibili fossili non avessero riscaldato il pianeta in modo così drammatico. Secondo l’analisi, nell’ultimo anno 9 persone su 10 hanno vissuto almeno 10 giorni di caldo estremo. 

Quasi 3 persone su 4 30 giorni o più. Gli scienziati hanno collegato il riscaldamento globale a calamità in tutto il mondo: ospedali sovraffollati per malattie legate al caldo, migliaia di morti e milioni di sfollati a causa delle inondazioni, 23 milioni di africani senza forniture alimentari sicure a causa della siccità. Le temperature medie nell’ultimo anno hanno raggiunto o superato la soglia di riscaldamento di 1,5 gradi Celsius in quasi una dozzina di paesi in Europa e Africa settentrionale: Romania, Bulgaria, Bosnia, Moldavia, Marocco, Svizzera, Austria, Ungheria, Montenegro, Algeria e Ucraina. Il caldo è stato più intenso in Europa e in Africa, con temperature, sia in Svizzera che in Sud Sudan, che hanno registrato da maggio a ottobre 2 gradi in più rispetto ai livelli preindustriali. I dati pubblicati dal servizio Copernicus Climate Change dell’Unione europea hanno sottolineato quanto drammaticamente la tendenza al riscaldamento abbia accelerato proprio negli ultimi mesi.

E nei primi 10 mesi del 2023, le temperature globali saranno in media di 1,43 gradi superiori ai livelli preindustriali. Per tornare alla COP28, una buona notizia, certamente non risolutiva, è quella della costituzione di un nuovo fondo per aiutare i paesi più poveri e vulnerabili colpiti dai disastri climatici.

Quasi 200 paesi hanno approvato il progetto per la cui creazione i paesi in via di sviluppo hanno lottato per più di 30 anni. Emirati Arabi Uniti e Germania si sono impegnati ciascuno a finanziare il fondo con 100 milioni di dollari, il Regno Unito con circa 76 milioni di dollari. L’Unione Europea contribuirà con almeno 225 milioni di euro. Nota dolente l’impegno (??) degli Stati Uniti: 17,5 milioni di dollari, cifra – bassissima per la più ricca economia del mondo e maggior produttrice di gas serra –  definita giustamente “imbarazzante” dal direttore del gruppo ambientalista Power Shift Africa.

Un bilancio

In conclusione, i dati sopra riportati denunciano una situazione inquietante, davanti alla quale molti, soprattutto tra i più giovani, si sentono impotenti. Eco-ansia è un termine coniato da Albrecht Glenn nel 2011 e descrive “la sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare”.

Di fronte a tutto ciò, è urgente che chi detiene le leve giuste si attivi per far cessare l’ondata negazionista su un tema così decisivo per la vita di ogni essere umano. E ciò può essere fatto con successo solo fermando il mostro della disinformazione sciagurata che si autoalimenta sul web e sui social media. Come purtroppo succede ormai da anni per tutte le brutture e le tragedie nelle quali l’uomo è attore e spettatore.

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