l'approfondimento

La transizione ecologica nel PNRR: bene, ma ora servono riforme

Con il PNRR il governo ha preso impegni importanti riguardo la neutralità climatica. Per ora si tratta di investimenti e misure parziali, ma sono programmate iniziative importanti. Ora servono le riforme richiedono capacità, rapidità, competenza, coesione sociale e coordinamento tra centro e territori. Obiettivi e sfide

Pubblicato il 04 Giu 2021

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

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Dopo l’approvazione dai due rami del Parlamento, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato inviato alla Commissione europea. Ora che il testo è definitivo sappiamo che l’asse strategico imperniato su “rivoluzione verde e transizione ecologica” ha ottenuto la fetta più corposa dei finanziamenti: 68,6 miliardi, di cui 59,3 dal dispositivo per la ripresa e la resilienza e 9,3 miliardi dal Fondo complementare.

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Transizione ecologica, sostenibilità prioritarie nel PNRR

Una priorità assoluta, che ha nei suoi obiettivi rendere sostenibile, anzi sostenibilmente competitivo il sistema. Non tutto è stato possibile finanziare, ci sono alcune carenze. Ma nonostante queste carenze (poche misure per la mobilità sostenibile urbana, il capitolo dell’economia circolare focalizzato unicamente sul ciclo dei rifiuti, la mancata cancellazione degli incentivi alle attività dannose per il clima e l’assenza di indicazioni sul carbon pricing), prevalgono gli aspetti positivi. Nella sua versione finale, il Piano contiene investimenti per la transizione ecologica di una dimensione ed estensione sconosciute in passato.

Ora però lo sforzo va concentrato sulla parte più difficile: la sua concreta attuazione, riempiendo di contenuti il concetto di transizione ecologica. C’è tanta strada da fare, a partire dall’essere credibili a dall’andare fino in fondo nella realizzazione delle riforme funzionali alla rivoluzione green. Il piano va accompagnato, infatti, da una serie di riforme non più rinviabili, perché si può far danno al Paese non solo facendo male, ma anche perdendo tempo.

È dunque un’occasione storica dalle grandi potenzialità, per dare una nuova direzione all’intera società. L’esito di questa sfida però non è scontato, a meno che non si cambi radicalmente il paradigma economico. Intercettare le risorse messe sul piatto dall’UE diventa prioritario per quelle aziende che vogliono fare della sostenibilità un tratto caratterizzante della propria identità.

Transizione ecologica: dove punta la ricerca e le scelte politiche da fare

Economia circolare e sostenibilità cruciale per istituzioni e aziende

L’amministrazione americana annuncia politiche in cui gli obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio sono in prima linea. Greta Thunberg e i suoi Fridayforfuture continuano a battersi per sensibilizzare persone, governi e aziende sulla necessità di un futuro sostenibile. L’Europa spinge nella stessa direzione con il Green New Deal, con l’obiettivo è fare dell’Europa la prima area carbon neutral al mondo, con un traguardo fissato al 2050. Il che impone uno sforzo condiviso da parte di istituzioni, associazioni e singoli cittadini per modificare usi, scelte strategiche e modelli di sviluppo.

Uno sforzo che la corte costituzionale tedesca sembra aver preso sul serio, tanto da decidere la bocciatura della recente legge nazionale sul clima, definendola non sufficientemente estensiva a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni nocive, in quanto gli obiettivi indicati si fermano al 2030. Ha così dato tempo fino al 2022 affinché il governo tedesco definisca gli obiettivi per la riduzione dei gas a effetto serra fino al 2050.

I segnali che arrivano sono inequivocabili. Le autorità pubbliche sembrano puntare molto sulla transizione ecologica, accompagnate in questo percorso anche dal mondo delle imprese, che sempre più stanno inserendo nei processi produttivi processi di economia circolare e stanno mostrano sempre più attenzione alla sostenibilità.

Oggi fare business e fare industria significa dover tutelare l’ambiente. Le scelte “verdi” adottate dalle grandi aziende stanno condizionando a cascata tutta la catena dei fornitori. D’altronde è proprio l’industria, il manifatturiero, che può salvare davvero l’ambiente. Chi non si adegua a questo nuovo trend, rischia di essere tagliato fuori dalle filiere. Insomma anche in Italia vale la formula “gli ESG sono entrati nell’equazione di business”.

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Molto dipende dai forti contributi offerti dall’UE, ma anche dalla consapevolezza che il business ci guadagna. Secondo il rapporto GreenItaly 2020 sono oltre 432 mila le imprese italiane dell’industria e dei servizi che tra il 2015 e il 2019 hanno investito in prodotti e tecnologie green. Un valore in crescita del 25% rispetto al quinquennio precedente.

La stessa ricerca mette in evidenza un altro aspetto interessante: le aziende più sensibili alle tematiche verdi stanno resistendo meglio alla crisi pandemica. Tra quelle che hanno effettuato investimenti per la sostenibilità, il 16% è riuscito ad aumentare il fatturato contro il 9% delle non green. Un vantaggio competitivo che si conferma anche in termini occupazionali (assume il 9% delle green contro il 7% delle altre) e di export (con aumenti del 16% contro il 12%). Nonostante l’incertezza che grava sul futuro, sottolinea la ricerca, le imprese dimostrano di credere nella sostenibilità ambientale: quasi un quarto del totale conferma eco-investimenti per il triennio 2021-2023.

Tendenze confermate dall’Indexing Report di Epson, secondo il quale esisterebbero benefici, anche meno tangibili, per le aziende che continuano a impegnarsi per le questioni ambientali e sociali: l’82% dei responsabili decisionali ritiene che queste iniziative hanno un impatto sulle prestazioni aziendali, in particolare sulla percezione del marchio, sulla fedeltà dei dipendenti e sulla produttività della forza lavoro. Tutti fattori che rappresentano un vantaggio competitivo. Infatti, il 90% dei prodotti commercializzati in modo sostenibile ha ottenuto un successo commerciale maggiore rispetto ai concorrenti tradizionali. Inoltre, più del 70% dei dipendenti sceglie di lavorare in aziende con una fitta agenda di iniziative ambientali.

Le misure del PNRR per la transizione ecologica

La fetta più importate del PNRR è andata alla transizione ecologica. Interviene su quattro componenti: 5,3 miliardi saranno dedicati ad agricoltura ed economia circolare, 15,1 alla tutela dei territori e delle risorse idriche, 15,2 all’efficienza energetica degli edifici e quasi 24 alla transizione energetica e alla mobilità sostenibile.

Fonte: PNRR Italia

Anche se per ora si tratta di investimenti e di misure parziali, perché il percorso per la neutralità climatica al 2050 non è ancora completato e servirà, quindi, una prossima organica revisione del Piano Energia e Clima (PNIEC), sono programmate iniziative importanti: la revisione dei meccanismi autorizzativi e delle regole di mercato per raggiungere il pieno potenziale di sviluppo delle rinnovabili, la valorizzazione dell’agro-voltaico, lo sviluppo delle comunità energetiche e dei sistemi di generazione distribuita con impianti di piccola taglia, la promozione di tecnologie innovative, compreso l’offshore e lo sviluppo del biometano.

Di seguito una panoramica sintetica delle misure adottate.

Economia circolare e agricoltura sostenibile

Cinque miliardi focalizzati sul riciclo dei rifiuti urbani, con obbiettivo di raggiungere almeno il 55% entro il 2025, il 60% entro il 2030, il 65% entro il 2035 e una limitazione del loro smaltimento in discarica non superiore al 10% entro il 2035. Qui si sostiene anche la filiera agroalimentare sostenibile, migliorando la competitività delle aziende agricole e le loro prestazioni climatico-ambientali. È una delle componenti più ridotte nel piano Draghi rispetto alla versione Conte: soprattutto, appare circoscritto alla gestione dei rifiuti, senza introdurre vincoli o un salto di qualità verso una reale economia circolare, intervenendo strutturalmente sulla produzione dei rifiuti (packaging, uso materiali di recupero o scarto, ecc.)

Gestione dei rifiuti (2,1 mld)

  • Realizzazione di nuovi impianti per il trattamento/riciclaggio di rifiuti e ammodernamento impianti esistenti (1,5 mld).
  • Rete di raccolta per il differenziato con target di riciclo specifici (0,6 mld), tra i quali apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), carta e cartone, plastica e tessile.

Filiera agroalimentare sostenibile (2,8 mld)

  • Sviluppo logistica rete intermodale specifica per i settori della pesca, agroalimentare, silvicoltura e vivaismo (0,8 mld).
  • Parco agrisolare (1,5 mld): sostegni per diffusione pannelli fotovoltaici su impianti agricoli, su di una superficie complessiva senza consumo di suolo pari a 4,3 milioni di mq.
  • Innovazione (0,5 mld): contributi in conto capitale l’ammodernamento dei macchinari agricoli.

Implementazione in aree limitate di sistemi sostenibili integrali (0,4 mld)

  • Isole verdi (0,2 mld) – intervento su 19 piccole isole per renderle totalmente green (energia e mobilità).
  • Green communities (0,1 mld) – intervento su 30 piccole aree di montagna e rurali, per renderle green.
  • Cultura e consapevolezza su temi e sfide ambientali (0,03 mld)

Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile

È una delle singole componenti più significative del piano, con uno stanziamento di 23,8 miliardi. È focalizzata sulle politiche di decarbonizzazione, per incrementare la quota di energie rinnovabili. L’attuale target italiano per il 2030 è pari al 30% dei consumi finali, rispetto al 20% stimato preliminarmente per il 2020.

Incrementare la quota di energia prodotta da fonti di energia rinnovabile (5,9 mld).

Si estendono con questa misura le fonti di energia rinnovabili, anche omogeneizzando le autorizzazioni, semplificando le procedure per impianti off-shore e quelle per la valutazione di impatto ambientale.

  • Agro voltaico (1,1 mld) – promozione di sistemi ibridi che non compromettano l’utilizzo dei terreni dedicati all’agricoltura, ma contribuiscano alla sostenibilità ambientale ed economica delle aziende coinvolte, anche valorizzando i bacini idrici tramite soluzioni galleggianti;
  • Promozione rinnovabili e autoconsumo (2,2 mld) – sostegno a comunità energetiche e strutture collettive di autoproduzione, in particolare per pubbliche amministrazioni, famiglie e microimprese, in Comuni con meno di 5.000 abitanti, sostenendo così l’economia di aree a rischio di spopolamento.
  • Sistemi off-shore (0,8 mld) – sostegno a investitori nazionali ed esteri per la realizzazione di impianti di energia rinnovabile off-shore per circa 490 GWh anno.
  • Impianti biogas agricoli (1,9 mld) – riconversione e miglioramento dell’efficienza di siti esistenti, contributo del 40% dell’investimento per nuovi impianti, creazione di poli consortili per il trattamento, promozione della sostituzione di veicoli meccanici obsoleti, ecc.

Infrastrutture di rete (4,1 mld). Interventi per efficientare la rete di distribuzione elettrica.

  • Distribuzione di energia elettrica (3,6 mld) – sviluppare le capacità di rete di integrare ulteriore generazione da fonti rinnovabili per 4000 MW, anche tramite sviluppo smart grid su 115 sottostazioni primarie e la relativa rete, aumentare capacità e potenza delle utenze per nuovi consumi.
  • Resilienza climatica reti (0,5 mld) – aumentare la capacità di resistenza delle reti a eventi climatici estremi.

Idrogeno (3,2 mld)

Promozione produzione, distribuzione e uso finale, particolarmente in campo industriale e nel trasporto pesante. Una parte consistente delle risorse è indirizzata alla filiera dell’idrogeno, focalizzandosi nella riconversione di alcuni grandi siti [ENI, SNAM, l’ILVA di Taranto] e promuovendo interventi di Carbon Capture and Storage o Sequestration (come a Ravenna).

  • Produzione in aree industriali dismesse (0,5 mld) – sviluppare una rete per l’idrogeno granulare, rivolto a PMI e stazioni per camion o trasporto pubblico locale (hydrogen valleys).
  • Settori hard-to-abate (2 mld) – sviluppare impianti ad idrogeno rivolti a settori industria pesante molto carbonizzati, come chimici, raffinazione del petrolio, acciaio, cemento, vetro e carta.
  • Idrogeno per il trasporto stradale (0,2 mld) – 40 stazioni di rifornimento per autocarri a lungo raggio, in aree e nodi strategici per i trasporti stradali pesanti.
  • Idrogeno per il trasporto ferroviario (0,3 mld) – trasformazione di linee ferroviarie diesel, in aree con possibilità di sinergie con le stazioni di rifornimento per camion.
  • Ricerca e sviluppo – migliorare la conoscenza delle tecnologie legate all’idrogeno in tutte le fasi, sviluppando un relativo network su idrogeno verde; tecnologie per stoccaggio e trasporto, celle a combustibile; resilienza delle attuali infrastrutture.

Sviluppo di reti di trasposto locale a basso inquinamento (8,6 mld)

  • Rafforzamento mobilità ciclistica (0,6 mld) – realizzazione di 570 km di piste ciclabili urbane e metropolitane e di circa 1.250 km di piste ciclabili turistiche.
  • Trasporto rapido di massa (3,6 mld) – realizzazione di metro (11 km), tram (85 km), filovie (120 km), funivie (15 km), principalmente in aree metropolitane. Pare evidente, per le dimensioni circoscritte dell’intervento, che la logica del piano tende a privilegiare interventi già in fase avanzata di progettazione, senza nuovi impulsi in altri territori.
  • Ricarica elettrica (0,7 mld) – realizzare 7.500 punti di ricarica rapida in autostrada e 13.755 in centri urbani.
  • Flotte verdi (3,6 mld) – 3.360 bus a basse emissioni, 53 treni elettrici/idrogeno, 3.600 veicoli VVFF.

Leadership internazionale industriale (2 mld)

L’intervento è finalizzato a potenziare alcune filiere industriali ad alta tecnologia, legate alla transizione green, in grado di competere a livello globale. In particolare, si prevede un intervento per:

  • Rinnovabili e batterie (1 mld) – potenziare la filiera industriale del fotovoltaico, eolico, batterie per il settore dei trasporti e per il settore elettrico.
  • Idrogeno (0,5 mld) – installazione di circa 5 GW di capacità di elettrolisi entro il 2030.
  • Bus elettrici (0,3 mld) – espansione della capacità produttiva del paese.
  • Startup (0,2 mld) – un fondo dedicato focalizzato su settori specifici green, in startups, incubatori e programmi di accelerazione, affiancando i più rilevanti VC managers e operatori del sistema.

Efficienza energetica e riqualificazione edifici

Quindici miliardi focalizzati sull’efficientamento energetico di edifici pubblici e privati, in maniera particolare finanziando sino al 2023 l’Ecobonus al 110% per l’edilizia residenziale.

  • Edifici pubblici (1,2 mld) – si prevede il finanziamento di un intervento focalizzato su due particolari tipologie di edifici pubblici: 195 edifici scolastici (0,8 mld), per un totale di oltre 410 mila mq, con conseguente beneficio su circa 58 mila studenti; 48 edifici giudiziari (0,4 mld).
  • Edilizia residenziale (13,8 mld) – estensione dell’ecobonus al 110% dal 2021 al 2022 per i condomini e al 2023 per l’edilizia popolare, con condizione lavori al 60% entro 2022, prevedendo anche semplificazione e accelerazione delle procedure per la realizzazione degli interventi.
  • Teleriscaldamento (0,2 mld) – finanziamento di progetti relativi alla costruzione di nuove reti o all’estensione di reti di teleriscaldamento esistenti: 330 km di reti di teleriscaldamento efficiente e recupero di calore di scarto per 360 MW: si ipotizza che il 65% delle risorse sia allocato per le reti (costo 1,3 mln a km) e il 35% circa a sia dedicato allo sviluppo di nuovi impianti (costo 0,65 mln a MW).

Tutela del territorio e della risorsa idrica

Quindici miliardi sono previsti per una serie di misure volte alla protezione del territorio, a fronte dei cambiamenti climatici e delle fragilità idrogeologiche del paese. Viene previsto un sistema integrato di monitoraggio e previsione dei rischi, con sensori, dati satellitari ed elaborazione analitica delle informazioni. Inoltre, ci si propone l’obiettivo di redigere un piano di ripristino di aree protette.

Capacità previsionale (0,5 mld).

Viene finanziata un sistema di monitoraggio che consenta di individuare e prevedere i rischi sul territorio: sistemi di osservazione satellitare, droni, sensoristica da remoto; sale controllo regionali, reti di telecomunicazione a funzionamento continuo, cybersecurity.

Dissesto idrogeologico e sua vulnerabilità (8,5 mld)

Vengono previste fondamentalmente due azioni, con un impiego significativo di risorse (la seconda, di ben 6 miliardi), che vengono lasciate sostanzialmente vaghe.

  • Rischio alluvione (2,5 mld) – messa in sicurezza da frane o rischi allagamento e misure non strutturali previste dai piani di gestione del rischio idrico e di alluvione, focalizzati sul mantenimento del territorio, sulla riqualificazione, sul monitoraggio e sulla prevenzione.
  • Resilienza e efficienza energetica (6 mld) – i lavori riguarderanno un insieme eterogeneo di interventi (di portata piccola e media) da effettuare nelle aree urbane la messa in sicurezza del territorio, la sicurezza e l’adeguamento degli edifici, l’efficienza energetica e i sistemi di illuminazione pubblica.

Salvaguardare aria e biodiversità con una serie di specifiche misure di tutela ambientale (1,69 mld).

  • Verde urbano (0,3 mld) – interventi su 14 città metropolitane per sviluppare boschi urbani e periurbani, piantando almeno 6,6 milioni di alberi (6.600 ettari di foreste urbane).
  • Digitalizzazione dei parchi nazionali (0,1 mld) – conservazione, servizi ai visitatori, semplificazione amministrativa e monitoraggio nei 24 parchi nazionali e nelle 31 aree marine protette.
  • Rinaturazione dell’area Po (0,4 mld) – riqualificazione del corso del Po, ricreando zone naturali.
  • Bonifiche (0,5 mld) – interventi in aree inquinate, per dare al terreno un secondo uso, favorendo il suo reinserimento nel mercato immobiliare e riducendo l’impatto ambientale.
  • Aree marine (0,4 mld) – intervento di mappatura dei fondali marini per il ripristino degli habitat (navi da ricerca aggiornate), con l’obiettivo del 90% dei sistemi mappati e monitorati, il 20% restaurati.

Risorse idriche (4,4 mld).

Intervento volto a conservare le risorse idriche, tenendo presente che oggi la dispersione media è del 41% (51% al Sud).

  • Infrastrutture primarie (2 mld) – 75 progetti di manutenzione straordinaria e potenziamento di derivazioni, stoccaggio e fornitura primaria.
  • Riduzione perdite (0,9 mld) – interventi di riduzione delle perdite nelle reti per l’acqua potabile (-15% su 15k di reti idriche), con monitoraggio nodi principali e punti sensibili della rete.
  • Agrosistema irriguo (0,9 mld) – investimenti infrastrutturali su reti e sistemi irrigui, per avere il 12% delle aree agricole con sistemi più efficienti (vs. 8% ad oggi).
  • Depurazione (0,6 mld) – efficientizzazione depurazione delle acque reflue, anche attraverso l’innovazione tecnologica, al fine di azzerare i 3,5 milioni di abitanti ad oggi in zone non conformi.

Conclusioni

Oggi sono rimasti pochi quelli che ignorano del tutto la portata del cambiamento climatico, se non altro rispetto agli standard di qualche decennio fa. Senza dubbio c’è maggiore consapevolezza tra i giovani e sempre nelle istituzioni e nelle imprese.

Con l’adozione del PNRR il governo ha preso impegni importanti che riguardano le misure per la neutralità climatica. Anche se per ora si tratta di investimenti e di misure parziali, sono programmate iniziative importanti. Ma non è solo un problema di investimenti. Il Piano dovrà essere accompagnato anche da altre riforme. Riforme che ci devono consentire di fare più rinnovabili, di farle bene e di farne molte di più. Riforme che ci devono consentire di attuare il cambiamento del modello di economia da lineare a circolare e favorire una fiscalità ecologica.

Queste riforme richiedono capacità, rapidità, competenza, coesione sociale e coordinamento tra il centro del governo e l’iniziativa sui territori. Uno sforzo corale di coordinamento e programmazione delle politiche per la transizione ecologica che troverà la sua sintesi nel comitato interministeriale appositamente costituito presso la Presidenza del Consiglio.

Sarà un passaggio che richiederà elasticità mentale, affinché si possa scardinare un dibattito che rischia di tornare a essere ancora unilaterale, sempre a favore degli interessi economici di pochi, e non dell’umanità. Ma poiché, come ricordato nel libro Capitalismo naturale (Edizioni Ambiente) “tutte le risorse economiche generate dallo sfruttamento del pianeta non saranno sufficienti a ricostruirlo”, dobbiamo strutturare ora una nuova cultura ecologica, una cultura del rispetto della vita, una cultura che vede nel progresso sociale, e non solo nello sviluppo economico, una via per una nuova era ecologica.

Siamo cresciuti con l’idea che “più è meglio” e ora scopriamo che qualche volta è vero il contrario. In passato, ad esempio, l’aumento dei consumi di energia pro capite appariva un indicatore di progresso. Ora è l’opposto: il benessere cresce nelle società in cui si riesce a usare meno energia per avere la stessa quantità di beni e servizi. E lo stesso vale per la materia. Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ci ricorda che “se dovesse procedere il trend dell’economia attuale, lineare e dissipativa, il consumo mondiale di materiali dovrebbe arrivare a 170-180 miliardi di tonnellate nel 2050: quantità probabilmente non disponibili su questo pianeta e il cui prelievo e utilizzo comporterebbero comunque una distruzione catastrofica del capitale naturale”.

Per questo basterebbe imitare la natura, con la sua capacità di riuso ed efficienza dei sistemi. Serve un’innovazione radicale e la tecnologia per avviare questo percorso è ormai disponibile. Quello che adesso deve emergere è la capacità di guidarla.

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