IL CASO

La rete energetica italiana che volerà in Inghilterra

Si chiama Smart polygeneration Microgrid, è un progetto smart cities appena inaugurato dal campus di Savona, dell’Università degli Studi di Genova. Sarà affinato grazie alla collaborazione con il Laboratorio di Ricerca dell’Università di New Castle, in Inghilterra. Intanto, anche Singapore vorrebbe replicare la piattaforma

Pubblicato il 06 Mar 2014

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Primo esempio in Europa, ingegneria italiana, cooperazione con l’estero.

Sono questi gli atout che hanno consentito al progetto Smart polygeneration Microgrid di decollare, generando un contesto favorevole ad attrarre anche capitali stranieri. Il piano dell’Università degli Studi di Genova è stato sviluppato dal Centro Servizi Interfacoltà del Polo Universitario di Savona, in collaborazione con i Dipartimenti di Ingegneria presenti nel Campus della città.

L’obiettivo? Dare vita a una rete intelligente, in grado di distribuire energia elettrica a bassa tensione. Il modulo sperimentale è stato concepito all’interno del piano delle Smart Cities, e si compone di un’infrastruttura di tecnologie, sistemi avanzati di gestione, controllo e comunicazione che consentano un aumento dell’efficienza, dell’affidabilità e della qualità del sistema elettrico.

Brevetto interamente italiano che può originare interessanti sviluppi futuri, non solo in Italia, come suggeriscono le premesse.

Paola Girdinio, Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova, è ottimista: “È stato un processo che si è dipanato in più fasi. Nel 2010 abbiamo ricevuto una prima tranche di finanziamenti dal Ministero dell’Università e della Ricerca: 2 milioni e mezzo di euro, all’interno del piano Energia2020, previsto dall’Unione Europea per ridurre i consumi, accrescere la competitività dei mercati e garantire un rifornimento energetico sicuro”.

Finanziamenti accessibili a una condizione: se entro i tre anni successivi all’erogazione dei fondi non si fosse riusciti a sviluppare il progetto annunciato, il Miur avrebbe chiesto la restituzione del denaro.

“La nostra scommessa – spiega Paola Girdinio – è stata quella di investire su un unico, forte progetto da condividere con il territorio circostante e con le aziende che avessero voluto crederci, anziché ripartire a pioggia i fondi: consuetudine spesso poco incisiva nello sviluppo dei piani da realizzare. Ma siamo solo al principio del viaggio: davanti a noi ci sono anni di sperimentazione per affinare il modulo”.

L’idea nasce dalla constatazione che in un futuro ormai vicino la produzione di energia crescerà esponenzialmente sul fronte delle fonti rinnovabili. In questo senso la rete di cui disponiamo oggi è inadeguata (il sistema è quello top-down: dalla centrale all’utenza, con continui attacchi e stacchi).

Perché non costruire, allora, una rete “intelligente” in grado di seguire e gestire questo “nuovo” flusso di produzione? Un sistema di software informatici, ancora da testare, gestirà la produzione. Sperimentare sul territorio avrebbe però comportato parecchi disagi alla popolazione locale, com’è facile comprendere. Si è quindi pensato di utilizzare il Campus universitario di Savona, vero e proprio incubatore per lo sviluppo di tecnologie smart, come “piattaforma di prova”.

Si tratta di energia sia elettrica che termica (fotovoltaico, solare, termodinamico, metano) e di individuare un sistema che riesca ad accumulare la produzione in eccesso. Gli ingegneri hanno sviluppato dei metodi di accumulo intelligente – batterie molto potenti – e un sistema che converta il caldo in freddo (per il condizionamento a fresco d’estate). Il campus è dotato anche di colonne di ricarica per i veicoli elettrici.

Gli obiettivi che ci si è prefissati sono ambiziosi: sviluppare metodologie di gestione e controllo di sistemi energetici per applicazioni civili ed industriali; testare protocolli di comunicazione intelligenti per lo scambio di informazione tra i vari componenti della rete; individuare strategie ottimali di consumo e di produzione energetica; costruire nuovi prodotti Smart Grid, collaborando con il mondo industriale e i gestori delle reti. Infine, ridurre i costi di approvvigionamento energetico del Campus e delle emissioni di CO2.

Si è stimato un risparmio sulla bolletta energetica di circa 50mila euro l’anno, a fronte d’una sensibile riduzione di emissioni di CO2: 120 tonnellate all’anno.

Ma le aziende come sono intervenute nel progetto?

“È forse questo l’elemento più incoraggiante”, prosegue il rettore della Facoltà, Girdinio. “Si è creata una rete industriale in grado di sviluppare interesse, generare lavoro, e investire. Siemens ha vinto la gara d’appalto per lo sviluppo dei software di gestione. Enel testerà i contatori intelligenti e Ansaldo Energia ha investito nel progetto pilota un altro milione di euro. Non solo. Il Ministero dell’Ambiente ha erogato altri fondi per la costituzione di una palazzina a consumo zero, all’interno del Campus, come sito dimostrativo per le scuole. In tutto altri 3 milioni di euro ricevuti lo scorso anno”.

L’interesse per la piattaforma non si ferma ai perimetri nazionali. Il centro di ricerca dell’Università di New Castle ha visitato il Campus perché sta cercando di costruire un quartiere smart simile a quello ligure. L’accordo raggiunto è quello di creare (esempio unico nel suo genere) un laboratorio congiunto tra Genova e il centro britannico per collaborare al modulo che può essere replicato in tutto il mondo, una volta affinato. “Lo abbiamo presentato di recente anche a Singapore – conclude la Preside – suscitando grande interesse”.

Ultimo aspetto non marginale, è l’indotto lavorativo che ha generato la piattaforma: oltre 20 aziende coinvolte tra privati, Enti, Dogane e reti di distribuzione; più di 10mila ore lavoro ripartite tra attività di ingegneria, edilizia, impiantistica elettrica e meccanica”. E l’auspicio è che sia solo l’inizio.

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