Gli avvenimenti degli ultimi mesi rendono impervio il cammino che porta alla realizzazione dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Dopo la pandemia è arrivata la guerra, mentre la crisi climatica bussa sempre più forte alle porte: le nostre società sembrano sempre meno sicure e più vulnerabili. Per metterci al riparo da nuovi shock futuri, che siano ambientali, sociali o economici, bisogna ripartire da politiche legate alla resilienza degli (eco)sistemi, puntando sulla sostenibilità.
Transizione digitale sì, ma sostenibile: tutte le azioni Ue a tutela di diritti e ambiente
Un concetto chiaro all’Onu che già nel 2019 aveva dedicato il decennio in cui ci troviamo all’azione legata ai temi della transizione ecologica e chiaro anche all’Unione europea che ha rilanciato le proprie ambizioni sul Green Deal attraverso l’istituzione del fondo Next Generation Eu.
L’analisi Asvis su Legge di Bilancio e PNRR alla luce dell’Agenda 2030
Per comprendere come le risorse destinate al nostro Paese dall’Europa e quelle del bilancio dello Stato verranno spese, per il secondo anno consecutivo l’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ha sviluppato un’analisi integrata della Legge di Bilancio e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) alla luce dell’Agenda 2030.
Il documento, reso pubblico il 31 marzo rappresenta una valida riflessione sull’attualità, pur non entrando nel merito degli ultimi accadimenti della guerra in Ucraina, destinati a incidere profondamente sul percorso del Pianeta verso la sostenibilità.
La trasformazione sostenibile dell’Italia: le priorità digitali per il 2030
Per la trasformazione sostenibile dell’Italia abbiamo bisogno di attuare, di pari passo, tante forme di “transizione”. La transizione ecologica, che parte innanzitutto da un’evoluzione degli orizzonti culturali, cioè della visione a cui dovrebbero tendere tutte le strategie. La transizione energetica, con l’urgenza di ridurre la nostra dipendenza dal gas e dalle fonti fossili. La transizione digitale, all’intersezione di ogni scelta politica, economica, sociale e ambientale.
Pur essendo di carattere trasversale, le priorità su cui guardare all’orizzonte 2030 per il digitale sono fissate dall’Agenda 2030 specialmente in uno degli obiettivi, il Goal 9 (imprese, innovazione e infrastrutture). Entrando nell’analisi e nelle proposte del rapporto, emerge che il Pnrr destina una quota importante di investimenti all’innovazione della rete infrastrutturale del Paese.
Agevolare il processo di intermodalità
La dimensione digitale risulta fondamentale per la sostenibilità di ogni attività, dalla produzione industriale all’agricoltura, ai servizi: energia, mobilità, sanità, agricoltura, istruzione. Per il settore dei trasporti, il rapporto indica come il Pnrr non fornisca sufficienti garanzie di corrispondenza tra gli investimenti infrastrutturali e la creazione di piattaforme e servizi digitali in grado di agevolare il processo di intermodalità, in particolare nelle attività di movimentazione di merci e persone, nel quadro dell’obiettivo di aumentare del 50% il traffico merci su ferro entro il 2030 e rispetto al 2015.
Un elemento che rappresenta un passo importante per le politiche di decarbonizzazione interne ed europee, visto che la quantità di merci trasportate su ferrovia nel 2020 è diminuita non solo rispetto agli ultimi 5 anni (-3,5%), ma anche rispetto agli ultimi 15 (-7,7%).
Per digitalizzare la catena logistica del Paese il Pnrr prevede investimenti per 250 milioni di euro. L’intento è rendere almeno il 70% dei sistemi utilizzati dagli operatori portuali interoperabili e compatibili fra loro e con la piattaforma strategica nazionale digitale. Altri 110 milioni di euro sono destinati a rendere “smart” il traffico aereo: entro il 2023 almeno 13 aeroporti nazionali dovranno essere dotati di un sistema di gestione del traffico “digitalizzato e operativo”.
Le competenze professionali
Un altro punto fondamentale riguarda le competenze professionali: entro il 2030 il numero di lavoratori specializzati nelle ICT dovrebbe aumentare del 135% rispetto al 2020. Un obiettivo non adeguatamente promosso dal Pnrr, che secondo il rapporto non supporta la crescita economica ed occupazionale del settore, con evidenti carenze negli investimenti. Attualmente in Italia sono presenti 828 mila occupati (dato al 2020) specializzati nelle ICT, “solo” il 28% in più rispetto al 2004.
Rafforzare la figura del CIO
Per invertire la tendenza il rapporto suggerisce, tra l’altro, di rafforzare la figura del CIO (il responsabile della gestione strategica dei sistemi informativi), introducendo agevolazioni occupazionali per questo specifico profilo per tutte le piccole e medie imprese. Occorre, inoltre, semplificare la domanda di connettività 5G, strumento chiave per la sostenibilità e la competitività delle aziende, e introdurre un credito d’imposta specifico per le nuove assunzioni di tecnici specializzati.
La copertura ultrabroadband
Passando al capitolo “connessioni”, si stima entro il 2026 di estendere a tutte le famiglie la copertura della rete a 1 Gigabit/s. Ricordiamo che nel 2020 la copertura della rete Gigabit è stata disponibile solo per il 30% delle famiglie: una quota apparentemente bassa, da considerare però tendenzialmente positiva, visto che è raddoppiata tra il 2015 al 2020. Per raggiungere l’obiettivo del 2026 i 7 miliardi di euro per le reti a banda ultralarga e 5G previsti dal Pnrr mirano a raggiungere diverse finalità: portare la connettività veloce ad almeno 8 milioni e mezzo di unità immobiliari, a 9 mila scuole, a 12.600 km di strade e corridoi suburbani, a 15 mila km2 di aree territoriali definite “a fallimento di mercato”.
Accanto a queste misure sono previsti 60 milioni di euro per l’istituzione del servizio civile digitale, a cui dovrebbero prendere parte almeno un milione di cittadini, e altri 135 milioni di euro per la rete dei servizi di facilitazione digitale.
Il ruolo cruciale delle attività di “ricerca & sviluppo”
Per la buona riuscita di tutte queste operazioni viene evidenziato poi il ruolo cruciale delle attività di “ricerca & sviluppo”. Un ambito spesso trascurato, anche perché poco conosciuto e considerato dai decisori politici ed economici nazionali, su cui l’Italia si trova in una posizione di ritardo rispetto ad altri paesi europee. Negli ultimi 5 anni, infatti, la quota del pil dedicata alla R&S è aumentata di troppo poco per permettere un significativo avvicinamento al target del 3% indicato dall’Europa per il 2030. Purtroppo, le misure del governo, con il Pnrr e la Legge di Bilancio, non risultano ancora sufficienti per attrarre forti investimenti nel settore, anche se lo studio ASviS giudica positivo lo sforzo per incrementare il numero di dottorandi e ricercatori.
Per rendere, anche qui, l’Italia all’avanguardia, riducendo al contempo il fenomeno dei “cervelli in fuga”, bisogna fare leva su piani industriali di ricerca specializzata, valorizzando le eccellenze già presenti sul territorio nazionale, e semplificando le procedure di partecipazione ai bandi. Occorre inoltre implementare un approccio sistemico e integrato, basato su progetti di grandi dimensioni, evitando pratiche frammentarie e i cosiddetti “incentivi a pioggia”, favorendo la partnership tra ricerca pubblica e privata e lo sviluppo di un sistema di incentivi fondati sui risultati. Un ulteriore contributo potrebbe derivare infine dall’esenzione del credito d’imposta per tutti quei soggetti che investono in attività di R&S, senza dimenticare l’importante ruolo, anche di tipo strategico, rivestito dal rafforzamento delle filiere aereospaziali italiane.