Quindici anni fa, un rapporto della Global Enabling Sustainability Initiative (GeSI) intitolato “SMART 2020: Enabling the low carbon economy in the information age” riconosceva l’impatto delle tecnologie digitali sull’ambiente, ma si diceva confidente che queste ultime potessero ridurre gli impatti degli altri settori in misura pari a oltre cinque volte il proprio impatto.
Previsioni sull’impatto del digitale sull’ambiente: qualcosa è andato storto
In particolare, profetizzava che nel 2020 le emissioni globali avrebbero raggiunto le 51,9 GtCO2e (miliardi di tonnellate di CO2 equivalenti) se non si fossero prese contromisure, ma l’utilizzo delle tecnologie digitali applicate ai diversi settori dell’economia avrebbe permesso una riduzione di 7,8 GtCO2e. Per quanto riguarda invece le tecnologie digitali stesse, il rapporto stimava in 0,83 GtCO2e le emissioni del settore nel 2007 con una previsione di crescita fino a 1,43 GtCO2e nel 2020 senza contromisure, ma anche in questo caso si indicavano ampi spazi di efficientamento interno.
Il risultato quindici anni dopo? Nel 2020, Our World in Data registrava emissioni globali pari a 52,6 GtCO2e, in diminuzione dal picco di 54,8 del 2019 solo grazie alle restrizioni dovute alla pandemia (ma nel 2021 le emissioni erano già tornate a livelli pre-pandemici). Anche le emissioni del settore ICT sono in linea con le previsioni di crescita senza contromisure, attestandosi secondo le più recenti stime fra 1 e 1,7 GtCO2e, anche se potrebbero arrivare fino a 2,2 GtCO2e tenendo conto degli “errori di troncamento” dovuti al metodo di calcolo comunemente adottato (C. Freitag et al., “The real climate and transformative impact of ICT: A critique of estimates, trends, and regulations”, 2021).
Evidentemente, qualcosa non è andato secondo le attese, ma che cosa?
Il digitale ha mantenuto le promesse, ma manca una governance globale
Nel rapporto del 2008 si citano sostanzialmente due ambiti dove le tecnologie digitali possono intervenire per ridurre le emissioni: uno è l’efficientamento e l’altro è la sostituzione di attività ad alto impatto.
Per esempio, si stimava che la “dematerializzazione”, in particolare dei viaggi fisici, avrebbe potuto generare riduzioni significative, pari alle emissioni globali dell’Inghilterra dell’epoca. Le dematerializzazioni ci sono state e sono sotto gli occhi di tutti, ma in genere si sono aggiunte alle attività fisiche che dovevano sostituire. I viaggi aerei, per esempio, sono cresciuti da 2,5 miliardi di passeggeri nel 2008 a 4,6 poco prima del lockdown nel 2020 (fonte IEA). Anche per quanto riguarda l’efficienza, difficilmente si potrebbe argomentare che le tecnologie digitali non abbiano mantenuto le promesse: in quindici anni ci sono stati straordinari progressi nella miniaturizzazione e nell’efficienza computazionale e le tecnologie digitali sono diventate pervasive in ogni settore, portando significativi miglioramenti nell’efficienza delle catene logistiche, delle reti elettriche, dei trasporti.
Ma, come osservano gli autori dell’articolo citato, la storia ci ha dimostrato che nonostante questo, le emissioni sono aumentate continuamente: “È rischioso presumere che ulteriori efficienze rese possibili dalle tecnologie digitali cominceranno improvvisamente a generare significative riduzioni delle emissioni senza una governance” specifica. In altre parole, le tecnologie digitali hanno indubbiamente dimostrato una significativa capacità di trasformazione, ma senza un governo globale che fissi obiettivi quantitativi a livello di sistema complessivo questo non è sufficiente.
L’intelligenza artificiale può cambiare le carte in tavola?
Il rapporto di GeSI del 2008 è interessante anche per un altro motivo, e cioè per le modalità con le quali si proponeva di ridurre l’impatto ambientale tramite le tecnologie digitali, ovvero il concetto di approccio “smart”, come indicato dal titolo stesso. In altre parole, il potenziale trasformativo delle tecnologie digitali era individuato soprattutto nella capacità di comprendere e controllare “intelligentemente” i sistemi, capacità indiscutibile anche prima della recente esplosione dell’intelligenza artificiale (IA). Questo dovrebbe farci assumere un atteggiamento di cautela verso le nuove promesse dell’IA in fatto di ambiente, perché le affermazioni che si sentono ripetere sui media sono sorprendentemente simili a quelle di quindici anni fa. Intendiamoci, nessuno mette in dubbio lo straordinario potenziale trasformativo dell’IA. Ma senza una regia globale ci sono pochi elementi per attendersi risultati fondamentalmente diversi.
Tuttavia, oggi c’è una maggior consapevolezza dell’impatto ambientale delle tecnologie digitali e in particolare dell’IA, tanto che il legislatore europeo ha introdotto nel testo dell’AI Act la nuova normativa sull’intelligenza artificiale in corso di approvazione, la richiesta di fornire informazioni sul consumo energetico dei modelli di IA più “rischiosi” e un invito agli sviluppatori ad adottare tutti i metodi disponibili per ridurne il consumo energetico.
Un altro elemento di novità è dato dalla potenzialità dell’IA, soprattutto della sua incarnazione nei large language models (modelli linguistici generativi come GPT, LLaMA e PaLM2) di diventare tema di dibattito pubblico e di interesse per la politica, come riassunto da una recente analisi di Andreas Jungherr, professore di scienze politiche all’università di Bamberg (“Artificial Intelligence and Democracy: A Conceptual Framework”, 2023). Questo è un fattore di straordinaria differenziazione rispetto al passato e potrebbe incidere profondamente anche sulle tematiche ambientali, se è vero come abbiamo argomentato che senza una regia globale il potenziale trasformativo delle tecnologie digitali non porta i risultati sperati.
L’IA e la regia globale: una nuova prospettiva
L’IA può contribuire a costruire tale regia globale in vari modi, ma in particolare rafforzando il consenso sulle posizioni scientifiche e basate sui fatti nel dibattito pubblico e supportando i decisori politici nel regolare e governare un sistema estremamente complesso come la società e l’economia globalizzate. Alcune delle linee di ricerca e sviluppo più stimolanti del settore riguardano proprio l’applicazione dell’IA all’identificazione dei claim fattuali, sia in ambito scientifico che nei media.
Il ruolo delle aziende nella sostenibilità digitale
In questo quadro generale, che cosa possono fare le singole aziende? Innanzitutto, non cedere alla tentazione di considerare il proprio contributo come trascurabile rispetto a fenomeni troppo grandi. Se è vero che la questione ambientale richiede un approccio globale e di sistema, è altrettanto vero che il sistema è fatto dai suoi componenti. Nel caso specifico delle applicazioni di IA, le aziende hanno diverse leve per indirizzare al proprio livello i rischi e le opportunità in termini di impatto ambientale.
Lavorare sul consumo delle risorse
Da una parte si può lavorare sull’impatto diretto in termini di consumo di risorse. È noto infatti che i modelli di IA più recenti, basati su reti neurali di grandi dimensioni e apprendimento profondo, richiedono spesso enormi risorse di memoria e capacità di calcolo. Indirizzare questo problema non solo può avere effetti positivi sull’ambiente, ma anche sui costi, sulla conformità normativa (almeno in prospettiva) e sull’efficienza operativa.
Scegliere un modello di IA adeguato
In questo caso, le leve di governo a disposizione delle aziende sono principalmente tecniche e consistono nella scelta del modello, che deve essere adeguato al caso d’uso considerato (raramente utilizzare un cannone per uccidere una mosca è una buona idea), nella individuazione dei dati per l’addestramento (la qualità fa la differenza, anche nel volume dei dati richiesto) e nella scelta dell’architettura IT (per esempio, privilegiando architetture che possono allocare le risorse dinamicamente solo quando necessario).
Usare le capacità avanzate dell’IA per la simulazione di scenari diversi
Dall’altra parte, anche l’azienda è a suo modo un sistema complesso che va governato come tale anche dal punto di vista ambientale. Questo richiede l’introduzione di metriche integrate che devono affiancarsi alle tradizionali metriche di tipo economico. Per aziende medio-grandi, come stiamo sperimentando in diversi progetti attualmente in corso, il monitoraggio e l’interpretazione di tali metriche può essere molto complesso, e il processo decisionale che ne consegue può beneficiare ampiamente delle capacità avanzate dell’IA di simulazione di scenari diversi e di identificazione di “pattern” significativi nella marea di dati disponibili.
Monitorare la filiera grazie ai dati
Infine, nessuna azienda opera in completo isolamento ma fa parte di una filiera più ampia e, come abbiamo spiegato, i benefici in termini di sostenibilità saranno tanto maggiori quanto più si riuscirà a fare sistema.
Verso un mercato dei dati di sostenibilità
La colla che consente di monitorare e governare un’intera filiera sono i dati. La visione di Cefriel prevede di conseguenza la creazione incrementale di un “mercato dei dati”, dove le imprese potranno scambiare i propri dati di sostenibilità, consentendo alle grandi imprese a capo della filiera di utilizzarli in modo regolamentato per governare il percorso di sostenibilità dei propri fornitori, e ai soggetti istituzionali come enti regolatori e gestori delle grandi infrastrutture energetiche di monitorare e indirizzare correttamente la filiera in modo da raggiungere il massimo beneficio ambientale.
La realizzazione di questa visione richiede metodi e strumenti per la creazione di ecosistemi digitali che Cefriel ha sviluppato nel corso degli anni, e l’applicazione di modelli di IA per realizzare un governo davvero a livello di sistema, quello che è mancato finora.