Per far fronte alla crisi energetica e ai rincari in termini di costi dell’elettricità e del gas, l’autoproduzione di energia può svolgere un ruolo chiave. Ed è qui che entrano in gioco le cosiddette comunità energetiche rinnovabili, incentivate dal PNRR, che si inseriscono perfettamente nella strategia di autosufficienza verso cui l’Europa è sempre più orientata.
Cos’è una comunità energetica rinnovabile
La comunità energetica rinnovabile (CER), concetto nato nel Nord Europa e sposato poi dall’Italia e dal resto d’Europa come modello particolarmente sostenibile, è un’organizzazione di soggetti che possono essere produttori di energia sostenibile (ad esempio fotovoltaica, eolica, idroelettrica) e consumatori (privati, imprese, PA o enti del terzo settore), che si mettono d’accordo per condividere l’energia prodotta a livello locale. Grazie alle CER, i soggetti coinvolti producono, auto-consumano e condividono energia prodotta da fonti rinnovabili e, in base a questa dinamica, raggiungono obiettivi economici, sociali e di sostenibilità ambientale.
Le prime comunità energetiche sono sorte già all’inizio del XX secolo, quando sono nati i primi progetti di produzione e consumo locale di energia, mentre nel corso degli anni ’70 hanno preso forma alcune cooperative di cittadini per la promozione delle energie rinnovabili – dapprima in Danimarca, per poi diffondersi, negli anni ’80, in Germania e Belgio. Poi, negli anni 2000 è arrivato nuovo slancio al modello delle CER grazie alla liberalizzazione del mercato energetico e all’innovazione tecnologica.
Le Comunità Energetiche in Italia
La prima CE italiana è stata la SEM – Società Elettrica di Morbegno, fondata nel 1897, che produce energia elettrica attraverso lo sfruttamento di 8 impianti idroelettrici situati tra Valtellina e Alto Lario. Poi, nel 1911 venne fondata la Cooperativa Elettrica Alto But in Friuli, la prima azienda friulana per la produzione e la distribuzione di energia idroelettrica sorta in forma di cooperativa, che nel 1913 inaugurò il sesto impianto destinato alla produzione di energia elettrica per l’industria e il consumo privato. Nonostante sia stata tra i primi Paesi a costituire le comunità energetiche, tuttavia, l’Italia non è ancora riuscita ad applicare il modello a largo spettro: a oggi, sul territorio nazionale si contano solo poche decine di CER.
Nuovo slancio potrebbe arrivare con il Decreto Milleproroghe 162/2019, grazie al quale è stata promossa nel Bel Paese la legge sulle comunità energetiche, che le ha riconosciute e ha recepito la Direttiva europea RED II 2001/2018 che dà valenza giuridica alle associazioni e introduce la figura del produttore/consumatore di energia (il cosiddetto prosumer). Grazie ai progressi compiuti dall’Europa e dal Governo italiano, si è così passati da uno scenario dominato da consumatori passivi, legati a un solo fornitore di energia, a un contesto che vede la presenza di consumatori attivi e consapevoli, che diventano essi stessi produttori e puntano sulle energie rinnovabili.
Guardando più nel dettaglio all’Italia, si è comunemente portati a pensare che le CE abbiano successo solo nel Nord del Paese, ma l’esperienza di Termo ha dimostrato che le comunità energetiche funzionano molto bene anche al Sud. Bisogna però tenere in considerazione che impianti di questo genere nascono in base al fabbisogno energetico, stimolato anche dal tessuto industriale e, se si guarda al territorio italiano, il Settentrione è ancora l’area più fertile e ricca di industrie.
Quali vantaggi per le comunità energetiche
Oggi, in Italia i benefici previsti per la costituzione di una CE sono molteplici. Pur non rientrando all’interno dei lavori di riqualificazione energetica previsti dal Superbonus, infatti, le CER possono comunque usufruire dell’Ecobonus oppure della detrazione fiscale del 50%.
Inoltre, non vanno dimenticati vantaggi quali la tariffa incentivante, che il GSE (Gestore del Servizio Elettrico Nazionale) eroga a tutti i soggetti partecipanti relativamente alla parte di energia che è stata condivisa e consumata “a km 0”. Dalla messa in rete dell’energia non consumata, i soggetti possono ricevere dai 60€ ai 130€ per megawatt prodotto e auto-consumato.
L’implementazione delle comunità energetiche sembra quindi destinata a decollare, soprattutto se si considera che, non appena sarà approvata la bozza del relativo Decreto Attuativo, il PNRR prevede l’erogazione di un ulteriore contributo per la costruzione e la portata in esercizio delle CER.
Ma gli incentivi non sono solo economici: la creazione delle comunità energetiche, infatti, porta vantaggi anche alla società in senso generale, poiché aiuta a migliorare l’economia collaborativa o sharing economy, alla base dell’economia circolare, a favore dell’ambiente e della qualità di vita.
Comunità Energetiche come motore di innovazione
Lo scopo ultimo di una comunità energetica è quello di ottimizzare la gestione energetica e renderla più efficiente, autoproducendo, auto-consumando e condividendo l’energia. Le CER sono soluzioni che hanno conosciuto nuovo slancio nei tempi recenti, in continuo cambiamento e miglioramento, che possono portare valore nei territori in cui vengono costituite.
Il fatto di coinvolgere sempre di più la collettività nei lavori di ristrutturazione e riqualificazione, grazie a operazioni di economie di scala o reinvestimento degli utili, rappresenta un vero e proprio tratto di novità nell’ecosistema del Paese.
Dal punto di vista dell’innovazione, le CER svolgono un ruolo importante per lo sviluppo di quei meccanismi, necessari a profilare i consumi e la produzione energetica dei soggetti appartenenti alla comunità: se i soggetti che aderiscono saranno in grado di prevedere i consumi che si potranno verificare, di conseguenza aumenterà la possibilità di espansione della comunità stessa.
Le tecnologie alla base delle CER
In un contesto in cui si parla sempre più di energy e business intelligence, l’innovazione delle comunità energetiche si riflette anche nelle tecnologie che vengono utilizzate e nell’”economia” interna che viene messa in atto.
Dal punto di vista tecnologico, sono disponibili soluzioni hardware e software che forniscono numerosi servizi, dal monitoraggio alla reportistica, fino alla ridistribuzione dei benefici all’interno della comunità stessa: questa tecnologia consente di misurare puntualmente la produzione e i consumi di energia all’interno della CER, consentendo modelli di ripartizione degli utili più sofisticati ma anche estendere le comunità ad un numero sempre maggiore di soggetti. È quindi fondamentale che le CE siano fornite di tutte quelle tecnologie che aiutano il monitoraggio dei consumi e facilitino il risparmio di energia.
I nuovi prosumer dovranno poter fare affidamento su sistemi di monitoraggio e di accumulo dell’energia all’avanguardia, che permettano una vera e propria interazione con la cosiddetta smart grid e consentano di sfruttare al meglio l’autoproduzione di energia.
Questo si inserisce in un’ottica più ampia di Sector Coupling (ovvero la diffusione delle tecnologie basate sull’elettricità nei settori chiave), che vede proprio negli edifici una risorsa importante per la produzione e la ridistribuzione dell’energia rinnovabile.
Conclusioni
La società in cui viviamo è sempre più attenta a spesa, sprechi e ambiente ed è per questo che le comunità energetiche acquisiranno sempre più valore. Queste possono essere la risposta alla necessità sia di produrre energia green, sia di ridurre la povertà energetica (ovvero l‘incapacità da parte delle famiglie di acquistare un paniere minimo di servizi essenziali). La costituzione delle CER può essere una soluzione per mitigare tale fenomeno, grazie all’implementazione di sistemi condivisi e protocolli per l’ottimizzazione e la riduzione dei consumi che coinvolgono i consumatori e li rendono sempre più consapevoli dei propri comportamenti.