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Le diseguaglianze aumentano, gli ultimi numeri che è delitto ignorare



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Le disuguaglianze economiche e sociali non sono inevitabili, ma il risultato di politiche e decisioni deliberate che hanno prodotto negli ultimi decenni profondi mutamenti nella distribuzione di risorse, dotazioni, opportunità e potere tra gli individui. Gli allarmanti risultati dell’ultimo rapporto Oxfam sulle disuguaglianze nel mondo

Pubblicato il 19 gen 2024

Lelio Demichelis

Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria



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L’ultimo Rapporto Oxfam sulle disuguaglianze nel mondo – presentato in occasione del WEF di Davos – è impietoso. Le disuguaglianze aumentano ancora.

Dovremmo preoccuparci, se guardassimo alla storia e a ciò che le disuguaglianze possono produrre; ma nessuno sembra preoccuparsene davvero e troppi governi nel mondo – per non dire ciascuno di noi che li vota – sembrano accettarle ormai come un dato di fatto immodificabile (come il capitalismo che le produce).

D’altra parte, non dovremmo stupirci di questa inazione (oltre ad essere una violazione della Dichiarazione universale dei diritti umani e, per l’Italia, della Costituzione, in particolare dell’articolo 3 – dove invece il governo neoliberale delle destre abolisce il Reddito di cittadinanza): come infatti ricordava l’economista Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001, la disuguaglianza crescente non è un accidente della storia degli ultimi quarant’anni, ma una precisa scelta politica del neoliberalismo, ormai egemone sul mondo intero da quattro decenni con le sue scelte politiche – si veda il nuovo/vecchio Patto di stabilità europeo. E solo il nuovo Presidente neoliberista dell’Argentina – Javier Milei – può affermare impudentemente a Davos che: “Il mondo occidentale è in pericolo a causa del socialismo”, dimostrando con le sue parole i danni che può produrre un’ideologia (quella neoliberale appunto), rendendo ciechi nei confronti della realtà – perché dov’è il socialismo in Europa?

Il potere al servizio di pochi: le disuguaglianze secondo il rapporto Oxfam

Perché stupirci dunque se la disuguaglianza aumenta, se questo è appunto il fine perseguito e pianificato dal neoliberalismo, nella convinzione per cui una società ingiusta è più competitiva, quindi favorisce il mercato e la massimizzazione del profitto (privato)? La redistribuzione keynesiana della ricchezza, le politiche sociali, la ricerca della piena occupazione? Cose vecchie, fuori moda – che portano anzi alla servitù e alla perdita della libertà, come sosteneva l’ideologo del neoliberismo von Hayek – e che per anni hanno ingessato il mercato e rallentato l’innovazione, mentre la disuguaglianza stimola appunto la competizione e tutti si devono svendere sul mercato del lavoro, l’esercito industriale di riserva cresce ed è sempre pronto per essere ulteriormente mercificato e sfruttato, il costo del lavoro diminuisce, i profitti aumentano. Viva quindi la disuguaglianza!

Guardiamo dunque cosa è contenuto nell’ultimo Rapporto Oxfam: “Elevate e crescenti disuguaglianze rappresentano un tratto tristemente distintivo dell’epoca in cui viviamo. Le recenti gravi crisi hanno ampliato disparità e fratture sociali, inaugurando quello che non stentiamo a definire come il decennio di grandi divari con miliardi di persone costrette a vedere crescere le proprie fragilità e a sopportare il peso di epidemie, carovita, conflitti, eventi metereologici estremi sempre più frequenti”, cui si contrappone “una manciata di super-ricchi che moltiplicano le proprie fortune a ritmi parossistici”. E “sembra la trama di un film distopico” e invece è la realtà che denuncia appunto il Rapporto annuale di Oxfam, dal titolo più che esplicito di: Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi.

Miliardari sempre ricchi

Nel dettaglio: “oggi, i miliardari globali sono, in termini reali, più ricchi di 3.300 miliardi di dollari rispetto al 2020 e il valore dei loro patrimoni è cresciuto tre volte più velocemente del tasso di inflazione”; e ancora: “dall’inizio della pandemia i 5 uomini più ricchi al mondo hanno più che raddoppiato le proprie fortune, a un ritmo di 14 milioni di dollari all’ora, mentre la ricchezza aggregata di quasi 5 miliardi delle persone più povere non ha mostrato barlumi di crescita”. Se il trend verrà confermato, se non vi saranno inversioni nelle politiche economiche, fiscali e sociali nel mondo, scrive Oxfam, “nel giro di un decennio potremmo avere il primo trilionario della storia dell’umanità, ma ci vorranno oltre due secoli (230 anni) per porre fine alla povertà”.

Milionari, trilionari e imprese

“Tra le dieci società più grandi al mondo – colossi, il cui valore in borsa supera il prodotto interno lordo combinato di tutti i Paesi dell’Africa e dell’America Latinasette hanno un miliardario come amministratore delegato o azionista di riferimento. Non stupisce pertanto che l’incremento dei patrimoni dei miliardari rispecchi la straordinaria performance delle società che controllano”. E se si fa un consuntivo dell’anno appena concluso, il 2023 “è destinato ad essere ricordato come l’anno più redditizio di sempre per le grandi corporation. Complessivamente, 148 tra le più grandi aziende al mondo hanno realizzato profitti per circa 1.800 miliardi di dollari tra giugno 2022 e giugno 2023 con un aumento del 52,5% degli utili rispetto alla media del quadriennio 2018-21. Per ogni 100 dollari di profitti generati da 96 tra i maggiori colossi globali, 82 dollari sono fluiti ai ricchi azionisti sotto forma di dividendi o riacquisti delle azioni proprie”. Ed è quindi evidente che a “non essere ricompensato adeguatamente è invece chi con il proprio duro lavoro, spesso precario e poco sicuro, contribuisce a rendere floride quelle stesse imprese”.

Si è compiuto il disegno del neoliberalismo

Così e ancora confermandosi ciò che scriveva un teorico del neoliberalismo come Walter Lippmann negli anni ’30 del ‘900, e cioè che il neoliberalismo è l’unica filosofia capace di far adattare la società e gli individui alle esigenze della rivoluzione industriale e della divisione del lavoro. Il Rapporto Oxfam dimostra allora che questo nostro adattamento alle esigenze delle imprese e del capitale e attuato da quarant’anni di neoliberalismo ha raggiunto perfettamente il suo scopo e si è compiuta la sua pianificazione incessante della vita umana (da trasformare in merce di se stessa per il profitto dello stesso capitale) e la società in mercato competitivo.

Ovvero il neoliberalismo – riprendendo la lettura dei processi del filosofo della politica Massimo De Carolis – ha cancellato il contratto sociale sei-settecentesco che in vari modi ci aveva idealmente – ma anche sostanzialmente – fatto uscire dallo stato di natura hobbesiano, riportandoci tutti allo stato di natura addirittura istituzionalizzandolo – appunto nella società diventata mercato, con il mercato che deve sovra-ordinarsi allo stato e alla società, mercificando ogni cosa, atomizzando ancora di più gli individui e lasciandoli soli davanti ai fallimenti personali – perché anche questo serve a temprare uomini sempre più competitivi (questo dice appunto il neoliberalismo: che la società non esiste – quindi non esistono neppure la solidarietà e l’uguaglianza – ma esistono solo gli individui) e a sfruttarli meglio. Se poi al neoliberalismo aggiungiamo il digitale…

Continua il Rapporto Oxfam: basandosi “sui dati della World Benchmarking Alliance relativi a 1.600 tra le più grandi aziende del mondo si rivela come solo lo 0,4% di esse si sia pubblicamente impegnato a corrispondere ai propri lavoratori un salario dignitoso e a supportarne l’introduzione lungo le proprie catene di valore” – che poi lo abbiano fatto realmente è un altro discorso.

“Inoltre, mentre durante la fase più acuta della crisi inflattiva le imprese sono riuscite a tutelare i propri margini di profitto, ampi segmenti della forza lavoro hanno perso potere d’acquisto, collocandosi tra i perdenti del conflitto distributivo insito alla crisi del caro-prezzi. Per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione. Il relativo monte salari ha visto un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022, una perdita equivalente a quasi uno stipendio mensile (25 giorni) per ciascun lavoratore”. Dati che si commentano da sé.

Gli effetti sociali e ambientali della disuguaglianza

E Oxfam conclude (e rimandiamo a Stiglitz): “Non c’è nulla di più erroneo, tuttavia, nel normalizzare le persistenti disparità e nel considerarle come un fenomeno casuale ed ineluttabile. Le disuguaglianze sono piuttosto il risultato di scelte (o, talvolta, non-scelte) della politica che hanno prodotto negli ultimi decenni profondi mutamenti nella distribuzione di risorse, dotazioni, opportunità e potere tra gli individui. La dinamica del potere rappresenta, in particolare, la principale chiave narrativa del rapporto”.

Dinamica del potere – per noi, l’egemonia dell’ideologia totalitaria del neoliberalismo: per cui (Oxfam), “la dimensione economica del potere, la cui accresciuta concentrazione – sospinta dal rilassamento delle politiche di tutela della concorrenza e agevolata dalla finanziarizzazione dell’economia e dalla sempre più marcata presenza del settore privato nella sfera pubblica – ha incrementato le rendite di posizione, indebolito il potere contrattuale dei lavoratori, soprattutto quelli meno qualificati, e prodotto forti sperequazioni […]. Una redistribuzione alla rovescia con un trasferimento di risorse da lavoratori e consumatori a titolari e manager di grandi imprese monopolistiche con conseguente accumulazione di enormi fortune nelle mani di pochi”.

Ricompensata la ricchezza, non il lavoro

Ovvero, si è “ricompensata la ricchezza, non il lavoro. Le grandi corporation alimentano le disuguaglianze quando usano il proprio potere per comprimere i costi del lavoro e i diritti dei lavoratori. I bassi salari e il ricorso a forme contrattuali non standard fanno sì che, lungi dal ricavare benefici adeguati dalla ricchezza che contribuiscono a creare, molti lavoratori restino intrappolati nella spirale della povertà”. Sono poi stati elusi, spesso con la complicità degli stati, “gli obblighi fiscali, con la decennale riduzione delle imposte sui redditi delle società, la pianificazione fiscale aggressiva delle grandi corporation e il ricorso ai paradisi fiscali, che si sono tradotti in aliquote effettive del prelievo sulle multinazionali basse e talora prossime allo zero. I paesi di tutto il mondo si vedono così privati di migliaia di miliardi di dollari destinabili a politiche di riduzione della disuguaglianza e della povertà. Ogni dollaro eluso al fisco è un’infermiera che non verrà mai assunta o una scuola che non potrà essere costruita”. Ma anche questa è stata appunto una scelta politica dettata dal neoliberalismo, perché prima vengono le esigenze delle imprese e della divisione del lavoro

I danni della mercificazione dei servizi di primaria importanza

Ancora il neoliberalismo, dunque. Scrive Oxfam: “In tutto il mondo, si registra da anni una crescente tendenza alla privatizzazione dei servizi pubblici, alla mercificazione di servizi di primaria importanza come l’acqua, l’istruzione, l’assistenza sanitaria e a garantire un accesso ai servizi solo a chi può permettersi di pagare”. Di più: tutto questo non ha fatto che “alimentare la crisi climatica […] che a sua volta sta causando grandi sofferenze ed esacerbando le disuguaglianze. La ricerca di profitti a breve termine da parte delle multinazionali ha portato il mondo sull’orlo del collasso climatico, mentre i combustibili fossili favoriscono la crescita delle fortune per molti tra i super-facoltosi [come conferma il fallimento della recente COP 28]. Se i ricchi e i paesi ricchi sono in molti modi responsabili della crisi climatica, sono però le persone nei paesi a basso reddito e coloro che vivono in povertà, ovunque nel mondo, a essere colpite più duramente”.

Possibili soluzioni e ruolo dei governi

Per Oxfam, “garantire un futuro più equo e dignitoso per tutti è un imperativo etico. Il potere pubblico deve riacquistare centralità e i governi devono usare il proprio potere politico per promuovere società più eque e coese, investendo in beni e servizi pubblici di qualità accessibili a tutti, ridando potere, dignità e valore al lavoro, agendo sulla leva fiscale per appianare le disuguaglianze.

governi devono parimenti ricondurre il potere economico a obiettivi che vadano a beneficio dell’intera collettività, spezzando i regimi monopolistici, tutelando la concorrenza, tassando di più la ricchezza e i profitti societari e incentivando modelli d’impresa più sostenibili […]”.

Tutto giusto. Ma in premessa occorre uscire dal totalitarismo neoliberale e spogliarci, rottamandola, della sua ideologia. Che invece, nel mondo, vince ancora.

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