Dopo le elezioni europee si è accentuata la richiesta di accelerare nella realizzazione dell’Agenda Digitale.
Da parte sua, Matteo Renzi, se vorrà procedere con successo nella riforma della Pubblica Amministrazione italiana, dovrà realizzare le condizioni perché l’I.T. contribuisca in modo decisivo a semplificare e a cambiare i “processi” e i “prodotti” erogati dal mondo pubblico. Ma, è sufficiente tutto ciò?
Meglio, sono sufficienti “l’identità elettronica” e la “fatturazione elettronica”, ovvero le eredità lascate da Francesco Caio? Ovviamente queste attività dovranno continuare e giungere a un rapido compimento. Esse tuttavia non sono la risposta alle richieste di cambiamento avanzate da Matteo Renzi. Che fare ora, ci si chiede?
Sicuramente dovremmo procedere percorrendo due strade strettamente intrecciate tra di loro.
1- All’introduzione nella P.A. di massicce dosi di I.T., dovrà corrispondere un cambiamento delle modalità organizzative e della premialità per i pubblici dipendenti. Sinergicamente ogni cambiamento di modello organizzativo avrà bisogno di un supporto dell’I.T. per dare i suoi frutti.
Ciò dovrà però passare inevitabilmente attraverso un processo di delegificazione e di semplificazione.
Parliamoci chiaramente. Il Codice dell’Amministrazione Digitale è sicuramente il motivo principale a causa del quale l’I.T. pubblico non fa apprezzabili passi in avanti. I principi di fondo vanno sicuramente codificati (il diritto all’accesso, la interoperabilità dei dati ecc.), le modalità applicative vanno lasciate libere. Le “regole di ingaggio” come la corretta misurazione delle performance economiche, la qualità dei rapporti tra i cittadini e la P.A. andrà costantemente monitorata e resa disponibile a tutti i cittadini secondo il principio dell’open data.
In tutti i casi queste attività andranno accompagnate da politiche indirizzate al lavoro nella P.A. finalizzate alla formazione (non i soliti corse sulle norme) e alla mobilità.
Ricordiamoci sempre: la politica industriale per l’I.T. non si riduce all’introduzione di più macchine. Così è destinata al fallimento. L’I.T. cambia qualitativamente la vita e il lavoro di tutti noi. Il social networking e il micro blogging cambiano le modalità comunicative tra esseri umani. La P.A. non può vivere in un altro pianeta.
La P.A. deve fare tesoro del mondo della reciprocità e del dialogo, non può continuare a subirla con un certo fastidio.
2- Queste politiche daranno i loro frutti positivi soprattutto nei territori.
Sono le città (le città intelligenti) i luoghi dove il potere “antico” della burocrazia pubblica si manifesta nei peggiori modi possibili. È la città il luogo dove operano maggiormente le persone e le imprese. Fino ad ora l’Agenda Digitale è stata concepita come un assieme -nel suo delinearsi casuale- di attività, norme, regolamenti di stampo centralistico.
Oggi, all’opposto, dal Governo dovrebbe arrivare una forte sollecitazione a redigere le Agende digitali locali. È la giusta risposta al tema delle smart cities che non può, al pari di una moda passeggera, essere relegato solo alla convegnistica.
Dobbiamo acquisire preliminarmente la consapevolezza che ogni realtà territoriale è diversa dalle altre. Milano non è Caltanisetta. I territori sono diversi tra di loro, anche nella necessità di innovare e, soprattutto, decidere cosa innovare.
La codificazione dei principi generali darà “obiettivi Paese” comuni a tutti i diversi territori. Le priorità e le modalità andranno però lasciate ad ogni territorio. D’altronde “obbligatori”, poiché indispensabili, piani di alfabetizzazione digitale potranno realizzarsi con efficacia solo a partire dai territori.
Anche in questo caso la necessità di mutare le forme organizzative, di inaugurare politiche basate sulla priorità dei risultati da raggiungere, piuttosto che sulla priorità del rispetto formale delle procedure giuridiche da adottare, sarà assolutamente indispensabile.
Di fronte a queste riflessioni qualcuno sosterrà che così si verrebbe a creare un Paese a “più velocità”.
Vero. Ma fino ad ora il centralismo legislativo, la digitalizzazione dell’esistente, la pretesa di codificare il tutto hanno portato al disastro attuale.
È il momento di percorrere le strade inesplorate.