La crisi inaugurata con la diffusione del Covid-19 ha dato prova della relazione esistente tra sostenibilità aziendale, resilienza al cambiamento del contesto e performance economica. Difatti le aziende con una strategia esposta verso obiettivi ESG (Environmental, Social, Governance) hanno affrontato la crisi in corso decisamente meglio delle altre.
L’emergenza, inoltre, ci ha offerto l’opportunità di riflettere anche su temi che, se visti da una prospettiva gestionale, possono essere considerati comparabili alla pandemia. Si tratta di questioni che non possono prescindere da interventi locali ma che hanno impatto globale e necessitano un coordinamento altrettanto ampio, come nel caso del cambiamento climatico. La classe dirigente ha realizzato che la collaborazione e la cooperazione internazionali sono elementi imprescindibili per la risoluzione di problemi planetari.
Contrasto ai cambiamenti climatici, banche e finanza in prima linea: le strategie
In questo scenario di cambiamento radicale della prospettiva di osservazione delle attività e delle scelte imprenditoriali, le tematiche ESG assumono un ruolo crescente a prescindere dal settore in cui ogni organizzazione opera e dallo stadio della filiera in cui è collocata.
Per quanto riguarda le imprese, tanto pubbliche quanto private, l’adesione ai fattori ESG ha impatti notevoli verso ogni loro stakeholder, da quelli diretti (ad esempio, gli azionisti e i clienti) a quelli indiretti (per esempio, il territorio di cui sono ospiti e le popolazioni umane e non che lo popolano). È proprio il tessuto sociale quello che accomuna gli stakeholder dei due tipi, talché risulta ad un certo punto impossibile distinguere gli interessi degli uni e degli altri.
Appare chiaro che questo stretto rapporto tra le scelte ESG delle aziende e i loro stakeholder incide fortemente nella visione che un osservatore terzo potrà avere di quell’operatore economico, a questo punto diventato economico-sociale. Da questa visione origina la fiducia che quella ditta potrà riscuotere, dunque il suo avvenire prossimo e successivo.
Il legame ESG/credito bancario
È a partire da questa semplice riflessione che si può ben intuire perché gli operatori finanziari che investono sui risultati futuri delle aziende stiano sempre più considerando l’atteggiamento ESG di ognuna di esse come parametro per la sua valutazione, così da aumentare la sicurezza degli investimenti e dei prestiti accordati.
Visto così, il legame ESG/credito bancario non appare più come la semplice presa d’atto del potere di una parola magica come “sostenibilità” ma, anzi, emerge in tutta la propria pragmatica qualità: se l’azienda non effettua scelte sulla base dei valori ESG, qualsiasi creditore o finanziatore percepisce che essa entrerà presto in conflitto con gli interessi dei propri stakeholder, aumentando rapidamente il rischio di porsi fuori mercato e, infine, di soccombere ad esso.
Per favorire lo sviluppo e l’articolazione di questi collegamenti e processi complessi ma virtuosi, occorre agire sulla fiducia quale pilastro alla base delle relazioni tra organizzazioni. Tale fiducia può radicarsi solo laddove la trasparenza informativa prevale sull’opacità e sull’indeterminatezza.
La necessità di metodi strutturati per collezionare dati coerenti
Attualmente, però, c’è una percezione diffusa di asimmetria informativa sia nelle fasi di raccolta che nella condivisione di informazioni su attività ambientale, sociale e di governance delle aziende. La scarsità di metodi strutturati per collezionare dati coerenti con l’obiettivo e per definire regimi di divulgazione, unita alla limitata possibilità di verificare la veridicità delle autodichiarazioni influenzano negativamente la fiducia nelle analisi a livello aggregato.
Environmental, Social, Governance
Se con SDGs si indicano gli obiettivi, con la sigla ESG (Environmental, Social, Governance) si riepiloga l’insieme delle “considerations”, come le definisce la UE, o meglio dei valori caratteristici che devono guidare gli atteggiamenti di persone e organizzazioni in modo da favorire questo passaggio da un modello economico e sociale inefficiente ad uno a più basso e migliore consumo energetico.
Parafrasando la Commissione Europea, con “Environmental” si intende quanto riferito a ciò che si può fare per combattere il mutamento climatico, preservare la biodiversità, prevenire l’inquinamento e favorire l’economia circolare; con l’aggettivo “Social” si indica l’atteggiamento rivolto tanto ad eliminare dalle consuetudini quei comportamenti che provocano diseguaglianze basate su preconcetti irrazionali, spesso radicate nella cultura locale e di cui fanno le spese le persone di altre etnie, religione o scelte sessuali, quanto a migliorare i rapporti all’interno delle aziende e tra queste e le comunità locali; infine, con “Governance” si fa riferimento alle istituzioni pubbliche e private affinché gestione delle infrastrutture, relazioni con i lavoratori e decisioni del management siano trasparenti e rispettose dei valori ambientali e sociali.
“Governance” è dunque su un altro piano rispetto ad “Environmental” e “Social”: questi ultimi sono i valori che, strettamente connessi tra loro, indicano la rotta verso il cambiamento, mentre la prima è il meccanismo interno alle organizzazioni che permette di compierla.
La pandemia degli ultimi due anni ha concentrato l’attenzione su numerosi temi tipicamente riferibili alla componente “Social” degli obiettivi ESG. Si pensi alla necessità di conservare o di far leva sull’occupazione, di preservare la stabilità sociale, all’urgenza di infrastrutture fisiche e digitali, alla protezione dei dati e alla sicurezza di tutti gli stakeholder, primi fra tutti i dipendenti.
A seconda dell’interpretazione, l’ascesa dei temi ESG può costituire un rischio oppure un’opportunità di accesso ai mercati finanziari, di presentazione a nuove platee di consumatori ed utenti e di posizionamento, di crescita del business e di ampliamento del network.
Il messaggio si fa ogni giorno più chiaro e diretto, provenendo in maniera esplicita dai comunicati che le banche destinano ai propri clienti. Gli istituti bancari veicolano queste dichiarazioni non solo verso le aziende clienti ma anche verso le singole persone, in particolare quelle che hanno affidato loro la gestione dei propri patrimoni. Lo fanno perché le stesse banche sono imprese che necessitano della fiducia generale, quella sociale più estesa e quella dei governi locali, che sono i mediatori del grande flusso finanziario che deve essere erogato al sistema economico-industriale per favorirne il trapasso dal vecchio al nuovo modello di sviluppo.
Una prospettiva nuova, non imposta dalle istituzioni ma proposta dal mercato. Se, infatti, finora abbiamo dato per scontato che le imprese possono avere un impatto sul territorio, sulle comunità e sulla società in generale, si è forse trascurata un’altra questione che, per chi fa impresa, potrebbe risultare altrettanto importante: territorio e comunità possono pesantemente influenzare la competitività e il successo di queste organizzazioni. Potremmo dire che, come mai prima d’ora, “necessità” di impresa è “opportunità” per tutti.
L’importanza dei meccanismi di certificazione
Partendo da queste osservazioni, la creazione di uno standard di valutazione non rappresenta solo un “esercizio di stile” propedeutico alla definizione di regole per motivi di compliance ma, nei prossimi anni, acquisirà una rilevanza sempre più strategica: la selezione di un insieme condiviso e universale di KPI abilita la possibilità di indirizzare univocamente le energie e gli investimenti delle istituzioni e delle organizzazioni, massimizzandone l’efficacia complessiva, e quella di traghettare il mondo verso la società sostenibile del futuro. Occorre, quindi, frenare la proliferazione dei quadri di riferimento internazionali relativi alle metriche ESG e definire (e attuare) meccanismi di certificazione dei dati raccolti e degli indicatori, così da permettere sia al mercato business che consumer di confrontare le performance imprenditoriali da nuovi punti di osservazione.
Per questo motivo la Commissione Europea ha attivato un tavolo di specialisti con lo scopo di creare una formulazione univoca di un indice che possa esprimere sinteticamente il “valore ESG” di un qualsiasi attore dell’economia.
L’appello dei grandi gruppi economici alla Ue
In tal senso, grandi gruppi economici di diversi settori hanno sottoscritto e pubblicato alla fine dello scorso ottobre un appello alla UE, al fine di sostenere l’iniziativa di creazione di uno standard europeo e intanto chiedere di potersi confrontare con la Commissione per giungere ad un risultato condiviso e reciprocamente impegnativo, di lunga durata e di trasparente applicazione.
La definizione di questo modello è un passaggio delicato che potrebbe rappresentare la chiave di volta per inaugurare un nuovo ciclo di comportamenti aziendali e collettivi che convergono verso una società più virtuosa e sostenibile.
Le norme che impongono alle imprese di redigere dichiarazioni di carattere non finanziario relative agli impatti ambientali e sociali inducono a qualificare l’impatto della propria attività imprenditoriale e, indirettamente, a riflettere e ad agire per migliorare questi indicatori alimentando un approccio alle decisioni data driven.
Basata su indicatori oggettivi e facilmente confrontabili, la dichiarazione pubblica degli obiettivi e dei risultati spinge le organizzazioni a competere in terreni di gioco nuovi, dove non si è più misurati, ad esempio, solo sulla base di indicatori di efficienza della produzione o dell’erogazione e della qualità dei prodotti o servizi, ma soprattutto con riferimento all’impatto diretto o indiretto dell’attività aziendale su ambiente, dipendenti, clienti e fornitori, sulla comunità in cui l’impresa è inserita, sul modo in cui un’azienda è diretta, amministrata e governata.
Il bilancio sociale di impresa, quale documento di pubblicità, fornisce una descrizione qualitativa e quantitativa dei processi gestionali di una organizzazione rispetto alla realtà nella quale essa è inserita. In quest’ottica, esso costituisce uno strumento di valutazione dell’amministrazione complessiva, indirizzata ai principali stakeholder interni ed esterni, al fine di comunicare e sottoporre al giudizio di tali interlocutori il valore creato dall’organizzazione in relazione alla propria mission e ai propri valori costitutivi.
Il bilancio di sostenibilità costituisce un passo in avanti degli ultimi decenni ma Il gap da colmare è, però, ancora notevole: senza indicatori oggettivi, olistici, condivisi, misurabili e confrontabili è pressoché impossibile superare l’asimmetria informativa che frena il decollo del processo virtuoso appena descritto.
Conclusioni
Con questi presupposti si potrebbe valorizzare l’esperienza e le best practice applicate in contesti analoghi. Soggetti istituzionali come InfoCamere si candidano ad essere punto di riferimento per garantire la creazione, la gestione, l’evoluzione e l’applicazione delle tassonomie ESG di impresa.
Si pensi, ad esempio, alle certificazioni di Qualità, Ambientale, Sicurezza delle informazioni e Servizi Informativi, o ancora all’XBRL (eXtensible Business Reporting Language), ovvero lo standard informatico internazionale, obbligatorio dal 2010, che consente di depositare il bilancio in formato elaborabile rendendo i dati immediatamente fruibili per analisi e confronti. Si tratta di costruire le fondamenta per permettere, sia ai policy maker che agli imprenditori stessi, non solo di avere contezza del presente, ma anche e soprattutto di simulare e prevedere impatti di comportamenti e decisioni, così da attuare tempestivamente azioni correttive.
Considerando sia l’attenzione posta dalla comunità finanziaria e dall’opinione pubblica a rinnovate sfide sociali e ambientali che la necessità delle imprese di riacquisire fiducia e competitività, anche attraverso la comunicazione di strategie e valori sostenibili nel lungo periodo, la definizione, certificazione e condivisione di indicatori ESG assumerà un valore sempre più centrale nella pubblicità informativa degli operatori economici.
I Sustainable Development Goals Onu
I cambiamenti di cui la nostra specie è stata protagonista negli ultimi 50 anni hanno fatto raddoppiare la popolazione mondiale, aumentare la speranza di vita di oltre il 27%, crescere il PIL mondiale di oltre 30 volte. Il prezzo per questo enorme salto in avanti è oggi sotto gli occhi di tutti: cambiamento climatico, inquinamento, migrazioni. Insomma, il sistema economico-sociale del pianeta ha ottenuto grandi risultati in maniera poco efficiente, consumando risorse estinguibili e danneggiando l’ambiente in maniera sempre più seria.
Sebbene di questa situazione ci si sia resi conto già negli ultimi decenni del secolo scorso, è stato negli anni 2000 che si è iniziato a considerare come renderlo più efficiente, cioè capace di produrre altri positivi cambiamenti con un minor consumo di energia, studiando inoltre come produrla attraverso fonti rinnovabili e a più basso impatto ambientale.
A mano a mano che questo argomento saliva nella considerazione degli abitanti della Terra e, di conseguenza, entrava tra le priorità politiche e sociali, appariva come tutto ciò avesse anche uno stretto legame con molti aspetti della socialità e fosse condizione basilare di molti atteggiamenti che avevano caratterizzato le culture planetarie per secoli. Quel mettere mano al meccanismo economico è ingenuamente apparso come occasione per rivedere anche il sistema valoriale complessivo, ma la sostanza era ben diversa: appena approfondita l’analisi, si è capito che i due fattori (quello economico e quello sociale) sono strettamente legati, reciprocamente dipendenti.
Ecco perché entrambi sono alla base dei 17 Sustainable Development Goals (i cosiddetti SDGs) che oltre 190 Paesi hanno sottoscritto all’ONU attraverso il più grande accordo che mai abbia legato l’intera comunità globale, finalizzato a cambiare profondamente la vita e il ruolo dell’umanità sulla Terra.
Per raggiungere gli SDGs entro il 2030 o negli anni appena successivi (la crisi generata dal Covid era inattesa quando, nel 2015, i Paesi ONU convennero su obiettivi e scadenza), si stima che debbano essere iniettati nel sistema economico mondiale ca. 4.000 miliardi di dollari all’anno, di cui il 60% proveniente da fondi pubblici e il restante dal settore finanziario privato. Se per i fondi pubblici le banche risultano essere semplice punto di connessione tra ministeri e operatori economici, per la parte che più direttamente dipende da esse quali finanziatrici della Transizione (cioè del percorso che porta dal vecchio modello economico allo Sviluppo Sostenibile), gli istituti bancari si trovano nel ruolo di selezionatore delle imprese che a quel denaro potranno accedere. Ruolo gravoso, che implica la necessità di introdurre parametri di valutazione nuovi, che tengano conto dell’impatto dei valori ESG sui progetti di cambiamento e crescita aziendali.