smart city

Le smart cities evolvono con i cittadini, grazie al paradigma cloud “Fog”

Un capovolgimento di paradigma. Il crescere della domanda porta con sé una crescita delle risorse che aiutano a soddisfarla.
Il progetto congiunto EU-Giappone, ClouT punta proprio a calare l’applicazione di architetture Cloud e Fog al contesto delle smart cities

Pubblicato il 10 Dic 2015

Roberto Saracco

coordinatore Gruppo di lavoro “Intelligenza Artificiale” di Anitec-Assinform

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L’eL’aumento di prestazioni, di capacità e di connettività nei terminali, sempre più smart, inizia a spostare il cloud da architettura sopra la rete ai suoi bordi (edges) in quello che viene chiamato “Fog” (nebbia). Abbiamo esempi di Fog nella distribuzione di contenuti da parte di SoftBank in Giappone in cui i Media Server che SoftBank fornisce gratuitamente ai suoi clienti per memorizzare i film che vengono scaricati dalla rete diventano parte della rete stessa e sono utilizzati per accedere a contenuti da parte di altri clienti di SoftBank, o in progetti di crowdsourcing 2.0 in cui l’elaborazione avviene ai bordi, all’interno dei terminali.

Da notare inoltre come inizino ad apparire le prime applicazioni che sfruttano il Fog, ad esempio la possibilità di condividere fotografie scattate da più persone ad un evento (una manifestazione sportiva allo stadio) per avere la foto migliore tra le centinaia scattate in contemporanea o quasi da punti diversi o per combinare tra loro più foto per creare una visione d’insieme.

Una smart city deve promuovere l’integrazione e coinvolgere i cittadini affinché questi (insieme ai loro terminali –telefonini, autoveicoli, smart appliances in casa) diventino parte integrante della infrastruttura della città. È un importante capovolgimento di paradigma: da smart city che fornisce infrastrutture per i cittadini ad una infrastruttura formata dai cittadini e dalle loro risorse che viene orchestrata e integrata a livello città creando un ambiente smart.

Fornire sistemi di ricarica dei cellulari (e degli autoveicoli) aiuta in questa direzione così come aiuta fornire una connettività gratuita per assicurare la cooperazione tra le risorse dei cittadini. In questo modo la città può disporre di una capacità elaborativa, di memorizzazione, e di “sensing” che va ben oltre quella che potrebbe fornire un supercomputer e che richiederebbe enormi investimenti per renderla così pervasiva.

Una struttura basata sul fog, inoltre, garantirebbe di disporre di una crescente capacità proprio dove questa è più necessaria. Infatti dove esiste una domanda maggiore data la maggiore densità di cittadini è anche dove esiste maggiore capacità elaborativa, di memorizzazione e di comunicazione locale creata da smart phones, smart cars, smart appliances.

Di nuovo si nota un capovolgimento di paradigma. Il crescere della domanda porta con sé una crescita delle risorse che aiutano a soddisfarla.

Il progetto congiunto EU-Giappone, ClouT punta proprio a calare l’applicazione di architetture Cloud e Fog al contesto delle smart cities. Da notare come questo venga considerato anche una piattaforma per stimolare l’innovazione da parte di SME e start up.

A livello “materiali” stiamo assistendo ad una rivoluzione. La progettazione oggi consente di realizzare materiali con le caratteristiche desiderate, mentre nel passato si cercavano materiali che avessero certe caratteristiche. Questo consente un approccio completamente diverso alla costruzione e evoluzioni delle nostre città.

Inoltre praticamente ogni materiale può essere progettato in modo da servire allo scopo primario, ad esempio formare la struttura portante di un edificio, ed al tempo stesso soddisfare altri requisiti, ad esempio fornire informazioni sui livelli di stress della struttura. Questa seconda parte, relativa alla interazione, caratterizza quello che definiamo uno “smart material”.

Utilizzando smart materials ogni oggetto, di fatto, può essere costruito in modo da servire all’obiettivo primario e diventare al tempo stesso un punto di interazione. Inoltre, la maggior parte delle superfici può essere utilizzata per raccogliere energia e generare elettricità, come accumulatore di calore o punto di dissipazione, può essere utilizzata per rilevare una varietà di condizioni, agire quindi come sensore.

Nuovi edifici possono essere progettati con smart materials con l’obiettivo di essere auto sufficienti, operare come nodi di una rete, monitorare l’ambiente circostante. Nuove tecnologie, come “pitture intelligenti”, possono essere utilizzate per trasformare edifici esistenti, strade, infrastrutture in punti di intelligenza della città.

Interessante, come esempio di questa possibile trasformazione delle città di oggi nelle città del futuro attraverso smart materials, il progetto commissionato dalla Municipalità di Parigi a diverse società di architettura.

Rue the Rivoli a Parigi nel 2050. I palazzi di oggi sono trasformati da un affiancamento di smart material che li rendono auto sufficienti e integrati a formare una smart city. Vincent Callebaut.

La rivoluzione portata dagli smart materials, che si dispiegherà in molti settori nella prossima decade, trova le sue radici tecnologiche nelle naotecnologie. Queste, a differenza di quanto molti ritengono, non sono legate alla dimensione (anche se in effetti siamo a livello di misure molecolari) bensì al modo di costruzione dal basso. Dall’homo faber abbiamo costruito utilizzando materiali esistenti, al massimo combinandoli tra loro per ottenere prestazioni migliori (ferro e carbone per avere acciaio…). Abbiamo preso la materia prima e le abbiamo dato la forma che ci interessava ma così facendo quel prodotto conservava le caratteristiche fisiche della materia prima.

Non così con le nanotecnologie. Assemblando atomi e molecole secondo un progetto di struttura del materiale riusciamo a dare al materiale le caratteristiche che ci servono.

Il carbonato di calcio (gessetti per la lavagna) viene usato dai molluschi per costruire le loro conchiglie. Queste sono estremamente resistenti e questa resistenza è il risultato del modo in cui le molecole di carbonato di calcio sono aggregate tra loro.

In pratica per quasi tutti gli atomi possiamo costruire dei materiali che hanno caratteristiche molto diverse pur essendo fatti dagli stessi atomi. Il carbonio può formare grafite (molto soffice, adatta per scrivere e anche per fungere da lubrificante) oppure un diamante (estremamente duro e con proprietà ottiche particolari) oppure un nanotubo (con proprietà elettriche che lo rendono un semiconduttore utilizzabile per fare transistor) o ancora grafene (una struttura a due dimensioni che può essere utilizzata per depurare l’acqua, per fare circuiti elettronici a bassissimo consumo, ricoprire superfici per proteggerle o per convertire luce in elettricità o per alterare la permeabilità al calore) o magari fullerene, graphine,…. Sempre di atomi di carbonio si tratta ma risultanti in materiali completamente diversi.

Le nanotecnologie avranno un impatto in molte aree, e un forte impatto sulle smart cities proprio per la loro capacità sia di costruire materiali smart sia di trasformare, ricoprendoli manufatti esistenti cambiandone le loro caratteristiche.

Il SUNY Polytechnic Institute ha un dipartimento di Nanoscale Science e Engineering che applica nanotecnologie alle Smart Cities e uno specifico programma realizzato attraverso lo “Smart Cities Technology Innovation Centre”.

Dal punto di vista scientifico i progressi nei sistemi di osservazione stanno consentendo di imparare molto dalla Natura. Questa ha avuto 3-4 miliardi di anni per migliorare i suoi sistemi e attraverso una enorme quantità di “proposte” e successi che si sono man mano affinati. Una struttura come il nostro cervello o come la sofisticata orchestrazione chimica di un termitaio fanno emergere comportamenti adattativi e intelligenti che la nostra tecnologia non riesce ancora a produrre. Ora ricercatori ed ingegneri iniziano ad ispirarsi alla Natura per affrontare una varietà di problemi, in particolare quelli che coinvolgono sistemi autonomici. Una smart city con la sua pluralità di attori, ciascuno con la sua “agenda” e la sua relativa autonomia costituisce un tipico esempio.

In una smart city abbiamo cittadini e oggetti ciascuno per un verso o un altro interagente, controllato, influente su altre entità, come ad esempio sistemi di aria condizionata e riscaldamento, il traffico di autoveicoli, la corsa allo shopping. Una città smart è una città in cui tutti questi sistemi si autoinfluenzano in modo tale da migliorare l’efficienza complessiva, sia quella reale (ad esempio energetica) sia quella percepita (wellbeing).

Ricerche come Red Swarms portata avanti dall’università di Malaga, cercano di imitare i sistemi di regolazione del comportamento di sciami di insetti per risolvere problemi del traffico in una città. Il miglioramento in sistemi di monitoraggio e la possibilità di estrarre informazioni dai social networks forniscono indicatori che possono essere utilizzati da algoritmi e approcci bio-inspired.

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